La conta delle streghe

streghe_rogoArticolo pubblicato su Il Sabato
del 28 aprile 1990

di Antonio Socci

Preferivo (…) esser consegnato ai selvaggi e mangiato vivo piuttosto che cadere negli artigli spietati dei preti ed essere trascinato davanti all’Inquisizione». E’ una paginetta di Robinson Crusoe di Daniel Defoe, che fu il breviario della borghesia britannica ed europea. Una borghesia rapace, lanciata nella conquista coloniale, nella riesumazione del più feroce schiavismo e nella pratica sistematica del genocidio: dall’India alle praterie dei pellerossa americani, agli indigeni australiani. Ma che nei suoi salotti raffinati fremeva indignata al sentir parlare del Sant’Uffizio.

Ricordate la «leggenda nera» dell’Inquisizione? E la crudele follia degli inquisitori, aguzzini per vocazione, belve assetate di sangue? Da almeno due secolo, come un macabro ritornello grava sulla Chiesa questa colpa storica. Ebbene: «il XX secolo si appresta a lasciare in eredità al terzo millennio che s’apre un’immagine sorprendentemente nuova dei tribunali come quelli inquisitoriali, tradizionalmente relegati dal nostro immaginario collettivo agli orrori del fanatismo clericale».

Lo scrive Giovani Romeo, storico, docente all’Università di Napoli e autore del libro Inquisitori, esorcisti e streghe (nell’Italia della Controriforma), uscito di recente da Sansoni.Per gli specialisti, ormai, è un’acquisizione pacifica. Si cominciò negli anni Sessanta, quando due studiosi francesi nel volume L’Inquisition arrivarono alla conclusione che «il Sant’Uffizio era talvolta l’organismo più obbiettivo della sua epoca».

La rivista Critica storica ha scritto addirittura che con gli anni e il boom delle ricerche d’archivio si è «continuato ripetendo continuamente elogi sulla razionalità delle procedure e sulla mitezza dei tribunali dell’Inquisizione». Scoperta non più come un’entità demoniaca quanto come «una istituzione dotata di regole razionali e capace all’occorrenza di moderare l’uso della tortura e di scoraggiare denuncie e delazioni».

Luigi Firpo, lo storico più laicista d’Italia, a cui il cardinale Ratzinger volle aprire le porte dell’Archivio dell’ex Sant’Uffizio, arrivò a dichiarare: «Davanti a quel tribunale, più che dei colpevoli di reai di opinione, dei paladinio della libertà di pensiero, comparvero delinquenti comuni, persone colpevoli di atti che anche il diritto moderno considererebbe reati… Gli Ucciardone e le Rebibbia di oggi sono vere bolge infernali rispetto alle troppo diffamate celle dell’Inquisizione… era per esempio prescritto che le lenzuola e federe si cambiassero due volte la settimana: roba da grande albergo (…). Una volta al mese i cardinali responsabili dovevano ricevere uno a uno i prigionieri per sapere di cosa avessero bisogno».

L’inquisizione, naturalmente, non fu un benevolo salotto da raccomandare per piacevoli conversazioni, eppure ideò garanzie giuridiche sconosciute ai tribunali laici del tempo (comprese le licenze ai detenuti, che non sono state inventate dal senatore Gozzini). Ma è una realtà storica pressoché sconosciuta, fuori dalla cerchia degli specialisti.

Vi fu addirittura uno storico che leggendo nelle sentenze «carcere perpetuo» intese ergastolo, mentre significava semplicemente tre anni di prigione spesso da scontare in un convento o a casa propria (l’ergastolo è una invenzione moderna, della Rivoluzione francese). Ma fuori dalle accademie per specialisti la leggenda nera, da due secoli, continua a imperversare sui libri, mass media, manuali e giornali.

Due secoli dopo Dafoe, un best seller del nostro tempo, Il nome della rosa, in omaggio alla superficialità, dipinge di nuovo l’inquisitore Bernardo Gui come un torvo e forsennato sanguinario. E’ toccato a Jacques Le Goff, che per la Chiesa non ha mai dimostrato molte simpatie, prendere le distanze dalla falsificazione storica di Eco, che ne caso di Bernardo Gui è addirittura scandalosa (cfr. Tuttolibri, 18 ottobre 1986) .

