Sessant’anni fa nell’Oltrepò pavese una gradita forza d’occupazione
Quando si parla degli eserciti alleati che dall’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945 hanno combattuto, lungo l’intera Penisola, per liberare l’Italia dal nazifascismo, il pensiero corre subito agli anglo-americani. Qualcuno più erudito vi unisce il contingente polacco, ricordando l’alto tributo di sangue versato dai soldati polacchi nella battaglia di Montecassino. Pochissimi sono invece gli Italiani che ricordano il contributo delle divisioni brasiliane in questa fase della II Guerra Mondiale. A sessant’anni dalla fine del conflitto ripercorriamo alcuni episodi che ebbero per protagonista la Forza di Spedizione Brasiliana fin nel cuore del nostro Oltrepò.
don Maurizio Ceriani
Il Corpo di Spedizione Brasiliano (Força Expedicionária Brasileira – F.E.B.) partecipò attivamente alle operazioni di guerra della Campagna d’Italia tra il mese di luglio del 1944 e il maggio del 1945. Era composto da 25.334 uomini, al comando del Generale di Divisione João Baptista Mascarenhas de Morais, che, combattendo in prima linea fra le nevi ed il gelo del crinale appenninico, furono tra i primi, nell’aprile del ’45, ad entrare nelle città liberate della pianura padana da Alessandria a Piacenza, fino a Cremona e Lodi.
Le perdite, tra morti, feriti e dispersi ammontarono a più di 2.000. Nell’estate del 1944 l’offensiva alleata in Italia si era arrestata davanti alla cosiddetta “Linea Gotica”, che correva dall’Adriatico al Tirreno parallela all’Appennino per una lunghezza complessiva di 320 km. Imperniata sui punti strategici dei passi e dei crinali, la Linea Gotica comprendeva 117 km di reticolati, 9 km di fossati anticarro, 479 postazioni per artiglierie, 16.606 appostamenti per fucilieri, 3.604 elementi di trincea, ed un numero imprecisato di bunker in cemento, ricoveri, osservatori, e riservette per munizioni.
Nelle zone appenniniche la natura impervia e poco accessibile del terreno ha conservato tuttora un buon numero di apprestamenti militari; ancora oggi chiaramente visibili, nonostante i decenni trascorsi, costituiscono un caso più unico che raro nei Paesi europei coinvolti dalle operazioni militari della II Guerra Mondiale.
I contingenti brasiliani entrarono in azione il 15 settembre a nord di Pisa, nella valle del Serchio, ed ebbero il loro battesimo di fuoco in Versilia liberando importanti località come Massarosa, Camaiore, Monte Prana e Pescaglia. Nei mesi successivi il rigido inverno e le fortificazioni della Linea Gotica impegnarono i sudamericani in un’estenuante battaglia per strappare al nemico, quasi palmo a palmo, 400 Km da Lucca ad Alessandria, tra le valli dei fiumi Serchio, Reno e Panaro e nella pianura padana.
Il serpente con la pipa
Curioso e singolare era lo stemma della Forza di Spedizione Brasiliana, riprodotto un po’ dovunque, sugli equipaggiamenti come sulle cartoline spedite dal fronte: un serpente che fuma la pipa con i colori della bandiera brasiliana. Era accompagnato anche da un altrettanto originale grido di guerra: “A cobra està fumando”. In verità tutto questo conteneva un simpatico risvolto polemico.
L’immagine e il motto furono scelti in risposta a quanti, opponendosi all’intervento brasiliano nella guerra mondiale con l’invio di soldati oltremare, dicevano che era più facile “veder fumare un serpente, piuttosto che assistere all’imbarco della F.E.B” … ma alla fine il serpente fumò con destinazione Italia.
La religiosità dei soldati brasiliani
Un aspetto che determinò non poco il sorgere di una grande simpatia tra il contingente brasiliano e le popolazioni italiane fu la grande religiosità dei soldati sudamericani e le tradizioni cattoliche, soprattutto mariane, che portarono con sé dalla madrepatria. L’assistenza religiosa del contingente era a dir poco impressionante, soprattutto se paragonata a quella degli altri eserciti belligeranti e collocata in un momento trai più drammatici del conflitto mondiale.
