IV incontro di formazione politica
relazione di Andrea Gasperini
(trascrizione da audiocassetta, rivista dall’autore)
In tutto è sempre esistita un po’ di confusione e sempre ci sarà.
Cerchiamo piuttosto di fare chiarezza su che cosa dobbiamo intendiamo per “destra” e “sinistra”.
Quando si trattano problemi dove hanno rilievo le parole, è bene andare subito a verificare come queste hanno avuto origine. Ebbene, qualsiasi manuale, libro o dizionario di politica aprirete, vi dirà che la distinzione tra “destra” e “sinistra” è nata al tempo della Rivoluzione francese.
Voi sapete che quel fenomeno che chiamiamo Rivoluzione francese non nacque immediatamente come evento rivoluzionario. Vi fu anzitutto la convocazione degli Stati generali da parte del re (naturalmente, semplifico); poi gli Stati generali, che costituivano in fin dei conti il Parlamento della Francia medievale, si trasformarono in Assemblea costituente e da lì è nato quel processo che ha portato alla ghigliottina del re, ai massacri della Vandea ecc.
Proprio all’inizio di questo processo, gli Stati generali si riunivano nella sala del maneggio a Versailles. Essa aveva un po’ la forma del Parlamento inglese: un grande salone rettangolare con banchi a destra ed a sinistra.
Dapprima le riunioni avvenivano con i delegati divisi per Stati (nobiltà, clero e borghesia) poi, dicono gli storici, per la prima volta, nel corso della seduta dell’11 settembre 1989, in occasione di una delle tante votazioni, presero posto alla destra del banco della presidenza i difensori del trono e dell’altare, anche se questa espressione verrà in uso solo dopo, ma noi la capiamo perfettamente. A sinistra, si collocarono invece i “filosofi” e la maggioranza dei parlamentari del terzo stato, decisi propugnatori di radicali modifiche all’ancien regime.
Questa prima destra, invero, non finì bene. Molti finirono ghigliottinati; qualcuno, più fortunato, riuscì a fuggire prima che la situazione degenerasse; altri, a rischio della pelle, rimasero al loro posto fino al 1791 anche quando cioè la loro capacità di incidere sulle vicende parlamentari era bene ridotta.
Fin dall’inizio, i rappresentati delle destra si trovarono a combattere con avversari numericamente superiori – e questa sarebbe stata una costante della destra nel tempo – e, soprattutto che erano riusciti ad organizzare una claque a sé favorevole dentro e fuori la sala. Soprattutto quando la Costituente si trasferì a Parigi. In pratica, gli oratori della destra, al momento di prendere la parola, si trovavano subissati di fischi o dal lancio di oggetti quando addirittura non erano problematici l’accesso alla sala o l’uscita al termine delle riunioni.
Sta di fatto che, da quel momento, “destra” significò “difesa dell’ancien regime, del trono e dell’altare” con un aureola di conservazione e di tradizionalismo.
Mi è parso opportuno fare questo breve excursus storico per chiarire come i termini “destra” e “sinistra” siano, tutto sommato, recenti nel linguaggio politico.
Non è però inopportuno, sempre nell’intento di chiarirne il significato, fare un po’ di storia. Non dico però nulla di nuovo se ricordo che il termine “destra”, in genere, è sempre stato collegato a qualcosa di favorevole. Pensate ad esempio all’espressione “braccio destro”, mentre invece si evoca la sinistra per indicare un luogo sinistro, un personaggio sinistro o un tiro “mancino”. Le Compagnie di assicurazione poi, chiamano gli incidenti “sinistri”.
Il linguaggio è dunque abbastanza chiaro: ciò che è di destra è, in genere, favorevole, quello che è di “sinistra”, è in qualche modo oscuro o sfavorevole.