Le Goff cita il manuale dell’inquisitore scritto da Bernardo Gui nel XIV secolo, dove emerge una saggezza giuridica e un senso dell’umanità che sono ben rari nelle magistrature: «in mezzo alle difficoltà e ai contrasti» scriveva Gui «l’inquisitore deve mantenere la calma, né mai cedere alla collera e all’indignazione… Non si lasci commuovere dalle preghiere e dall’offerta di favori da parte di quelli che cercano di piegarlo; ma non per questo egli dev’essere insensibile sino a rifiutare una dilazione oppure un alleggerimento di pena, a seconda delle circostanze e dei luoghi. Nelle questioni dubbie, sia circospetto, non creda facilmente a ciò che pare probabile e che spesso non è vero. Né sia facile a rigettare l’opinione contraria, perché sovente ciò che sembra improbabile può risultare vero. Egli deve ascoltare, discutere e sottoporre a un diligente esame ogni cosa, al fine di raggiungere la verità. Che l’amore della verità e la pietà, le quali devono sempre albergare nel cuore di un giudice, brillino dinanzi al suo sguardo, sicché le sue decisioni non abbiano giammai ad apparire dettate dalla cupidigia o dalla crudeltà».

All’avanguardia negli studi è stato lo storico danese Gustav Henningsen, autore di un importante saggio sulla figura dell’inquisitore spagnolo Alonso de Salazar Fìas. Il libro, uscito negli Usa nel 1980, è stato finalmente tradotto in Italia da Garzanti che l’ha mandato in libreria proprio in questi giorni: L’avvocato delle streghe (eretici e inquisitori nella Spagna del Seicento) (pagg. 368, L.39.000).

Quale la sua tesi? Innanzitutto che il Medioevo cristiano fu immune dalla follia criminale della caccia alle streghe. Per più di mille anni, per tutti i cosiddetti «secoli bui», non esistono né cacce, né roghi di streghe: il pronunciamento della Chiesa, che fa testo per tutto il Medioevo, su quel fenomeno è il Canon episcopi, attribuito al Concilio di Ancira del 314d.C., che dissolve con tolleranza, scetticismo e perfino ironia tutte le tenebrose superstizioni – comprese le streghe – che le popolazioni europee avevano ereditato dall’antichità pagana.

L’ossessione sanguinaria della caccia alle streghe è un fenomeno tutto moderno: comincia sul finire del 1400 e prosegue per un paio di secoli, soprattutto nei Paesi protestanti. Tra gli ultimi tragici episodi vi è quello di Salem, nel New England, la terra nuova della tolleranza protestante e dei diritti dell’uomo, dove furono bruciate venti presunte streghe. «Non devono avere alcuna compassione per queste malvagie, vorrei bruciarle tutte» sentenziava Martin Luero. Calvino poi, nella sua Ginevra, fu un vero piromane. Il regno di terrore non colpiva solo i cattolici e i dissidenti. Michelet ha scritto che nel 1513, in soli tre mesi, bruciarono 500 streghe.

Il mondo protestante fu davvero scatenato nei confronti delle streghe. Con l’ossessione del demoniaco e del male irredimibile, la Riforma produsse «effetti dilanianti per le coscienze religiose dell’epoca, aumentando enormemente il senso di insicurezza personale e collettiva» (M. Romanello) Il Romeo scrive che «le autorità dell’Inquisizione romana (cattolica) evitarono una persecuzione sanguinosa della stregoneria, non solo perché non erano convinte sino in fondo della realtà della setta delle streghe e dei loro crimini, ma anche perché, soprattutto nel tardo ‘500, sapevano di poter contare sulla rinnovata presenza di un sofisticato apparato protettivo».

Più avanti si legge: «Le perplessità dei più autorevoli esponenti della Chiesa e dell’Inquisizione romana di fine ‘500 non trovarono riscontro negli atteggiamenti delle Chiese protestanti degli stessi anni. In queste ultime prevale, rinfocolato anche dal fondamentalismo biblico che le caratterizza, lo zelo intransigente, la propensione al bagno di sangue purificatore. E la distruzione della rete protettiva assicurata dal cristianesimo tradizionale potrebbe aver contribuito in maniera determinante ad innescare le spinte persecutorie».

