Voci per un dizionario del pensiero forte
di Giovanni Cantoni
La Chiesa cattolica si vuole società sui generis, in quanto fondata direttamente da Dio nella persona di Gesù Cristo e con caratteri simili a quelli di ogni società fondata indirettamente da Dio stesso attraverso la naturale socialità umana, cioè come ogni società appunto umana, istituita però direttamente dagli uomini. La visione del mondo cattolica è ritmata da una sequenza, che rende ragione di tutto l’operare della Chiesa e dei “mondi” costituiti da cattolici come risultato di una conversione e di una inculturazione, cioè come esito di una implantatio non solo religiosa, ma anche socio-culturale.
La sequenza in questione è “Creazione, peccato, Redenzione”, esprimibile anche, con particolare attenzione all’uomo, attraverso tre aggettivi atti a descrivere tre diverse condizioni dell’uomo stesso: formatus, deformatus, reformatus, “formato”, “deformato”, “riformato”. Tale sequenza suppone Dio creatore di una realtà con una ratio, una “ragion d’essere”, che l’uomo, parte di questa realtà, intuisce con il senso comune attraverso la rilevazione che “res sunt” – secondo la felice formula dello storico della filosofia e filosofo Étienne Gilson (1884-1978) -, che “vi sono le cose”, fra le quali ne vengono poi apprezzate di particolari: “homines sunt”, “vi sono gli uomini”.
Segue l’approfondimento di questa rilevazione attraverso l’operare umano, principalmente grazie a quello contemplativo che si esprime nella filosofia e coglie un diritto naturale, e attraverso la catalogazione dell’operare umano stesso e dei suoi frutti, cioè grazie all’esperienza storica, che svela l’essere dell’operatore: infatti “operari sequitur esse”, “l’agire consegue all’essere”. Un atto umano compiuto in illo tempore, in principio, il “peccato originale”, il rifiuto da parte dell’uomo della propria condizione di creatura, ha ferito l’operare umano, sia com’è posto dalla volontà che com’è espresso dall’intelligenza.
Così s’impone una restaurazione della realtà ferita, un’integrazione dei doni collegati alla creazione, alla natura, cioè l’integrazione soprannaturale della grazia, che si manifesta attraverso la Rivelazione, con la costituzione della Chiesa, che annuncia la Buona Novella, conferma i caratteri della natura anteriori alla deformazione prodotta dal peccato originale e amministra i sacramenti, veicoli ordinari della grazia, cioè dell’aiuto straordinario da parte di Dio.
Dell’annuncio fa parte la conferma di una regola di comportamento – la morale e lo sforzo, l’ascesi che l’accompagna, risposta dell’uomo al misterioso, “mistico”, aiuto di Dio -, il cui rispetto garantisce il ritorno all’origine, al punto di partenza: da Dio, come fonte, tutto viene, e a Dio, come fine, tutto va. I due itinerari vengono indicati nel linguaggio della teologia scolastica in genere, e in quello di san Tommaso d’Aquino (1225 ca.-1274) in specie, come exitus e reditus, rispettivamente “uscita” e “ritorno”.
2. Morale individuale e sociale, morale naturale e rivelata
La morale individuale è l’indicazione dei valori di riferimento ai quali l’uomo come singolo deve guardare nel suo agire perché, nato ferito dalla caduta originale, possa essere redento e tornare a Dio.
La dottrina sociale della Chiesa è l’indicazione comportamentale, cioè morale, intesa a contrastare le difficoltà costituite per l’agire dell’uomo dalla cosiddetta “questione sociale”, cioè dall’insieme delle difficoltà, derivanti dal peccato originale, dell’operare degli uomini nelle loro relazioni con Dio come gruppi sociali, nella vita di convivenza fra loro e fra gruppi sociali, e nei rapporti suscitati dalle relazioni con i beni sia dei singoli, che – di nuovo – dei gruppi umani.
Una dottrina morale sociale esiste ed è sempre esistita fra gli uomini, quale ne sia o ne sia stata l’espressione, “mitica”, cioè esemplare, o filosofica, cioè riflessa e astratta; ed essa ha trovato nella Sacra Scrittura un’espressione privilegiata, in quanto rivelata, quindi garantita dal Rivelatore. Inoltre la sua esplicitazione è passata dall’intervento episodico all’insegnamento sociale: dalla terapia sociale, dalla denuncia e dall’indicazione nel caso concreto all’educazione sociale integrale.