Se poi, per così dire, alziamo un attimo lo sguardo e, dal linguaggio comune, andiamo ad un testo notoriamente composto ben prima della Rivoluzione francese, il quale gode, mi si passi l’espressione, di garanzie piuttosto alte, vediamo ancora una volta che le parole “destra” e “sinistra” sono usate sempre in modo inequivoco. Il testo in questione è la Sacra scrittura. Già nell’antico testamento, infatti, al Salmo 110 (ricordo che la tradizione attribuisce i Salmi al re Davide) si legge: “Oracolo del Signore al mio signore, siede alla mia destra finché io ponga i miei nemici a sgabello dei tuoi piedi“. Ovvero: la persona fedele siede alla destra.
Ma anche senza andare così lontano, chiunque frequenta la Chiesa ricorda che nel Credo, ad un certo punto, si recita che : “…(il Figlio) siede alla destra del Padre…”. C’è anche un brano del Vangelo di Matteo, assai eloquente, che vorrei leggervi; si trova praticamente a ridosso della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo e contiene le ultime profezie di Cristo sulla fine del mondo.
A proposito del giudizio finale, Gesù afferma: “Quando verrà il figlio dell’uomo sulla terra nella sua maestà con tutti gli angeli si assiederà sul trono della sua gloria e tutte le nazioni saranno radunate davanti a Lui, ma egli separerà gli uni dagli altri come il pastore separa le pecore dai capri. E metterà le pecore alla sua destra e i capri alla sua sinistra. Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: venite benedetti dal Padre mio , prendete possesso del regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo perché ebbi fame e mi deste da mangiare, ebbi sete e mi deste da bere, fui pellegrino e mi albergaste, ero nudo e mi rivestiste, infermo e mi curaste, carcerato e mi veniste a trovare. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando noi ti vedemmo affamato e ti demmo ristoro, assetato e ti demmo da bere, quando ti vedemmo pellegrino e ti alloggiammo, nudo e ti rivestimmo; quando ti vedemmo infermo o carcerato e siamo venuti a visitarti? E il re risponderà loro: in verità vi dico, ogni volta che avete fatto questo ad uno dei più piccoli dei miei fratelli lo avete fatto a me. Infine il re dirà a quelli che stanno alla sua sinistra: andate lontano da me maledetti nel fuoco eterno preparato per il diavolo e i suoi angeli perché ebbi fame e non mi deste da mangiare, ebbi sete e non mi deste da bere, fui pellegrino e non mi albergaste, nudo e non mi rivestiste, infermo e carcerato e non mi visitaste. Allora anche questi gli risponderanno: Signore, quando noi ti abbiamo visto affamato, assetato, pellegrino, nudo infermo, carcerato e non ti abbiamo assistito? Ma Egli risponderà loro: in verità vi dico, ogni volta che non lo avete fatto ad uno di questi più piccoli non lo avete fatto nemmeno a me; e costoro andranno all’eterno supplizio , i giusti invece alla vita eterna” (Mt 25; 31 e seg.).
Strane coincidenze con la politica, verrebbe di affermare; tutte però concordi con il linguaggio comune.
Ma ritorniamo alla Rivoluzione di Francia: nessuno degli storici sa spiegare perché in quella seduta i difensori del trono e dell’altare si collocarono alla destra e gli altri, i rivoluzionari, alla sinistra. Sarà stato un caso; certo, fu uno di quei “casi” un po’ provvidenziali della storia, come talvolta è dato di incontrare. Un solo esempio: non so se qualcuno di voi ha fatto attenzione al numero 17.
Ci sono tre date abbastanza significative che comprendono il 17 (tra l’altro, un numero che una certa superstizione, ritiene portatore di sfortuna): 1517 esplode la Riforma protestante, prima tappa della rivoluzione moderna; 1717, è l’anno della fondazione della prima loggia massonica moderna a Londra; 1917, c’è la presa del potere da parte dei bolscevichi in Russia. Pensiamo inoltre alla profezia di Fatima, nella quale la Madonna predisse il crollo del comunismo dopo il verificarsi di certi avvenimenti, come l’attentato al Papa, la consacrazione della Russia al cuore immacolato di Maria.
