Abstract: la Francia è di destra e sovranista. Sommando i voti dei tre partiti di destra presentatisi l’anno scorso alle presidenziali in Francia si arriva al 35%, sette punti in più rispetto a quanto conseguito al primo turno dal presidente allora uscente (poi riconfermato) Emmanuel Macron
Il Borghese n. 4 aprile 2023
La Francia è di destra?
Basta non dirlo ai francesi…
di Giuseppe Brienza
Sommando i voti dei tre partiti di destra presentatisi l’anno scorso alle presidenziali in Francia si arriva al 35%, sette punti in più rispetto a quanto conseguito al primo turno dal presidente allora uscente (poi riconfermato) Emmanuel Macron (Renaissance già La République En Marche). Quest’ultimo, infatti, il 10 aprile 2022 ha raccolto la percentuale disarmante per un Capo di Stato in carica del 27,85%, la leader dell’opposizione di destra Marine Le Pen (Rassemblement National) il 23,15%, gli altri due candidati conservatori, la neogollista dei Républicains Valérie Pécresse e il sovranista Éric Zemmour, rispettivamente il 4,8% e il 7,07%.
In definitiva, sommando i voti dell’attuale schieramento “sovranista”, il 35% dei francesi sarebbe diventato destra, una percentuale che a distanza di 9 mesi si sarebbe addirittura raddoppiata, stando ad un recente sondaggio sulle intenzioni di voto dei francesi. La rilevazione demoscopica pubblicata l’11 gennaio 2023 dall’Institut Français d’Opinion Publique (IFOP) dà il Rassemblement National al 37%, les Républicains al 14% e il partito di Zemmour Reconquête all’8%, con l’opposizione sovranista a Macron che raccoglierebbe quindi allo stato quasi il 60% dell’elettorato francese!
Rischiando di scompaginare i piani dei Poteri Forti è soprattutto Zemmour che è attualmente al centro di una campagna di demonizzazione senza precedenti, che gli ha attirato accuse di xenofobia, di filo-colonialismo, di razzismo, d’islamofobia e, lui che è di origini ebraico-algerine, persino di antisemitismo… Fra l’altro non è nemmeno contrario all’immigrazione in quanto tale, com’è invece additato il suo omologo italiano Matteo Salvini o la stessa Le Pen.
Il problema di Zemmour con i grandi media ed ormai anche con gli ambienti filo-Ue è che si tratta di personaggio fuori dagli schemi, capace di drenare voti anche fra l’elettorato di centrodestra, parlando però apertamente di pericolo sostituzione etnica. Come accaduto di recente in occasione della polemica internazionale scatenatasi a seguito delle dichiarazioni del capo dello Stato tunisino Kais Saied.
Il 21 febbraio scorso, infatti, durante una riunione del Consiglio di sicurezza il presidente Saied ha avuto il coraggio di pronunciare un discorso molto forte nei confronti dell’immigrazione subsahariana nel suo Paese. «Esiste un piano criminale per cambiare la composizione demografica della Tunisia – ha detto –, ci sono alcuni individui che hanno ricevuto grosse somme di denaro per dare la residenza ai migranti subsahariani. La loro presenza è fonte di violenza, crimini e atti inaccettabili, è il momento di mettere la parola fine a tutto questo perché c’è la volontà di fare diventare la Tunisia solamente un paese africano e non un membro del mondo arabo e islamico».
A fronte delle condanne di razzismo arrivategli immediatamente dai vertici dell’Unione africana, l’organizzazione internazionale continentale “omologa” all’Ue, al presidente della Tunisia sono giunte queste parole di solidarietà e condivisione di Zemmour: «gli stessi paesi del Maghreb cominciano a suonare l’allarme di fronte alla deriva migratoria. La Tunisia ha deciso di prendere provvedimenti urgenti per proteggere il suo popolo. Cosa aspettiamo a lottare contro la sostituzione etnica?», si è chiesto provocatoriamente il leader di Reconquête.
Già nel 2016 Zemmour aveva stupito ed entusiasmato gran parte dei conservatori francesi ed europei con l’originalità del suo saggio Cinque anni per nulla. Cronaca dello scontro delle civilità (Un quinquennat pour rien. Chronique de la guerre de civilisations). Senza alcun problema nei confronti dell’accoglienza degli immigrati, tema sul quale fra l’altro l’Amministrazione Macron non si è dimostrata certo tenera, Zemmour spinge sulla “questione islamica”, definendo la presenza dei seguaci di Maometto in Francia una «bomba sociale da 5 milioni di persone».
In generale la sua proposta politica è identitaria, se ha espresso in più occasioni una decisa critica al multiculturalismo. Per Zemmour, infatti, consentire “zone franche” nelle quali vige la sharia è un errore mortale, poiché l’unica via percorribile per l’accoglienza è l’accettazione dei valori fondamentali dell’Occidente da parte dei nuovi arrivati. La politica deve essere all’altezza di questi temi di civiltà, leggiamo nel programma ufficiale di Reconquête (www.parti-reconquete.fr), «e non perdersi in un elenco infinito di riforme tecnocratiche senza una visione d’insieme».
Contro ogni fatalismo e disfattismo il partito di Zemmour rivendica il diritto del popolo francese di continuare a esistere: «Il nostro popolo ha il diritto di proteggere la sua identità e di riacquistare il pieno controllo sulla politiche relative all’immigrazione», debutta il primo capitolo del programma significativamente intitolato Per ritrovare la pace e la nostra identità (Pour retrouver la paix et notre identité).
Con questi ideali alti e pragmatici, riuscirà Zemmour a favorire la riunione della “maggioranza silenziosa” della Francia? Confidiamo (e speriamo) di sì.