Non mancava mai la S. Messa al campo, celebrata dal cappellano del reparto, mentre l’immagine di “Nossa Senhora Aparecida”, la Madonna Nera patrona del Brasile, seguiva i militari di accampamento in accampamento e veniva portata trionfalmente in processione nelle città e nei borghi liberati. Appositi canti religiosi furono composti e musicati per le truppe impegnate sul fronte italiano e raccolte in pubblicazioni, che divennero popolarissime in Brasile a guerra finita.
Nei periodi di congedo erano soliti recarsi a Roma dove era loro riservata l’udienza papale quotidiana delle 12,30. Pio XII era solito salutarli e dar loro il benvenuto in lingua portoghese, suscitando e mozione ed entusiasmo tra i presenti.
La forza di occupazione in Oltrepò
Il 2 maggio 1945 fu firmata la resa delle truppe tedesche nell’Italia settentrionale e, con la fine delle operazioni belliche, le armate alleate ricevettero l’incarico di mantenere l’occupazione militare di molti centri del nord Italia, per garantire l’ordine e la serena normalizzazione della vita della nazione, in attesa che il governo legittimo fosse in grado di far fronte alla nuova situazione.
Ai soldati brasiliani fu affidato l’incarico di “occupare” molti centri del nord ovest e in particolare l’Alessandrino, il Tortonese, l’Oltrepò Pavese e il Piacentino. Il quartier generale della F.E.B. fu istallato ad Alessandria, mentre altri comandi vennero dislocati a Tortona, Valenza, Voghera, Stradella e Piacenza. A Voghera, ribattezzata “Cidade da Vitòria” le truppe sudamericane si distinsero nell’organizzazione della grande processione religiosa con cui si celebrò il 10 maggio 1945 la fine ufficiale della guerra.
A Broni, il 24 maggio successivo, furono protagoniste di una sfilata militare alla presenza del generale Cordeiro. Ovunque questi militari furono apprezzati e benvoluti dalla popolazione.
A Casei la Madonna dei Brasiliani
I più anziani a Casei ricordano ancora i mesi di “occupazione” brasiliana. Gli ufficiali presero dimora presso il castello dei Marchesi Squadrelli, mentre la truppa venne alloggiata nelle diverse famiglie casellesi e fu un’autentica manna. Quei “bei ragazzoni dalla carnagione olivastra” si contraddistinsero subito per la grande umanità e per la generosità, con cui dividevano con la gente del posto le abbondanti derrate alimentari che venivano dalla madrepatria.
“Erano tempi duri – ricordano con gli occhi lucidi quelli che erano bambini all’epoca – c’era fame e miseria, ma i Brasiliani ci hanno aiutato tanto”. In paese la guerra aveva portato via quasi tutti gli uomini: alcuni erano morti, altri dispersi, la maggior parte nei campi di prigionia di mezz’Europa e qualcuno anche in America. Il lavoro dei campi era faticoso e impegnativo e rimanevano solo le braccia delle donne.
Ecco allora che i soldati brasiliani non si tirarono indietro al tempo della mietitura e, deposto il fucile, alla fine dei turni di servizio imbracciavano la falce, caricavano i covoni, spingevano i buoi; in fondo era un po’ come essere a casa loro.
Come compenso chiedevano una cosa soltanto di potere usare alla sera i cavalli delle fornaci per una galoppata lungo la strada per Voghera o giù verso Po. “Amavano tanto i cavalli – i ricordi s’intrecciano – ma non sapevano andare in bicicletta. Ad alcuni glil’abbiamo insegnato noi!”. Unanime infine è l’attestazione del loro fervore religioso: “avevano tutti il rosario al collo e nelle sere di maggio non mancavano mai alla funzione del mese mariano”.
A metà luglio se ne andarono e lasciarono il posto a truppe britanniche di origine indiana, ancora ricordate per il caratteristico turbante. Dei Brasiliani a Casei resta un ricordo tangibile: è la grande statua della Madonna Immacolata che accoglie orni mattina a braccia aperte i bambini dell’Asilo Carena. La vollero donare alle suore i militari venuti dal Brasile: ufficiali e soldati si tassarono per acquistarla e poi la portarono in processione per le vie del paese, prima d’intronizzarla nell’atrio dell’asilo. Ancora oggi è venerata col titolo di “Madonna dei Brasiliani”.