Sarà anche questo un caso, ma, come si legge nei buoni manuali di teologia, secondo cui la Madonna porta immancabilmente al suo divin figlio Gesù, allo stesso modo la profezia di Fatima si è simbolicamente avverata il giorno che è stata ammainata la bandiera rossa sul Cremino che era proprio il giorno di Natale.
Sono piccole cose, piccoli casi della storia, ma la storia è fatta dal supremo ordinatore di tutte le cose e, spesso, noi chiamiamo “caso” ciò che non riusciamo a spiegare, anche se magari una spiegazione che forse, non vogliamo vedere, esiste.
Scusate la parentesi.
Dicevamo che nel 1789 forse non è stata un caso la divisione dei rappresentanti dei tre stati secondo gli schemi nuovi di destra e sinistra che sarebbero poi stati destinati ad avere un seguito nella storia. E’ così che quel primo gesto di un manipolo di uomini ha avuto un grande significato simbolico. Simbolico come potrebbero esserlo altre coincidenza dello stesso tipo e nello stesso senso. Ad esempio, nelle lingue spagnola, inglese e francese, le parole “destra” e “diritto” sono contraddistinte dallo stesso vocabolo. In spagnolo “derecho” significa “diritto” ma anche “destra” e così anche nelle altre 2 lingue.
E’ forse il momento di cominciare a tirare le fila del discorso. Tutte queste cose infatti ci dicono qualcosa. Ci dicono che va a destra, che sta a destra, l’uomo giusto, l’uomo retto, che fa il bene, l’umile, il mansueto; mentre va a sinistra chi non fa il bene, chi è oscuro, tenebroso. Nella Bibbia si parla di uomini lascivi e si fa il paragone con il capro, il classico animale che è anche simbolo satanico. A questo punto, dunque abbiamo una immagine abbastanza precisa di due soggetti diversi: l’uomo retto e l’uomo che non lo è.
Da tutto quanto abbiamo sin qui accennato, scaturisce dunque l’immagine della destra come luogo simbolico non solo della persona che fa il bene (il che non è di poco conto) ma anche della persona virtuosa e voi sapete che la virtù è la disposizione dell’animo a fare il bene, cioè ne è la radice stessa.
Da questi piccoli tentativi di analisi, esce così l’immagine di una destra e di una sinistra che si caratterizzano non tanto da un punto di vista dottrinale, quanto da quello del “cosa si è”, degli atteggiamenti, dei comportamenti. E questo è tanto vero che, se andiamo un po’ a girovagare per la storia, ci si può anche accorgere che anche quelli che possono sembrare ideali di destra spesso e volentieri possono essere arruolati a sinistra.
Il nazionalismo, ad esempio, è in genere, considerato un valore primario della destra; ma pensate al nazionalismo moderno, che quando nasce ha tinte giacobine. Il buon (si fa per dire) Slobodan Milosevic -1941-2006- ai giorni nostri, si fa paladino del nazionalismo serbo pur essendo un comunista ortodosso e, forse, proprio l’ultimo capo comunista europeo rimasto al potere. Anche i più tenaci oppositori di Eltsin si definiscono “nazional-comunisti”.
Ed anche all’interno del mondo cattolico, dove pure certamente tutti credono in Dio (o dovrebbero), non si fa fatica a scoprire persone di sinistra. Il defunto padre Ernesto Balducci (1922-1992) era certamente una persona di sinistra e non mi sognerei di dire che non fosse cattolico, pur con le sue idee certamente molto discutibili.
Non contano dunque, secondo me, tanto le idee quanto l’atteggiamento, il modo di essere. Le idee di “destra” e quelle di “sinistra” possono cambiare. A questo potreste, ad esempio, replicare: l’uomo di destra è per l’autorità e l’uomo di sinistra è contro di essa. Ma io obietterei subito: vediamo dove siamo.
Chi, in questo momento, si trova nella Cina popolare non credo che, anche se si sente di destra, rispetti più di tanto l’autorità di quel paese. Ed ancora: si potrebbe affermare che l’uomo di destra è per la proprietà privata e questo è certamente vero in una situazione in cui essa è tematicamente non rispettata.
