Esistono forze politiche e ideologiche che spingono verso la decostruzione dell’umano, come spiega il sociologo Donati. Ma una via d’uscita esiste
di Marco Invernizzi
Per capire quale sia lo stato di salute della famiglia oggi in Italia si può cominciare dai numeri Istat. Al 31 dicembre 2019 la popolazione residente è inferiore di quasi 189 mila unità (188.721) rispetto all’inizio dello stesso anno. Il persistente declino avviatosi nel 2015 ha portato a una diminuzione di quasi 551 mila residenti in 5 anni. Si registra un nuovo minimo storico di nascite dall’unità d’Italia, un lieve aumento dei decessi e più cancellazioni anagrafiche per l’estero. Il numero di cittadini stranieri che arrivano nel nostro paese è in calo (-8,6 per cento), mentre prosegue l’aumento dell’emigrazione di cittadini italiani (+8,1).
Il calo di popolazione è da ascrivere ai cittadini italiani, che a fine 2019 ammontano a 54 milioni 938 mila unità, 236 mila in meno dall’inizio dell’anno e circa 844 mila in meno in 5 anni. Nello stesso periodo, al contrario, la popolazione residente di cittadinanza straniera è aumentata di oltre 292 mila unità attenuando in tal modo la flessione del dato complessivo. Il ritmo di incremento si va tuttavia affievolendo: al 31 dicembre 2019 sono 5.306.548 i cittadini stranieri iscritti in anagrafe, l’8,8 per cento del totale dei residenti, con un aumento, rispetto all’inizio dell’anno, di sole 47 mila unità (+0,9 per cento).
Obiettivo: abbattere le distinzioni
Il quadro è desolante e preoccupante, ma lo sapevamo. A partire dal 1976, dopo il baby boom raggiunto nel 1964, il paese è sempre rimasto sotto la linea del rimpiazzo dei morti con i nuovi nati. Ma quello che preoccupa di più è che cosa potrebbe succedere nei prossimi anni, se continuasse l’attuale percorso di decostruzione della famiglia unito al tremendo inverno demografico: il Rapporto 2020 del Centro internazionale studi famiglia (Cisf) parla di «società post familiare» (edizioni San Paolo).
A questo futuro prossimo ha dedicato profonde riflessioni il sociologo Pierpaolo Donati in un saggio dello stesso Rapporto Cisf. Lo scenario descritto è quello di un allontanamento della famiglia dalla natura, in seguito alla duplice pressione di una cultura libertaria che si sposa con le innovazioni tecnologiche. Allontanarsi dalla natura vuol dire decostruire un modello di famiglia fondato sulla distinzione uomo-donna e aperto alla trasmissione della vita e costruirne un altro radicalmente diverso, che Donati definisce transumano o post umano, che va oltre l’umano.
Esistono forze politiche e ideologiche che spingono in questa direzione, con intellettuali in carne e ossa, che Donati analizza nel suo scritto. Costoro spingono «verso la fine di ogni distinzione» perché distinguere significherebbe separare, mentre la realtà sarebbe una «totalità intrinseca». La negazione della differenza «viene vista come la chiave per la transizione verso un mondo post umano», scrive Donati. Siamo di fronte a una lotta rivoluzionaria contro ogni distinzione e quindi all’abbandono di «quella visione di civiltà che ha considerato l’essere umano – e le sue relazioni – come essere unico, proprio per le distinzioni che lo caratterizzano»
La confusione non è progresso
Nel pensiero unico oggi dominante si tende a cancellare ogni distinzione, da quelle nazionali a quelle personali e persino sessuali. Dietro, a volte, c’è la legittima preoccupazione che il mondo non ritorni a essere preda dei nazionalismi che portarono allo spaventoso 1914. Ma, come scrive Francesco nella Fratelli tutti, «la soluzione non è un’apertura che rinuncia al proprio tesoro. (…) Ciascuno ama e cura con speciale responsabilità la propria terra e si preoccupa per il proprio paese, così come ciascuno deve amare e curare la propria casa perché non crolli, dato che non lo faranno i vicini» (n. 143).
«Con-fondere tutto non è un segno di progresso», conclude Donati. Esiste una via d’uscita? Secondo Donati, «l’alternativa alla famiglia post umana esiste ed è quella che possiamo chiamare “famiglia relazionale”, nella quale le relazioni fra uomini e donne, così come fra generazioni, sono caratterizzate dalla fiducia, cooperazione e reciprocità come progetto riflessivo di vita».
Bisogna che ogni uomo faccia lo sforzo di amare gli altri come ama se stesso. Si possono enunciare tante teorie ma in fondo sono gli uomini che cambiando se stessi cambiano l’indirizzo della storia, «nella consapevolezza che solo certe relazioni, quelle del genoma naturale specifico della famiglia, possono assicurare l’identità umana, sessuata e generazionale di ciascuno, nella sinergia delle differenze». Le quali non sono il problema, ma la risorsa da valorizzare.