Osservatorio Internazionale cardinale Van Thuân
sulla Dottrina sociale della Chiesa
11 Maggio 2021
Stefano Fontana
Dato l’imminente inizio della SCUOLA DI FILOSOFIA CRISTIANA [VEDI QUI IL PROGRAMMA] promossa dal nostro Osservatorio, pubblichiamo questo articolo scritto dall’Autore per il “Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa” (n. 2 del 2018) in cui si riflette sulla importanza del quadro filosofico di riferimento affinché la Dottrina sociale sia adeguatamene compresa. Stefano Fontana ha ora pubblicato il libro “La filosofia cristiana. Uno sguardo unitario sugli ambiti del pensiero” (Fede & Cultura, Verona 2021 – VEDI QUI) che farà da testo per la SCUOLA e che è possibile acquistare (euro 24) e ricevere senza spese postali scrivendo a abbonamenti_acquisti@vanthuanobservatory.org.
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Credo non sia azzardato sostenere che la Fides et ratio di Giovanni Paolo II – come già la Aeterni Patris di Leone XIII (1891) – indichi la prospettiva della “filosofia cristiana”. Faccio qui riferimento ad un grande dibattito che si è sviluppato negli anni Trenta del XX secolo, specialmente in Francia, senza però limitarmi ad esso, dato che il problema della filosofia cristiana è stato affrontato e sviluppato anche in seguito e rimane attuale.
La Dottrina sociale della Chiesa ha bisogno della filosofia dato il «vincolo unico» [1] che unisce fede e ragione e in virtù della “circolarità” [2] esistente tra di esse e da non intendersi come negazione del primato della fede: «Se il teologo rifiutasse di avvalersi della filosofia rischierebbe di fare filosofia a sua insaputa e di rinchiudersi in strutture di pensiero poco adatte all’intelligenza della fede». [3]
Come deve essere la filosofia compatibile con la fede è proprio obiettivo della Fides et ratio precisare e in questo punto si deve considerare una significativa convergenza tra la Aeterni Patris e la Fides et ratio nell’indicarla nella ”filosofia dell’essere” pur con delle lievi ma non marginali varianti.
Credo che, così facendo, anche la Fides et ratio abbia fatto riferimento a quanto comunemente si indica con l’espressione “filosofia cristiana” che essa anche definisce formalmente come «filosofare cristiano», ovvero «una speculazione filosofica concepita in unione vitale con la fede» [4].
Innanzitutto verrebbe da dire che la filosofia cristiana sia la filosofia elaborata dai filosofi cristiani. Questo è in parte vero, dato la fede e la carità cristiane agiscono anche soggettivamente purificando la stessa ragione del filosofo. Però si deve constatare che sono esistiti molti filosofi cristiani che hanno prodotto una filosofia non conforme al cristianesimo anzi, in contrasto con esso.
Per esempio Cartesio era cattolico, ma l’impianto della sua filosofia alimentato di razionalismo ha dato frutti negativi dal punto di vista della filosofia cristiana. Che il filosofo sia credente, quindi, è condizione necessaria ma non sufficiente. Anche in filosofia vale il detto che l’errore è lastricato di buone intenzioni. Del resto la fede ha due lati: uno soggettivo che è l’atto di fede e uno oggettivo ossia le verità credute in quanto rivelate.
Una filosofia cristiana per essere tale deve essere conforme all’atto soggettivo della fede, in quanto anche la ragione del filosofo deve essere purificata dalla grazia, ma anche ai contenuti creduti. Dire che la filosofia cristiana è la filosofia dei filosofi che sono cristiani vuol dire tenere conto solo del primo aspetto. Chi soggettivamente si ritiene filosofo cristiano può non esserlo oggettivamente. Possiamo applicare il principio anche alla Dottrina sociale della Chiesa.