Ma, in una situazione, ad esempio, in cui essa proprietà sia abusata da poche persone a danno della moltitudine, l’uomo di destra, con altrettanta franchezza, e sincerità cercherà di arrivare ad una diversa distribuzione dei beni. Un solo esempio: certamente ricordate che negli USA l’ala marciante del capitalismo –e soprattutto della sua parte più ricca- sta a sinistra.
I “liberal” sono tutt’altro che nemici della proprietà privata mentre i più favorevoli a forme di riconoscimento del valore sociale della proprietà sono gli esponenti della destra americana, soprattutto quelli di stampo religioso. Tutto questo per affermare che le idee che sono propagandate in questo o quel momento storico dipendono molto dal contesto in cui le persone si trovano.
Certamente, in una situazione di caos, l’uomo di destra può essere una persona che auspica l’avvento di uno Stato forte ma, di fronte ad un Milosevic, per fare un esempio già citato, chi è di destra auspica certamente lo sfascio dell’esercito in Serbia perché forse, solo questo potrebbe far uscire la nazione dal comunismo.
Cambiano dunque le situazioni, cambiano i momenti ma chi è di destra si scopre momento per momento in questo suo atteggiamento di tendere al bene concreto, a quel che c’è da fare, senza grossi ideologismi e senza grossi schematismi o fissazioni sulle idee.
L’uomo di destra porta con sé l’immagine di un uomo retto, concreto, virtuoso, che cerca di fare momento per momento quello che è possibile. Vediamo adesso la “sintomatologia” dell’uomo di sinistra. L’uomo di sinistra, a mio avviso, è invece molto ben esemplificato da due autori che, forse, non si sono letti a vicenda ma che arrivano alle stesse conclusioni: Giuseppe Prezzolini (1882-1982) e Thomas Molnar (1921-2010). Entrambi, identificano la posizione dell’uomo di destra e dell’uomo di sinistra con due semplici parole: il primo è un realista, l’altro un utopista.
Che cosa significa utopista? Letteralmente utopia è la combinazione di due parole greche il cui significato è “il luogo che non c’è”. L’utopista è dunque colui che sogna una realtà bellissima, futura, che dovrà un giorno avverarsi ma che invece nessuno avrà mai il piacere di vedere. L’uomo di sinistra dunque è colui che denuncia la realtà esistente, che propone grandi speranze e fa grandi proclami; è l’ecologista che denuncia l’impossibilità di vivere su questa terra, è la femminista che lamenta lo sfruttamento della donna oppure lo studente che denuncia l’autoritarismo dei docenti.
La caratteristica dell’uomo di sinistra, è così la radicale denuncia dell’esistente di fronte al quale si esprime quello che è in lui veramente fondamentale: lo spirito di insoddisfazione. L’uomo di sinistra è infatti fondamentalmente un insoddisfatto. Che sia la femminista o lo studente in rivolta, il figlio scatenato contro i genitori o il proletario contro il datore di lavoro e via dicendo, l’uomo di sinistra ha sempre una fondamentale attitudine critica di fronte alla realtà che lo circonda e che spera di sostituire con una altra futura mitica, da lui idealizzata dove sarà possibile risolvere una volta per tutte tutti i problemi.
Per arrivarci, egli tenta continuamente di sperimentare qualcosa di nuovo, di riformare il reale che esiste, di distruggere ciò che esiste nella speranza che poi possa un giorno verificarsi una palingenesi, cioè un totale rinnovamento di tutte le cose con l’instaurazione di una sorta di nuovo paradiso terrestre.
Ci sarebbe molto da dire su questa mentalità che io spero riusciate a riconoscere anche negli uomini di sinistra –vicini e lontani- che vi circondano. Per quelli che tra di voi sono un po’ dotti, basterebbe a questo punto evocare una sola parolina: gnosi, mentalità gnostica ed ecco che si aprirebbe per loro tutto un mondo. La gnosi è infatti un’antica eresia cristiana poi diffusasi nella storia, caratterizzata dall’odio per il reale e che considera il mondo come “male” e lo vuol distruggere.