In quegli anni i protestanti lanciavano accuse di fuoco contro la moderazione del Sant’Uffizio, esibita come prova della complicità ella Chiesa di Roma con le streghe: anche i cattolici insomma erano accusati di «magia». Nei secoli successivi la Chiesa si è vista imputare anche gran parte dei crimini e dei roghi allestiti dai protestanti. Come fece il ottobre 1985 Hans Küng su Repubblica che rivelo: «Furono circa nove milioni le vittime dei processi contro le streghe» (gli storici parlano di 20-30 mila condanne).

Certo si trattò di un’ossessione collettiva che insanguinò tutta l’Europa. Un massacro abominevole in cui anche i cattolici ebbero le loro colpe. Ma fra i più convinti fomentatori di questa ossessione criminale vi furono proprio le élite intellettuali del tempo. Alcuni nomi? Coke, Bacone e Releigh, i cervelli della Rivoluzione inglese. E poi Boyle, Ugo Grozio e Cartesio. Il fior fiore della cultura laica del tempo: «Se questi due secoli» scrive Trevor-Roper «furono un’epoca di lumi dobbiamo ammettere che, sotto un certo aspetto, l’epoca delle tenebre fu più civile». Hobbes, nel Leviatano arrivò ripetutamente ad assimilare maghi, streghe e cattolici.

«Tutta la cultura dell’epoca» scrive Giorgio Galli «si schiera per la prosecuzione della caccia, che in Inghilterra tocca il culmine proprio nel periodo della Rivoluzione con Matthew Hopkins come grande cacciatore, a conferma della connessione tra persecuzione e affermazione della democrazia parlamentare e rapprersentativa». Il campione intellettuale della caccia alle streghe fu però Jean Bodin, il quale oggi è ritenuto il pensatore politico dello Stato moderno e il teorico della tolleranza religiosa.

Bodin fu l’autore di un manuale giudiziario per la tortura e lo sterminio delle streghe, la Démonomanie, del 1580. Fa un certo effetto paragonare la furia sanguinaria di questi intellettuali moderni alla moderazione illuminata di uomini come Don Alonso de Salazar Frìas.

Dal libro di Henningsen si apprende che, contrariamente a tutte le istituzioni giudiziarie del tempo, l’Inquisizione non usava normalmente la tortura. Questo non solo perché «Ecclesia abhorret a sanguine», ma anche perché «l’Inquisizione si mostrava scettica sul valore della tortura come mezzo per ottenere prove».

L’inquisizione che, fra l’altro, non comminava la morte, perché «non aveva il potere di eseguire il rogo degli eretici» (Henningsen) introdusse insomma – dicono oggi gli storici – un potente principio di trasparenza, di moderazione e – come poté – di diritto dove il potere politico e il popolo intendevano procedere a giustizia sommaria ed esemplare. «Di fatto» scrive Henningsen «la popolazione cattolica non odiava, né temeva il Sant’Uffizio quanto molti storici hanno voluto farci credere.

La gran maggioranza doveva considerare l’Inquisizione come un baluardo contro l’eresia che minacciava la società dall’interno e dall’esterno. Gli inquisitori non erano mostri, né torturatori, ma teologi e giuristi, spesso rispettati e stimati. In maggioranza erano religiosi che avevano preso gli ordini. Molti avevano iniziato la loro carriera come sacerdoti o monaci ed avevano alle spalle lunghi anni di studi teologici».

In Italia, Spagna e Portogallo dunque la caccia alle streghe iniziò con più moderazione del resto d’Europa e molto presto il già iniziale scetticismo del Sant’Uffizio divenne una vera e propria barriera di regole che soffocò questa ossessione.

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DIZIONARIO

Sabba e bugie

INQUISIZIONE. Nasce Dopo il Concilio di Tous del 1163 per cercare (inquisire) e persuadere i cattolici che avevano abbracciato un credo eretico a tornare alla fede della Chiesa. Fu affidata prima ai vescovi, poi ai monaci cistercensi, e infine nel 1235 e nel 1246 ai nuovi ordini mendicanti, domenicani e francescani.

