Il dott. Puccetti spiega le ragioni del Papa
di Antonio Gaspari
Il dott. Puccetti ha svolto significativi lavori di ricerca in merito all’utilizzo dei contraccettivi ed è anche membro dell’Unità di Ricerca della European Medical Association.
Dopo la condanna da parte del Papa sull’uso del preservativo in occasione del viaggio in Africa, lei scrisse un libro intitolato “Il Papa ha ragione” (edizioni Fede & Cultura). Non si sente un po’ in imbarazzo da quanto legge oggi?
Puccetti: No, per niente. Insieme a Cesare Cavoni, co-autore del libro che lei cita, abbiamo svolto un lavoro per cercare di mettere in evidenza i fatti: che cosa disse veramente il Papa, come la stampa ci ricamò sopra con notevole creatività, quali sono gli effetti della strategia volta a contrastare l’AIDS in Africa affidandosi alla distribuzione e diffusione del preservativo, conosciuti attraverso le fonti clinico-epidemiologiche. Il sottotitolo del nostro libro è “L’AIDS non si ferma con il condom”. Se le anticipazioni sono corrette, nel nuovo libro il Papa dice che il preservativo “non è il modo vero e proprio per vincere l’infezione da HIV”. Non mi sembra di notare alcun mutamento di posizione.
Ma il Papa ha citato casi in cui l’uso del preservativo può essere giustificato.
Puccetti: Certo. Mi ritrovo completamente col commento fornito da padre Lombardi. Mi rendo conto che le parole del Santo Padre possano suscitare scalpore ed apparire come novità. In certa misura lo sono, nel senso che non conosco precedenti pronunciamenti né di Benedetto XVI, né di Joseph Ratzinger di questo tipo, anche se su questo potrei sbagliarmi. Quello a cui si riferisce, la giustificabilità dell’uso del preservativo da parte di una prostituta, mi pare costituisca un classico esempio di applicazione della casistica in ambito morale. In questo non vi è niente di nuovo. Ricordo ad esempio come in passato l’attuale Cardinale Tettamanzi si esprimeva per la liceità morale della donna che pretendesse l’uso del preservativo da parte del marito sieropositivo incapace o non disposto ad osservare l’astinenza.
Ora è chiaro che le parole del Papa non giustificano certamente la moralità della prostituzione, una intrinseca falsificazione del significato dell’atto sessuale, una separazione della persona, con l’anima, la mente, i sentimenti della donna da una parte ed il suo corpo dall’atra, al fine di una commercializzazione di quest’ultimo.
Come dicevo le parole del Papa non giustificano tutto questo, ma con anelito pastorale colgono nell’uso del preservativo da parte di questa donna concreta un primo passo verso una presa di coscienza della dignità del proprio corpo come entità inscindibile dalla propria persona. Non sono un teologo morale e quindi potrei sbagliarmi, ma mi sembra che qui il Santo Padre segua quella che in morale è conosciuta come “legge della gradualità”, da non confondersi, come ammoniva al numero 34 di Familiaris Consortio Giovanni Paolo II, con la “gradualità della legge”.
Se poi si aggiunge la considerazione che in molti casi la donna che si prostituisce non lo fa come scelta libera, ma è forzatamente obbligata in quanto vittima di circostanze opprimenti e di persone dedite alla prevaricazione ed allo sfruttamento, allora si tratterebbe di casi non molto diversi da quello previsto dal Cardinale di Milano ed in tempi più antichi dall’assunzione di sostanze anovulatorie in previsione di una violenza sessuale.
La cosa triste ed irritante, anche se prevedibile, è dover leggere commenti intellettualmente sgangherati riportati dai mezzi di comunicazione di massa.
Dott. Puccetti, lei è stato uno dei relatori al congresso della Società Italiana di Ostetricia e Ginecologia che si è svolto a Milano dal 14 al 17 novembre. Quale sono le sue impressioni riguardo i temi eticamente sensibili?
Puccetti: Da quelle che sono le mie impressioni mi pare di poter dire che quello appena concluso sia stato un congresso di svolta.
In che senso?
Puccetti: Mi sembra che gli organizzatori del congresso di quest’anno siano riusciti a fare uscire i lavori da una certa logica di “gynaecologically correctness” in cui i temi da lei citati vengono affrontati in termini monocordi ed ideologicamente pre-impostati.
Ci può fornire qualche esempio?
Puccetti: Beh, costituiscono certamente una salutare novità la possibilità di confrontarsi offerta da alcune relazioni come quella del prof. Lucio Romano, alcuni interventi, per esempio le puntualizzazioni in tema di contraccezione post-coitale del dr. Bruno Mozzanega e la presenza tra gli stands del suo ultimo volume che in modo limpido e dettagliato descrive la fisiologia della riproduzione e lo sviluppo embrionale precoce, ma soprattutto la presenza di un corso precongressuale tematico dedicato ai metodi di Natural Family Planning.