Anche senza andare a scomodare le parole difficili, possiamo ben comprendere come da questo senso di insoddisfazione verso l’esistente, che si proietta verso una realtà futura che noi abbiamo chiamato utopica, perché non si avvererà mai, derivi necessariamente l’incessante necessità per l’uomo di sinistra di demolire tutto ciò che lo circonda. Egli infatti, fondamentalmente non crea, sa soltanto distruggere. Quando poi ha finito di distruggere tutto, fa come il comunismo in Russia: prende il cappello e se ne va perché non è più in grado di fare altro.
Da questo punto di vista ciò che è successo in questi anni è una grande meditazione sulla storia.
Proviamo ad osservare proprio il comunismo e ad osservarlo laddove esso si è potuto sviluppare come sotto una campana di vetro cioè tra i popoli dell’Est Europa: isolati dal resto del mondo sui quali dunque l’esperimento scientifico marxista poteva realizzarsi senza disturbi (si è trattato infatti per decenni di un mondo isolato: senza collegamenti radio, televisivi, telefonici o altro verso il resto dell’umanità).
Ebbene, che cosa tale esperimento ci ha lasciato? La distruzione perenne di tutto ciò che esisteva. Avete per caso visto nascere in quelle nazioni un movimento artistico oppure un tipo di cultura o qualcosa d’altro? Al massimo tutto quello che i comunisti hanno saputo fare è stato rapinare all’Occidente ciò che esso creava o inventava.
Quanto abbiamo detto fino ad ora ci fa capire anche, ad esempio, il perché del genocidio Vandeano: voluto già dalla prima sinistra cui tantissimi altri ne faranno necessariamente seguito. Infatti, di fronte a questa perenne insoddisfazione rispetto al reale in cui abbiamo identificato la realtà ultima della sinistra che cosa c’è? C’è la speranza, il mito del mondo nuovo che deve nascere e che sarà diverso da quello esistente.
E così, a mano a mano, che la sinistra distrugge l’esistente, emerge un piccolo problema: il mondo nuovo non nasce. Ma perché -ci si chiede- questa utopia radiosa, il mondo nuovo dopo la liberazione della donna dall’uomo, dopo la liberazione degli studenti dai professori, dei figli dai padri, dei proletari dai capitalisti e via dicendo, non spunta? Perché, invece, si sta sempre peggio?
Se il mondo nuovo non nasce –verrebbe di rispondere- i casi sono due: o ci si è sbagliati, ma occorre un’enorme onestà per ammetterlo (qualche volta è anche difficile farlo: se si è messo in piedi una baracca il primo che dice “signori, ci siamo sbagliati”, rischia infatti di prendersi una pallottola nella schiena) oppure questo dipende dal fatto che esistono ancora residui del mondo vecchio che fanno resistenza e che debbono essere distrutti. Ed è questa la risposta che l’ideologo utopista finisce immancabilmente per darsi che spiega un’altra delle costanti della sinistra: i grandi massacri. Da quello vandeano alle purghe di Stalin, agli eccidi in Cambogia. Ovunque, la sinistra va al potere, ineluttabilmente massacra e lungi da me voler giudicare la buona o la cattiva fede. Mi sforzo di vedere l’oggettività.
Oggettivamente la sinistra che va al potere, poiché non vede nascere il mondo nuovo, l’uomo nuovo che tanto sbandierava, si giustifica affermando che magari c’erano ancora i kulaki (cioè i contadini russi piccoli proprietari sui quali Stalin fece ricadere la colpa del fallimento dei suoi piani quinquennali), oppure i bigotti vandeani, … e via dicendo. Da qui l’esigenza dell’uomo di sinistra di eliminare (e quando è più conseguente) anche fisicamente queste persone perché possa nascere quel mondo nuovo che è così ben raffigurato dal sole dell’avvenire.
