Avvenire 23 aprile 1998
Medico dell’Avana in Guinea Bissau: «Lavoravo con le suore pensando di portarle all’apostasia. Invece…»
Marco Respinti
Fanny Rankin è giovane, ma ha già una vita da raccontare. Nata nel 1965 a Cuba narra la propria storia con una serenità che ci aspetteremmo solo da persone di ben altra età. Una laurea in medicina ottenuta nel regno di Fidel a Roma studia per una licenza in Scienze Religiose come borsista dell’Aiuto alla Chiesa che Soffre, l’associazione che il religioso Werenfied van Straaten fondò nel 1947 per l’assistenza alla «Chiesa del silenzio» e ai cristiani perseguitati.
La sua giovinezza è simile a quella di tanti altri cubani che, sin dai primi anni di scuola, hanno subito l’indottrinamento a base di ideologia e di ateismo teoretico pensato dal regime per i futuri leader. Fanny cresce e diviene militante a tempo pieno, poi «capetto», dunque zelante attivista fra i selezionatissimi banchi dell’università che il castrismo riserva solo ai rivoluzionari veri. Anche per lei Mosca costituisce il coronamento dell’addestramento, il suggello della formazione ideologico-politica. Responsabile dei Comitati di base della Gioventù comunista, membro del Comitato provinciale e regionale della stessa organizzazione, iscritta al Partito già a 23 anni (invece dei 30 di prammatica),
Fanny diviene uno strumento privilegiato del «lavoro ideologico» fra i giovani
«Finiti gli studi in medicina-racconta la giovane cubana – trascorsi due anni in Guinea Bissau, paese retto da un governo filocastrista, dove divenni “professoressa di ateismo scientifico”. Se oggi mi si domandasse di spiegare la sostanza della “materia” che insegnavo, non saprei rispondere… Per gli studenti che si disinteressavano del Partito comunista o che, alternativamente, frequentavano la Chiesa sono stata una minaccia: ora sento il bisogno di una confessione pubblica…».
In Guinea i medici vengono retribuiti una miseria e così il governo, d’accordo con L’Avana, utilizza personale cubano che si mostra entusiasta del «grande compito rivoluzionario» e dunque disposto a enormi sacrifici. «Lavoravo 24 ore filate ogni 48; ho preso la malaria otto volte. Spesso mi domandavo se quel lavoro fosse davvero un premio per la mia “fedeltà alla linea” o piuttosto un castigo…».
Fanny viene destinata a lavorare con certe suore cattoliche che operano nell’abisso dell’indigenza e della sofferenza. «La prima reazione fu lo sbigottimento: io, istruita per sabotare la Chiesa, costretta a operare con delle religiose? Impensabile… Ma mi sentii “confortata” quando compresi che il mio vero compito era quello di portare le suore all’apostasia. Quelle religiose furono però… più brave di me! Lentamente, faticosamente, mi resi conto che le suore svolgevano la loro missione con dedizione e gratuità autentiche, con una serietà che esprimeva un amore sincero nei confronti del popolo che noi eravamo istruiti a mitizzare. E poi non mostravano alcuna ostilità verso un agente del governo quale ero io».
A un certo punto la denutrizione e l’iperaffaticamento, uniti alle precarie condizioni igieniche e alle frequenti tempeste di sabbia della regione, causano alla giovane una seria malattia agli occhi. «Rimasi cieca per 21 giorni nella solitudine del mio alloggio. Ma fu un momento di cui ora comprendo tutto il grande valore. Io. un ciclone sempre in attività, costretta a fermarmi…».
Fanny racconta l’inizio di una trasformazione grandiosa. «Iniziai ad avvertire un vuoto esistenziale che non sapevo come riempire, dato che la mia “missione rivoluzionaria” non concedeva tempo per rapporti autenticamente umani». Da sempre animata da una sincera ricerca della verità Fanny s’interroga sulle ragioni delle proprie azioni. «Cominciò a insinuarsi la convinzione che il marxismo-leninismo non fosse affatto in grado di rispondere alle profonde esigenze che mi angustiavano. Oggi, a distanza di tempo, posso dire che Cristo mi è venuto incontro nonostante ciò che io ero».
L’inquietudine, la malattia, l’esempio di quelle «suore strane», infine un sacerdote cattolico che, missionario a Cuba, le propone – segretamente, per paura della polizia politica che controlla tutto e tutti – un «cammino di fede», costituiscono le tappe della conversione.
Intanto il governo cubano mostra di temere l’amicizia fra la giovane e le suore. Si pensa di rimpatriarla con la scusa della malattia. Ma, «miracolosamente», Fanny guarisce in breve tempo. L’istruzione cristiana ricevuta clandestinamente dalla precoce dirigente comunista a partire dall’88 culmina nel ’90, quando riceve i sacramenti. Il percorso non è stato facile: le convocazioni inquisitorie e i processi del Consejo disciplinario, gli incontri furtivi nei luoghi più impensati con un sacerdote abilmente camuffato, addirittura un fidanzato-spia messole alle costole dal regime. «Ora iniziava la vita-dice la giovane -. Desideravo tornare a Cuba da missionaria per mettere alla prova la mia fede».
In patria, Fanny è costretta a lavori umilianti dove però riesce a testimoniare il proprio credo. Lasciate tutte le cariche del partito, s’impegna nella pastorale per i detenuti politici e nell’assistenza alle famiglie. Ma il terreno scotta sempre più. Nel ’94 la ragazza decide di lasciare Cuba alla volta del Messico, dunque dell’Italia. A casa, dove risiede la sua famiglia, non può rientrare perché «persona sgradita».
«Dopo 40 anni – afferma entusiasta Fanny -a Cuba si sono finalmente sentite parole di verità: le ha pronunciate Giovanni Paolo II. Questa è l’unica strada che il mio Paese può imboccare. Alla vigilia della mia conversione avevo paura: sapevo cosa mi sarebbe toccato semi fossi fatta cristiana. Poi ho scelto di abbandonarmi al Signore per riposarmi…».