Lei non si auto-cita, eppure ha partecipato ad una sessione del congresso che vedeva tra i relatori gli esponenti di maggiore spicco della ginecologia abortista. Lei ha parlato per ultimo, le relazioni che l’avevano preceduta avevano descritto la prevenzione dell’aborto riferendosi pressoché sempre alla contraccezione. Il suo intervento ha fatto a pezzi tutta questa impostazione.
Puccetti: Mah, diciamo che mi piace pensare di aver contribuito ad un franco confronto che abbia privilegiato l’analisi dei dati scientifici disponibili, spesso rimossi per una serie di motivi. Il lavoro che ho presentato dimostra che le varie discipline scientifiche, se vogliono cercare di avvicinarsi alla verità, devono sapere resistere ad una certa tentazione di auto-sufficienza ed imparare a dialogare. Per questo abbiamo lavorato con persone con competenze diverse, internistiche, bioetiche, ginecologiche, bio-statistiche, psicologiche.
Ha ricevuto critiche?
Puccetti: Devo dire di no, anzi i riscontri sono stati favorevoli. Mi ha fatto piacere ricevere il commento positivo alla relazione anche da parte degli operatori dell’aborto. Diversamente ne sarei stato sorpreso, perché così come mi è stato insegnato all’Università, “results are results”. Speriamo che il nuovo consiglio di presidenza della SIGO implementi l’apertura verso un franco confronto scientifico su questi temi.
Allora dottore, perché la contraccezione non riduce gli aborti?
Puccetti: È una questione complessa che non può essere spiegata in poche parole. Intanto è importante precisare che la nostra analisi si è limitata al mondo occidentale sviluppato e non è corretto generalizzarla a tutti i contesti. Diciamo inoltre che una cosa è il comportamento di un medico di fronte ad un paziente, cioè in una relazione umana e professionale tra due persone, altra cosa sono gli interventi di salute pubblica. È noto che vi può essere una distanza notevole tra quanto atteso teoricamente da un determinato intervento sanitario ed i risultati effettivi. Il caso della contraccezione è uno di questi.
Teoricamente per impedire gli aborti e realizzare i propri obiettivi riproduttivi affidandosi alla contraccezione le donne dovrebbero adottare metodi contraccettivi in modo perfetto per circa 27 anni, un obiettivo che per chi conosce i dati è del tutto irrealistico. Inoltre molte fonti attestano che i determinanti immediati dell’aborto non poggiano solamente sulla contraccezione, ma vi sono molti altri elementi, soprattutto di ordine comportamentale a loro volta radicati nella formazione delle convinzioni.
E qui entra in campo la necessità di dialogo tra i vari ambiti del sapere. Sono infatti studi di tipo economico e di psicologia del comportamento che forniscono cornici interpretative che aiutano a comprendere come la promozione e diffusione della contraccezione si associno a cambiamenti comportamentali caratterizzati da un maggior rischio di gravidanze indesiderate ed una maggiore attitudine ad abortire in tali circostanze vanificando, o persino capovolgendo l’attesa riduzione degli aborti. Stati Uniti, Francia, Inghilterra, Galles, Scozia, Svezia, Olanda sono tutti terreni in cui queste dinamiche si sono realizzate.
Questi dati dovrebbero far riflettere il mondo politico?
Puccetti: Hanno delle indubbie ricadute. È l’ora di togliersi gli occhiali ideologici, imparare dagli errori commessi negli altri paesi, non buttare via risorse economiche ed umane in campagne e programmi che se va bene non porteranno ad alcuna riduzione degli aborti, uno spreco che in un contesto di disponibilità limitate è ancora più grave. Non dobbiamo limitarci ad invocare la necessità di un’educazione sessuale nelle scuole se prima non si comprende che questa, al di là delle buone intenzioni, riducendosi ad educazione genitale con molta probabilità non risolve i problemi.
Alla fine la contraccezione deresponsabilizza?
Puccetti: Guardi, la possiamo mettere giù così: ogni uomo ha una rotta per arrivare al suo porto, questa rotta è suggerita dalla propria testa, poi però se vuole arrivare davvero alla meta, deve usare i remi, cioè la volontà. Senza questa l’uomo rimane piantato, se non fatica egli, anche se si accorge di andare fuori rotta, non potrà farci niente, perché la direzione sarà determinata dalle correnti.
Affidarsi ad un motore, alla tecnica, sembra molto vantaggioso, toglie la fatica, i remi sembrano strumenti di cui si può tranquillamente fare a meno, ma quando il motore non funziona come previsto ed i remi sono stati gettati via, i muscoli atrofizzati, non si può sperare in una loro ricomparsa magica. La contraccezione tende ad impoverire la volontà delle persone, la capacità di dominio delle proprie pulsioni, così come con preveggenza veramente filosofica aveva notato Elizabeth Anscombe. Non si tratta di ipotesi, ma di fatti che una vera scienza non può disconoscere. Ai colleghi ginecologi abbiamo cercato semplicemente di rendere presenti questi fatti.