Se questo è l’uomo di sinistra non sarà difficile a questo punto, con poche battute, delineare il suo antagonista.
L’uomo di destra non crede nelle utopie, nei grandi piani, nelle grandi ideologie fatte a tavolino. E’ in genere un realista, il che non significa pragmatista. Pragmatista è infatti colui che cerca di fare cassetta senza guardare in faccia a nessuno che cioè non ammette l’esistenza di valori che non facciano anche quadrare i conti. Realista invece è la persona che sa che di fronte a sé c’è una realtà che lui non ha affatto creato e che non potrà mai essere radicalmente cambiato.
Consentitemi adesso avviandomi a concludere, di scomodare un concetto teologico un po’ difficile.
L’uomo di destra, se cattolico, in modo cosciente e, se non cattolico, inconsciamente, è una persona che sa che esiste il peccato originale. Sa cioè che in questo mondo non potrà mai darsi la perfezione e che gli uomini pur avendo una coscienza che indica loro che cosa è giusto e che cosa non lo è, hanno però anche in sé inevitabilmente debolezze di natura, congenite (chiamiamole così, per capirci) che fanno sì che, in ogni tempo, vi saranno buoni e cattivi e che anche i buoni, lo saranno sempre in un modo relativo Questo comporta che l’uomo di destra (laico o credente) sia perfettamente conscio che in questa valle di lacrime la perfezione della cose umane non la si troverà mai.
Del resto, anche senza scomodare la teologia, è affermazione di buon senso comune quella secondo cui tutti siamo imperfetti e tutte le realtà umane lo sono inevitabilmente. Lo Stato perfetto non esiste se non nella “Repubblica“ di Platone (428/427 a.C.- 348/347 a.C.) o ne “La Città del sole” di Tommaso Campanella (1568-1638). È certo però che, almeno il primo dei due, tutto questo lo sapeva benissimo. Non esiste, non esisterà mai una giustizia che funzioni perfettamente, una famiglia che vada come un orologio o un ambiente umano di lavoro o culturale perfetto e senza macchia.
L’uomo di destra questo lo sa e si rende conto che, al massimo, nella sua vita potrà, forse, migliorare un poco quanto lo circonda, forse, anche soltanto evitare che, il reale introno a sé sprofondi ancora di più. Ma è proprio questo che, se non riesce a dargli in genere quel fascino da capo-popolo che per lo più accompagna gli uomini di sinistra, gli consente però di operare bene magari non con grandi leggi o declamazioni nelle costituzioni, ma con provvedimenti, per così dire concreti, di piccolo cabotaggio.
Badate bene, il mio non vuole essere un discorso rinunciatario, anche perché, come diremmo in altra sede, l’uomo deve operare per migliorare ciò che lo circonda. Intendo solo affermare che l’uomo di destra, ad esempio, di fronte al mare inquinato, sporco non organizza manifestazioni di piazza per chiudere tutte le industrie del mondo ma tentata faticosamente di contemperare l’ambiente con le fabbriche mediante un bilanciamento di interessi che può essere giorno per giorno mutevole.
E’ proprio in questo che la destra dimostra la propria capacità. Non prefiggendosi il paradiso in terra, l’uomo di destra cerca di fare quel poco che, di volta in volta, appare possibile. Questo ci dice anche perché l’uomo di destra può apparire antipatico. Come il grillo parlante di Pinocchio. Simpatico erano invece Mangiafuoco prometteva il paese dei balocchi e tutti sappiamo come va poi la storia.
L’uomo di destra è dunque quello che si rimbocca le maniche e si mette a lavorare.
San Giovanni Bosco (1815-1888) ne è un luminoso –anche se forse, inaspettato- esempio. Di fronte agli sfasci creati dal capitalismo della Torino della prima industrializzazione, dove donne, uomini e ragazzi venivano sfruttati per 16 ore al giorno anziché fare grandi proclami di tipo marxista, crea Valdocco, la città dei ragazzi; un ambiente per strappare dalla strada i giovani e dove era loro insegnato un mestiere. Non per nulla egli era un tenace avversario dei massoni, dei liberali e dei socialisti del tempo.