L’inquisizione romana, detta “Congregazione del Sant’Uffizio” viene istituita invece da Paolo III il 21 luglio 1542 con la bolla Licet ad initio, ma viene organizzata soprattutto da Sisto V con la bolla Immensa aeterni del 22 gennaio 1588. Nasce sopratutto per sottrarre al potere politico dei sovrani cattolici l’uso dei procedimenti di fede per scopi politici. Segna il passaggio dalla procedura d’accusa a una procedura d’inchiesta, ma talora degenera macchiandosi di aberrazioni gravi.

Il Sant’Uffizio viene definitivamente abolito il 7 dicembre 1965, alla fine del Concilio Vaticano II che istituisce al suo posto la Congregazione per la dottrina della fede. Quasi sconosciuto è il modo (ed i protagonisti) che portarono alla sua abolizione. Il grande cardinal Henri De Lubac l’ha raccontato in una intervista: «Ratzinger, esperto al Concilio, era anche il segretario privato del cardinale Frings, arcivescovo di Colonia.

Il vecchio cardinale, ormai cieco, si serviva completamente di lui per la stesura dei suoi interventi. Uno di quegli interventi resterà, credo, memorabile: era una critica pacata ma radicale, dei metodi del Sant’Uffizio. Malgrado una replica del cardinal Ottavini, Frings confermò la sua critica. Non è esagerato dire che l’immagine pubblica del vecchio Sant’Uffizio è stata distrutta da Ratzinger e dal suo arcivescovo. Il cardinal Seper, un uomo pieno di bontà, ha iniziato il rinnovamento; Ratzinger ora lo continua»

STREGA. Da “strix”, civetta. Donna (o uomo, stregone) in commercio con il demonio per operare malefici sulle cose e le persone.

CACCIA ALLE STREGHE. Nel 1489 esce il Malleus maleficarum uno dei più celebri testi per la caccia alle streghe. Ne sono autori i religiosi Henricus Institoris e Jakob Sprenger. Il periodo cruciale della caccia alle streghe che insanguinò tutta Europa è tra il 1560 e il 1620. L’Italia cattolica, dove Roma aveva un’influenza diretta, ne fu quasi totalmente immune.

PREGIUDIZI. Scrive Alain Besançon della scuola degli Annales: «Durante il Medioevo il sabba non è che una festa pagana minoe, un innocente carnevale di servi». Dopo il Medioevo, razionalista cattolico e tollerante, il Rinascimento segna il dilagare della cultura ermetica, occultista, esoterica con un mare di superstizioni che investono l’immaginario popolare.

Nel 1688 il ministro presbiteriano inglese Robert Kirk scrive un trattato, Il regno segreto, su Elfi, Fauni, Fairios… Mario M. Rossi si chiede «come mai un ministro della presbiteriana Scozia, alla fine del Seicento (secolo in cui inizia, dicono, la scienza moderna) ed all’alba del Settecento (il “secolo dei lumi”) poteva credere alle fate?».

SABBA. Riunione notturna di streghe e stregoni che giungevano a volo per celebrare il diavolo. Nel Faust di Goethe i numi e gli spirito del mondo ellenistico si danno convegno sui monti della Tessaglia. In epoca romantica il luogo deputato per il convegno orgiastico di stregoni e demoni è il Blocheberg nella notte di santa Valpurga, fra 30 aprile e primo maggio. Sulla realtà dei sabba i più scettici furono i cardinali del Sant’Uffizio. Molti intellettuali, come Bodin, dopo aver sentito le confessioni concordanti delle streghe ne erano certi. Piero Camporesi, ne Il pane selvaggio ha avanzato l’ipotesi che si trattasse di esperienze oniriche e che fossero legate all’uso (anche involontario) di sostanze stupefacenti.

ABBAGLIO. Oggi si giudica la “caccia alle streghe” come un folle “abbaglio collettivo”. Il primo a formulare questa idea, con la sua solita altezzosa protervia, è stato Voltaire nel Dizionario Filosofico: «In Europa sono state mandate a morte più di centomila streghe. Infine la filosofia da sola ha guarito gli uomini da questa abominevole chimera e ha insegnato ai giudici che non è il caso di bruciare gli imbecilli». Voltaire dimentica però di dire che è proprio l’alba dell’epoca “filosofica”, il Rinascimento, a scarne la caccia. Ed è stata appunto la cultura superiore tecnico-filosofica a schiacciare quella «cultura marginale».