Molte persone impegnate ad incarnarla nella realtà pratica fanno però riferimento a filosofie con essa incompatibili. Sul piano soggettivo meriterebbero un encomio, ma sul piano oggettivo il loro lavoro è di fatto una storpiatura della vera Dottrina sociale della Chiesa. Questo si può dire anche per i tanti “esperti” che nel corso della sua storia si sono occupati di Dottrina sociale della Chiesa.
Soggettivamente con buone intenzioni ma oggettivamente in modo deviato e deviante, proprio per aver fatto riferimento a punti di vista oggettivamente sbagliati. Si potrebbe anche considerare la filosofia cristiana semplicemente come la filosofia vera, nello stesso senso in cui una equazione matematica è cristiana in quanto è vera e la eventuale fede personale del matematico non vi aggiunge nessuna ulteriore verità. La ragione è in grado di conoscere con tutta evidenza o tramite inferenza alcune verità che si dicono, appunto, di ragione. [5]
Esse non hanno bisogno di essere battezzate dalla fede per essere vere. La fede le accoglie come vere e ne rispetta il criterio specifico di verità. In questo senso la filosofia cristiana sarebbe la filosofia naturale ed anche filosofi pre-cristiani o non cristiani potrebbero fare filosofia naturalmente cristiana. Anche questo è in parte vero, dato che, essendo Cristo la Verità ed avendo la verità una unità analogica, tutto ciò che è vero è anche cristiano. Però, se così fosse, la rivelazione non avrebbe apportato alcuna illuminazione alla ragione naturale.
La Dottrina sociale della Chiesa sarebbe solo espressione di un’etica umana. Rispetto ad una filosofia naturale, la rivelazione sarebbe indifferente e ininfluente. Ciò contrasta con quanto afferma la religione cristiana secondo cui: a) la ragione è indebolita dal peccato originale e ha bisogno della rivelazione e della grazia; b) Dio si è incarnato in Cristo e, così facendo, ha elevato e purificato tutto l’uomo, anche nelle sue dimensioni naturali.
La filosofia cristiana tiene conto di tutto ciò e quindi non può essere semplicemente identificata con una filosofia naturale. Ogni verità è naturaliter christiana, ma ha anche bisogno di essere sostenuta e purificata dalla fede e dalla grazia. La filosofia cristiana è la filosofia che accetta tutto questo come essenziale e non come semplicemente utile. Cos’è allora propriamente la filosofia cristiana?
È il “filosofare nella fede”. Non è “l’intelligenza della fede”, perché questa è la teologia nei cui confronti rimane la distinzione di oggetto e di metodo, ma ciò non toglie che anche la filosofia cristiana, come filosofia e non come teologia, usi la ragione nella prospettiva della fede. É fare filosofia tenendo conto dell’orizzonte della rivelazione cristiana sul piano della verità, e della vita di grazia sul piano della carità, non come elementi accessori bensì come essenziali alla filosofia, affinché essa sia più compiutamente tale.
La rivelazione cristiana ha fornito alla filosofia alcune idee filosofiche che sono transitate nella filosofia per via non filosofica. [6] Questo servizio di illuminazione che la dottrina della fede ha esercitato rispetto alla ragione naturale in primo luogo concerne verità che la ragione non era ancora riuscita a conoscere e che non avrebbe forse mai conosciuto se si fosse basata sulle sole sue forze pur avendone in via di diritto la capacità. [7] La rivelazione non riguarda solo verità soprannaturali ma anche verità naturali che Dio ha voluto ugualmente rivelarci per il nostro bene.
Riguarda in secondo luogo verità che la ragione aveva già conosciuto da sola ma che la fede le ha permesso di approfondire. Concerne infine verità che la ragione aveva conosciuto ma alle quali non è stata capace di rimanere fedele, avendole nel tempo abbandonate o travisate. Riassumendo: la fede permette alla ragione di conoscere, di approfondire e di rimanere fedele a delle verità filosofiche e ciò senza sostituirsi alla ragione né chiedendole di diventare fede.