Altra persona fortemente anticomunista pur se non aveva motivo per ostentarlo –e, beninteso, senza voler arruolare nessuno- è stata, ad esempio, Madre Teresa di Calcutta (1910-1997). Quando il comunismo ha iniziato a sgretolarsi, ha silenziosamente aperto case di suore in Russia per curare i malti di Aids cui invece le infermiere sovietiche lesinavano le cure per timore di contagi e nella sua Albania per curare i malati e dare un minimo di istruzione alle ragazze a molte delle quali, del paradiso socialista, toccavano solo le alcove forzate dei burocrati comunisti.
Vorrei citare un‘altra persona che mi altrettanto cara, un politico: Antonio de Oliveira Salazar (1889-19709 per oltre 35 anni capo dello stato portoghese. Depurato della scontata leggenda nera che lo circonda, egli appare come persona assolutamente priva di clamori che, silenziosamente, senza mirare a niente di diverso che a fare giorno per giorno ciò che appariva se non il meglio meno peggio resse il Portogallo per oltre 35 anni tenendolo lontano dai conflitti e portandolo fuori da quello stato di grave arretratezza che decenni di governi liberali e massino avevano creato, perseguendo un sano progresso economico ma senza abbandonare i valori della tradizione anche religiosa del suo paese .
A conclusione di tutto quanto ci siamo detti, vi invito a serbare in mente questi due punti: il primo è che la differenza tra destra e sinistra sta in queste due parole: “realtà” e “utopia” e la seconda, che ne deriva, è che tale differenza, più che nella dottrina, consiste in un diverso atteggiamento delle persone.
Joseph de Maistre (1753-1821), autore controrivoluzionario, senza dubbio dunque, un uomo di destra, in quel suo magico libretto “Considerazioni sulla Francia” ha scritto quasi alla fine, una frase che quasi riassume tutto quanto ci siamo detti. Afferma infatti: “La controrivoluzione non è una rivoluzione di segno contrario, ma è il contrario della rivoluzione“. Cosa vuol dire? Pensate un attimo.
Avete visto prosperare il mondo comunista che poi è crollato. Bene, pochi giorni fa, abbiamo appreso dai giornali che a Gorbaciov sarebbe stata tolta la limousine nera. Dunque, i nuovi inquilini del Cremino (certamente un po’ più di destra dei loro predecessori sovietici), il massimo di sanzione che hanno applicato all’ultimo segretario del partito comunista, erede di Stalin, capo del KGB ecc. ecc., è stato privarlo della macchina di stato. Pensate invece che cosa era capitato all’ultimo zar ed alla sua famiglia. L’andata al potere della sinistra fu un massacro, quella della destra non ha provocato neanche un morto.
Tutto quello che è accaduto dal 1989 ad oggi nell’Europa dell’est è stato dunque la verifica della frase di de Maistre: “la controrivoluzione non è una rivoluzione di segno contrario”. Che cosa vuol dire? Ci chiedevamo poco fa. Vuol dire questo che la controrivoluzione (nel linguaggio di oggi, diremmo, la destra) non ha rinchiuso nei gulag i comunisti sconfitti, non ha massacrato la Gorbaciov e la sua famiglia, non ha sgozzato gli oppositori non ha fatto proclami di nuovi stati da costruire ma, giorno per giorno, tra mille difficoltà –per dirne solo una- in poche settimane, ha fatto sì che sparissero le umilianti code ai negozi alimentari. contrassegno di 70 anni di comunismo anche se non ha certo risolto tutti i problemi.
Dove la sinistra, la rivoluzione distrugge, la controrivoluzione, la destra, ricrea, ricostruisce. Cerca cioè di riannodare uno per uno quei fili che gli altri hanno strappato e tenta di ricostruire l’uomo.