Così, alle indicazioni sociali veterotestamentarie seguono quelle neotestamentarie; quindi, il Magistero ecclesiastico accompagna la vita delle società alle quali annuncia, alla luce della regalità di Cristo, e nelle quali testimonia nel tempo le verità della Creazione, del peccato e della Redenzione con indicazioni sollecitate dalle necessità di tali società.
3. Dalla terapia sociale all’educazione sociale integrale
Tutti i giudizi su temi sociali, necessitati dai fatti, emessi da autorità spirituali e gerarchiche dopo la fondazione della Chiesa costituiscono espressioni della dottrina sociale della Chiesa, che è sollecitata a formulazioni sempre più organizzate dallo svolgimento della vita nella società in cui si trova storicamente a vivere; prima la società romana, che continua nella Pars Orientis dell’impero nella società romano-orientale o bizantina, poi la società romano-germanica.
Se l’intervento morale è suggerito dallo svolgimento sociale, è letteralmente incalzato dal tralignamento dell’ultima società in questione – conseguenza sub specie societatis del peccato originale – a partire dal Rinascimento, quindi dalle premesse – l’accumulazione originaria – della Rivoluzione industriale, poi dalle modifiche delle strutture organizzative della società, con particolare rilievo per quelle politiche.
Perciò, nel tempo che si stende dall’emanazione di una delle prime lettere encicliche, la Vix pervenit del 1745, di Papa Benedetto XIV (1740-1758), fino al 1961, data di pubblicazione dell’enciclica Mater et Magistra da parte di Papa Giovanni XXIII (1958-1963), cresce un corpo dottrinale di cui – nella parte IV dell’ultimo documento citato – viene data una denominazione ormai determinata, “dottrina sociale della Chiesa”, e del quale è anche indicata la portata, “parte integrante della concezione cristiana della vita”.
Punto nodale di questo itinerario è costituito dal 1891, anno di pubblicazione dell’enciclica Rerum novarum a opera di Papa Leone XIII (1878-1903), alla quale non solo nella vulgata è ormai consuetamente collegata la nozione di dottrina sociale della Chiesa come magna charta di essa. Si tratta di un legame che necessita almeno di una precisazione: l’attenzione alla societas testimoniata dal documento di Papa Leone XIII non dev’essere ridotta alla sola dimensione socio-economica del reale sociale.
L’itinerario indicato prosegue – ed è destinato a proseguire fino alla fine dei tempi – fino alla determinazione dello statuto della dottrina stessa al n. 46 dell’enciclica Sollicitudo rei socialis, pubblicata da Papa Giovanni Paolo II nel 1987, dov’è qualificata come “teologia morale”, e oltre, fino a un’esposizione compendiosa nel Catechismo della Chiesa Cattolica, del 1992, nella forma di commento sub specie societatis, cioè per l’uomo in quanto essere sociale, al decalogo.
Il che conferma che la dottrina sociale naturale e cristiana è appunto riproposizione e commento al decalogo, espressione privilegiata della legge naturale e i cui dieci comandamenti appartengono alla Rivelazione di Dio: infatti, benché accessibili alla sola ragione, i precetti del decalogo sono stati rivelati perché “una completa esposizione dei comandamenti del Decalogo – nota san Bonaventura da Bagnoregio (1217 ca.-1274) (In libros sententiarum 4, 37, 1, 3) – si rese necessaria nella condizione di peccato, perché la luce della ragione si era ottenebrata e la volontà si era sviata”.
Com’è nella natura della vita culturale delle società umane, la continua riesposizione della morale sociale nel caso concreto porta con sé anche un’altrettanto continua rielaborazione, quindi produce una maggior comprensione del deposito da parte della Chiesa, gerarchia e fedeli. Si tratta di una maggior comprensione che non comporta assolutamente una mutazione né del contenuto né, tanto meno, della natura del deposito.
Sollecitazioni che inducono a un costante approfondimento, quindi allo svolgersi del magistero sociale, sono prodotte anche dalle difficoltà del mondo non solo contemporaneo alla Chiesa, ma con cui essa concretamente convive. A queste complicazioni, che costituiscono altrettanti fattori di complessità, s’affiancano le problematiche presentate dal processo di secolarizzazione, cioè di maliziosa espunzione delle motivazioni e delle finalità religiose dalla vita delle società umane, nonché il recepimento, talora oggettivamente secolarizzante, delle acquisizioni scientifiche e le dimensioni sociologiche delle mutazioni tecnologiche, soprattutto di quelle relative agli strumenti di comunicazione sociale. Così si spiegano – fra l’altro – le prese di posizione del Magistero della Chiesa, autentici presidi, sulle nuove frontiere della bioetica e dell’ecologia.