L’idea di creazione dal nulla, per esempio, appartiene alla prima categoria: la filosofia greca non l’aveva conosciuta. La legge morale e le virtù sono un esempio della seconda categoria: i filosofi greci le avevano studiate, ma la prospettiva delle Beatitudini evangeliche conferisce loro dimensioni insospettate. L’idea dell’esistenza di un diritto naturale è un esempio della terza categoria: la Chiesa lo difende e lo ricorda all’umanità quando questa lo dimentica o travisa.
L’idea del valore della persona è un esempio che comprende tutte e tre le categorie: l’idea di persona viene scoperta in profondità nel contesto della fede cristiana e la Chiesa la difende e la ricorda agli uomini quando essi se la dimenticano. La filosofia cristiana è la filosofia che “nella fede” utilizza queste ed altre idee filosofiche e soprattutto metafisiche che la rivelazione porta con sé. Si comprende qui l’importanza per la Dottrina sociale della Chiesa di questo discorso, dato che concetti come quelli sopra ricordati, di così fondamentale importanza per essa, oppure quelli relativi al bene comune, alla libertà, alla famiglia, al matrimonio, alla giustizia e via discorrendo, sono concetti che la filosofia cristiana elabora con le proprie forze razionali ma “nella fede”.
È così che essa fornisce i “mattoni” alla teologia morale e, quindi, anche alla Dottrina sociale della Chiesa. Possiamo esprimere questo concetto con le parole di Augusto Del Noce: «La fede cristiana presuppone una metafisica e la ragione non deve uscire dalla fede per svilupparla».[8] Quando lo fa, diventa positivismo, ossia rinuncia a se stessa.[9]
La dogmatica cristiana contiene una visione del reale, quindi contiene e presuppone idee filosofiche.[10] Non le sviluppa filosoficamente da sola ma le dà da sviluppare alla filosofia. Però, se la ragione filosofica lo fa staccandosi dalla prospettiva della fede e pretendendo una propria indipendenza, finisce per non riuscirci.
La fede non chiede alla filosofia di essere meno filosofia e la provoca ad esprimersi pienamente, aiutandola ad esserlo massimamente e fino in fondo. Però la filosofia non deve considerarsi indipendente da essa se vuole svolgere pienamente questo compito filosofico. Ci vuole l’aiuto costante della fede, che alimenti la ragione filosofica, la spinga in avanti e in alto, la supporti quando è in difficoltà e perde fiducia in se stessa e anche la rimproveri quando dovesse sbagliare per rimetterla sulla retta via.
Si noti bene che vera autonomia della filosofia e dipendenza dalla fede cristiana stanno insieme. [11] Questo punto è di particolare interesse per la Dottrina sociale della Chiesa, il cui lavoro sulla società civile e politica è tanto più consono a risolvere i problemi specifici tramite la ragione pubblica quando la fa dipendere dalla religione cattolica.
La corretta laicità ha origine qui. Se la filosofia pretende l’assolutezza, finisce per essere schiava di tanti interessi non autenticamente filosofici, come accade quando la politica pretende l’assolutezza. Avendo rinunciato a Dio cade vittima degli dei e così la laicità presuppone “una segreta identità tra gli dei. Se la fede pretende di dettare le regole della filosofia non rispettandone la legittima autonomia finisce per diventare ideologia.
La fede non deve asservire la filosofia a sé, la deve valorizzare come filosofia, ma questa viene veramente valorizzata quando si mette nella prospettiva della fede. Ciò può apparire paradossale a qualunque pensiero che intenda l’autonomia della filosofia come indipendenza della ragione, ma è perfettamente corretto nella visione cristiana del filosofare nella fede.
Questo rapporto, qui esaminato come relazione tra filosofia e fede, riguarda più ampiamente il rapporto tra la natura e la soprannatura. Quindi, se si corrompe la corretta visione della filosofia cristiana ne derivano danni in tutti gli ambiti del rapporto tra la Chiesa e il mondo, tra la religione e la vita sociale e politica, tra l’evangelizzazione e la promozione umana. Prendiamo ad esempio il tema della laicità della politica rispetto alla religione cristiana, molto simile alla presunta laicità della filosofia rispetto alla fede.
