dal nostro inviato a Valencia Luciano Moia
«L’inverno demografico non è una condanna senza speranza. La primavera della natalità può sbocciare da un momento all’altro. Nel mondo, ma soprattutto in Europa». Sul volto austero del professor Gerard Francois Dumont, rettore della Sorbona di Parigi, considerato tra i maggiori esperti mondiali di demografia, compare la luce di un sorriso. Ieri, all’Incontro mondiale delle famiglie di Valencia, Dumont ha presieduto la conferenza stampa che, alla presenza di alcuni tra gli esperti intervenuti, ha concluso la sessione dedicata appunto a famiglia e demografia.
«Quando mi chiedono se sono ottimista o pessimista sulla crisi di denatalità che affligge il mondo occidentale – spiega -, io preferisco rifugiarmi nella lucidità delle statistiche e degli studi scientifici. Ma è appunto nell’apparente freddezza dei dati che possiamo cogliere le tracce di una possibile inversione di tendenze, Attenzione, sono piccole evidenze. Oggi la situazione rimane preoccupante. Ma in un futuro ormai prossimo qualcosa potrà cambiare».
Quali sono gli elementi che la inducono ad alimentare le speranze?
«Partiamo dalle scelte politiche. Esiste una correlazione molto stretta, anzi una dipendenza diretta tra le politiche familiari in favore della famiglia e gli indici demografici. In uno studio recente ho dimostrato che i Paesi europei con i più bassi indici di natalità, soprattutto Italia e Spagna, sono anche quelli che riservano alle politiche familiari le risorse minori»
Si può fare anche la prova contraria?
Certo. Ho due esempi lampanti. Si dice spesso che gli indici demografici francesi stanno volgendo al positivo grazie alle provvidenze decise dal governo a favore dei nuclei familiari con figli. Ciò è tanto più vero se prendiamo il caso della popolazione di origine nordafricana presente in Francia. Ebbene, i tassi di fecondità di questi nostri immigrati sono nettamente superiori a quelli che si registrano nei paesi del Maghreb, cioè dalle loro terre di origine. Questo dimostra che non è solo la cosiddetta “tendenza etnica” a influire sulla scelta di avere o non avere figli, ma sono soprattutto le decisioni socio-politiche».
Bastano pochi interventi importanti quindi per influire sulle variazioni demografiche…
«Dirò di più. Spesso sono sufficienti decisioni apparentemente marginali, assunte magari soltanto a livello locale. Prendiamo il caso della regione tedesca della Saar che fino al 1955 apparteneva alla Francia e che aveva indici di natalità al di sopra della media nazionale, grazie ad alcune buone politiche locali. È stato sufficiente il passaggio all’allora Germania Ovest, e quindi l’adozione di leggi sociali diverse, per far crollare la natalità».
Non le sembra che con questi ragionamenti rischiamo di stabilire un collegamento strettissimo e quasi esclusivo tra legislazioni e denatalità, escludendo fattori come le tendenze culturali, l’influenza sociale e in definitiva la libera scelta delle coppie?
«Ma le leggi purtroppo influiscono pesantemente sul modo di pensare. Ciò che la legge permette diventa di fatto, nell’opinione comune, una scelta giusta, o comunque legittima. Basta guardare ai mutamenti di mentalità introdotti dal divorzio, dall’aborto, dai Pacs e dalle altre leggi che non favoriscono la vita delle famiglie. Di fatto oggi le coppie non sono libere di scegliere se avere o non avere un figlio. Introduciamo buone leggi e la situazione cambierà».
Come potremo arrivare ad avere politiche familiari finalizzate davvero al sostegno della natalità e dell’educazione?
«Sarà l’evidenza dell’insostenibilità della situazione a convincere i politici a cambiare strada. Già oggi ci sono tanti aspetti della vita sociale, come tutto il comparto pensionistico, che con questi tassi di natalità rischiano di diventare insostenibili. Ma ci sono anche non pochi Paesi europei che, grazie a interventi legislativi mirati, hanno conosciuto in pochi anni un’evoluzione demografica positiva. Dobbiamo andare avanti su questa strada per scorgere le avvisaglie della primavera»
Qualcuno sostiene che l’insistenza della Chiesa su questi problemi rischia di trasformare la questione demografica in una battaglia quasi confessionale?
«No, l’allarme demografico non ha etichette, è un dramma trasversale che riguarda tutti, indistintamente. E, in questo confronto, il sostegno della Chiesa è prezioso, anzi insostituibile. Direi anche che esiste ancora uno scollamento tra posizioni assunte ad alto livello ecclesiale e sensibilità della base. Quindi anche il lavoro nelle nostre comunità è importante per disegnare un futuro di speranza».