4. La formazione della coscienza sociale
La natura di morale sociale della dottrina sociale della Chiesa ne fa alimento indispensabile per la formazione della coscienza sociale, in quanto tale dottrina contiene i princìpi di riflessione, i criteri di giudizio e le direttive di azione per la coscienza del singolo fedele. Poiché la creazione, la conservazione e la rettificazione della società deformata passano attraverso l’intervento dell’uomo come essere vivente sociale, la morale sociale non è programma né legge positiva, ma costellazione di valori d’orientamento per ogni operare sociale storicamente determinato.
L’esplicitazione della dottrina sociale della Chiesa, derivata dalle necessità storiche evidenziate, il suo passaggio da messaggio implicito a messaggio esplicito, hanno talora prodotto un certo temporaneo disorientamento, una ricezione impropria di essa. Tale ricezione impropria si potrebbe indicare come una “ricezione ideologica”, analoga a quella che trasforma l’orientamento proprio di una direzione spirituale in una legge positiva, facendo sì che il direttore surroghi il diretto subentrando in qualche modo nella di lui responsabilità.
Tale ricezione ideologica ha fatto sì che nella dottrina sociale si cercassero – talora, nella coscienza soggettiva degli stessi uomini di Chiesa, si proponessero – programmi politico-sociali anziché indicazioni di massima, anche se aggiornate alle problematiche proposte sia dal positivo che dal negativo che si presentano con caratteri di novità, di res novae, nel corso della storia.
Accanto alla ricezione ideologica si situa, negli anni 1960 e 1970, cioè negli anni immediatamente seguenti il Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965), un tentativo intraecclesiale teso a ridurre la rilevanza della dottrina sociale attraverso artifici lessicali quale la sua definizione come “insegnamento”, nella prospettiva della sua negazione, cioè della sua trasformazione in una “morale sociale della situazione”, quindi tanto condizionata dalla situazione storica da perdere quasi ogni significativa portata normativa.
A partire dal 1979 si è realizzata, da parte delle massime autorità della Chiesa, una rivalutazione della dottrina stessa – non per questo adeguatamente compresa, studiata e, soprattutto, tenuta nella dovuta considerazione – attraverso la pubblicazione di numerosi documenti da parte di Papa Giovanni Paolo II, soprattutto dell’enciclica Centesimus annus, del 1991, ricca di indicazioni sulla natura e sulla storia della dottrina sociale.
Per approfondire: vedi Congregazione per l’Educazione Cattolica, Orientamenti per lo studio e l’insegnamento della dottrina sociale della Chiesa nella formazione sacerdotale, del 30-12-1988; card. Joachim Meisner, Teologia, antropologia ed economia, trad. it., in Cristianità, anno XVIII, n. 178, febbraio 1990, pp. 9-10; Jean-Yves Calvez S.J. e Jacques Perrin S.J., Chiesa e società economica. L’insegnamento sociale dei Papi da Leone XIII a Giovanni XXIII (1878-1963), trad. it., Centro Studi Sociali, Milano 1965, pp. 7-117; Hervé Carrier S.J., Dottrina sociale. Nuovo approccio all’insegnamento sociale della Chiesa, trad. it., seconda edizione, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 1996; e i miei Dottrina sociale e lavoro umano nel messaggio della “Laborem exercens”, in Cristianità, anno IX, n. 78-79, ottobre-novembre 1981, pp. 1-20, soprattutto pp. 3-5; La buona battaglia di Alleanza Cattolica per la maggiore gloria di Dio anche sociale, ibid., anno XI, n. 100, agosto-settembre-ottobre 1983, pp. 3-5; La “rivalutazione” della dottrina sociale della Chiesa, ibid., anno XIV, n. 133, maggio 1986, pp. 3-5; Dottrina sociale, teologia morale e coscienza, ibid., anno XVII, n. 165, gennaio 1989, pp. 5-7; e L’”Anno della Dottrina sociale della Chiesa”, ibid., anno XIX, n. 189, gennaio 1991, pp. 3-6.