Se tale laicità si intende come indipendenza dalla religione, allora diventa una nuova assoluta fede religiosa di tipo laico. Se invece essa si intende “nella fede” godrà della vera autonomia, dato che la religione cristiana non si sostituisce alla politica ma le chiede di essere se stessa fino in fondo, come fa nei confronti della ragione. Potenziamento della politica e ruolo pubblico della religione cristiana sono quindi collegati.
La religione cristiana, ponendosi come religione vera, illumina la ragione politica chiedendole di essere a sua volta vera, illumina la ragione politica chiedendole di essere a sua volta vera. Per comprendere a fondo la filosofia cristiana bisogna fare riferimento alla dottrina del peccato originale.[12] Esso comporta che la natura non solo abbia bisogno della soprannatura per salvarsi, ma anche che senza di essa non riesca nemmeno a perseguire i suoi fini naturali.
La filosofia, quindi, ha bisogno della fede non solo per dar luogo alla teologia, ma anche per essere semplicemente filosofia. A meno che non pensiamo ad una natura “pura” capace di sussistere in quanto tale, anche senza il livello soprannaturale. Sappiamo però che questa è la pretesa del razionalismo ma non della ragione né della fede.
Di tutto questo c’è una riprova storica. Étienne Gilson ha mostrato che la filosofia cristiana è stata storicamente realizzata e che quindi è possibile. Ciò è accaduto nella filosofia cristiana del Medioevo e soprattutto nell’opera di san Tommaso d’Aquino. Qui la prospettiva della fede cristiana ha assunto i risultati della ragione naturale, li ha purificati alla luce delle verità rivelate e ha costruito una filosofia nuova, frutto di questa purificazione.
San Tommaso non è stato solo un interprete di Aristotele, né ha semplicemente unificato le filosofie di Aristotele, Platone, lo Pseudo Dionigi e gli Arabi, ma ha dato vita ad una filosofia originale, frutto della purificazione della ragione ad opera della fede. Questa non si è aggiunta alla ragione ma l’ha stimolata ad essere maggiormente se stessa. La filosofia di san Tommaso non è meno filosofica per il fatto di essersi sviluppata “nella fede” e “per la fede”.
Finora abbiamo parlato di filosofia cristiana in generale. É bene però precisare che il concetto di filosofia cristiana non può esistere nel protestantesimo. La Riforma luterana è all’origine dei due processi della modernità che hanno portato la ragione fuori della fede: il nominalismo e il razionalismo. Dal punto di vista della storiografia della filosofia medievale, la categoria di filosofia cristiana è centrale. Molti hanno negato l’esistenza di una filosofia nel Medioevo, periodo durante il quale essa non sarebbe stata autonoma dalla teologia.
All’origine di queste posizioni c’è il rifiuto del concetto stesso di filosofia cristiana. Per il razionalismo moderno, per esempio, il Medioevo è stato un periodo non-filosofico, sicché era necessario saltarlo e ricollegarsi direttamente con la filosofia classica. All’interno dei filosofi medievali [13] si fa spesso una gerarchia in relazione proprio all’autonomia della filosofia dalla teologia.
L’averroismo è apprezzato in quanto esempio di una filosofia autonoma, dimenticando però che è anche eterodossa, cosa insignificante solo se ci si congeda dal concetto di filosofia cristiana. San Bonaventura è considerato teologo e non filosofo, in quanto fa dipendere in modo molto chiaro la filosofia dalla teologia. Anche molti tomisti lo hanno disprezzato in questo senso, considerandolo solo come un mistico-teologo che ha piegato la filosofia alle esigenze contemplative dell’ordine francescano.
Spesso gli si contrappone san Tommaso d’Aquino che avrebbe invece garantito maggiormente l’autonomia della filosofia e più chiaramente la sua distinzione dalla teologia, anche se è pressoché impossibile negare che anche san Tommaso filosofasse nella fede e che non può, se non colpevolmente, essere appiattito su Sigieri e sull’averroismo.
La tradizione filosofica agostiniana, che transita nella Scuola francescana e culmina nel pensiero di san Bonaventura da Bagnoregio, e la tradizione filosofica aristotelica che culmina in san Tommaso d’Aquino, danno alla filosofia cristiana due accentuazioni diverse. Per san Bonaventura non c’è un piano naturale della ragione che già non sia investito dalla luce divina.
Per san Tommaso la luce divina consiste nel collocare pienamente la ragione al suo livello naturale ed aiutarla poi a svolgere il proprio compito al suo proprio livello. In ambedue i casi all’origine c’è Dio, ma per Bonaventura la sua illuminazione entra fin dall’inizio nella conoscenza naturale umana che, quindi, non è mai solo naturale, mentre per Tommaso la sapienza divina colloca ogni essere al suo livello naturale e, a quel livello, lo dota di tutto quanto ha bisogno per agire in proprio, tenendo conto della situazione decaduta posteriore al peccato delle origini.[14]
Ci sono state diverse filosofie cristiane ma tutte all’interno della filosofia cristiana. Altrimenti non rimane che la strada della separazione, che non è solo contraria all’ortodossia cattolica in quanto prepara concezioni teologiche eterodosse ma è anche contro la verità della filosofia stessa. Senza la pretesa che solo nel suo rapporto con la fede la filosofia può essere se stessa, il rapporto tra la fede e la ragione sarà sempre e solo estrinseco, accidentale e non sostanziale. Ma l’incarnazione del Verbo e la sua morte e resurrezione non possono avere carattere accidentale.
Tra san Bonaventura e san Tommaso d’Acquino si potrà allora vedere delle differenze su molti punti (anche se di numero inferiore ai punti di incontro) e, nello stesso tempo, la loro comune appartenenza ad una filosofia cristiana. Si potrà anche sostenere che un filosofo come san Tommaso abbia espresso in modo più maturo e proficuo la filosofia cristiana, senza con ciò negarla in altri. Si potrà dire che san Bonvantura, rimanendo tradizionalmente fedele ad Agostino contro le novità aristoteliche, non sia con ciò incapace di originalità filosofica e che san Tommaso, mostrando le positive virtualità di Aristotele, non sia perciò semplicemente un neoaristotelico ma che entrambi siano espressione della filosofia cristiana
La filosofia cristiana non potrà non essere realista come metodo e non potrà non partire dalla metafisica come principale forma del sapere. Il realismo è richiesto dalla fede stessa, oltre che da motivi filosofici, in quanto sia la natura che la soprannatura se non sono intese realisticamente evaporano. La vita nuova in Cristo è a valore ontologico.
La natura è assunta e potenziata dalla grazia a livello ontologico e la morte e la resurrezione di Cristo sono eventi reali in quanto hanno ricreato realmente l’universo dopo la caduta del peccato. Il peccato stesso è un fatto ontologico, come la rigenerazione della creatura dal peccato tramite i sacramenti. La religione cristiana contiene dentro di sé una metafisica realistica.
Le difficoltà nate col pensiero moderno derivano proprio dalla impossibilità di partire da una metafisica realistica. É così accaduto che nella modernità o si sono avute metafisiche non realistiche bensì idealistiche (metafisiche del soggetto e non dell’oggetto, oppure metafisiche dell’oggetto come interno al soggetto), oppure si è rinunciato alla metafisica intendendo il reale come il concreto, variamente inteso. In questo modo però o si è approdati ad un quadro del sapere di tipo immanentistico, oppure si è rinunciato ad un quadro del sapere.
Ambedue le posizioni privano l’uomo del senso del vivere. Lo smarrimento angosciato dell’uomo moderno, a cui fa riferimento anche la Fides et ratio, [15] al di là del trionfalismo di facciata, deriva dalla sua impossibilità di attingere al Senso ultimo, a Dio, dopo aver abbandonato sia la metafisica che il realismo. Un momento delicato di trapasso per quanto riguarda la filosofia cristiana riguarda la Nouvelle Theologie e, in particolare la visione di Henri de Lubac.
Qui la polemica verso la tradizione scolastica apre le porte ad una nuova visione che viene interpretata spesso come un approfondimento e un passo in avanti ma che contiene dentro di sé anche pericoli che sarebbero emersi con maggiore evidenza in seguito. La polemica contro la tradizione scolastica poteva avere alcune motivazioni storiche legate alla sua interpretazione manualistica, ma non era corretto considerare la filosofia dell’essere come astratta rispetto ai bisogni esistenziali dell’uomo (contemporaneo).
Infatti, anche i bisogni cosiddetti esistenziali dell’uomo contemporaneo che la filosofia cristiana avrebbe dovuto esprimere avvicinandosi al vissuto e alla storia, derivano dalla sua essenza di persona dotata di intelligenza, secondo le celebri definizioni di Boezio e di San Tommaso. Anche nella considerazione dell’esistenza non bisogna dimenticare l’essenza, che deve mantenere il suo primato, né è opportuno vederla di sua natura come astratta o rigida, tale da doversi collegare strutturalmente con l’esistenza perdendo il suo primato.
Ha inizio qui un collegamento equivoco con la storia che aprirà in seguito a posizioni dannose per la teologia cattolica ed anche per la Dottrina sociale della Chiesa. [16]
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[1] Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Fides et ratio, n. 80.
[2] Ivi, n. 73.
[3] Ivi, n. 77.
[5]Ivi, n. 4.
[6] É. Gilson, Lo spirito della filosofia medioevale, Morcelliana, Brescia 1988 (prima edizione Parigi 1932), p. 31.
[8] A, del Noce, Fede e filosofia secondo Étienne Gilson, in Id., Pensiero della Chiesa e filosofia contemporanea. Leone XIII, Paolo I, Giovanni Paolo II, a cura di Leonardo Santorsola, Studium, Roma 2005, p. 81.
[9] «Quando si pensa una filosofia separata, inclinarla verso il positivismo diventa una necessità, perché il positivismo è appunto una filosofia che si presenta separata dalla teologia», Ivi, p. 79.
[10] Cfr. C. Tresmontant, Le idee fondamentali della metafisica cristiana, Morcelliana, Brescia 1963.
[11] Cfr. G. Crepaldi, Laicità e verità. Cosa ci sta insegnando Benedetto XVI, Fede & Cultura, Verona 2007; Id., Il cattolico in politica. Manuale per la ripresa, Cantagalli, Siena 2012, specialmente “Il problema della laicità della politica”, pp. 57-66.
[12] Cfr. S. Fontana, Gnosi e significato politico del peccato originale, in Id., Chiesa gnostica e secolarizzazione, Fede & Cultura, Verona 2018, pp. 72-81.
[13] Per una ricostruzione della filosofia medievale come filosofia cristiana cfr. S. Fontana, La sapienza dei medievali, Fede & Cultura, Verona 2018.
[14] Per un approfondimento cfr. l’articolo di Silvio Brachetta in questo stesso fascicolo.
[15] «L’uomo è capace di giungere ad una visione unitaria ed organica del sapere. Questo è uno dei compiti di cui il pensiero cristiano dovrà farsi carico nel corso del prossimo millennio dell’era cristiana. La settorialità del sapere, in quanto comporta un approccio parziale alla verità con la conseguente frammentazione del senso, impedisce l’unità interiore dell’uomo contemporaneo. Come potrebbe la Chiesa non preoccuparsene?» (n. 85).
[16] In questo senso chi scrive nutre delle perplessità sull’impostazione data al problema da H. de Lubac rifacendosi a Blondel,, a differenza di quanto espresso in altra parte di questo fascicolo dal Prof. Aldo Giacchetti.