Sono i queer, la Q della sigla LGBTQ*. Dicono di non essere né uomini né donne ma pretendono la nostra approvazione. Se li assecondassimo, come vuole la legge sulla omotransfobia, li chiuderemmo nella gabbia desolata del loro ‘non amore’.
di Silvana De Mari
Queer vuol dire “strano”. Una definizione negativa che ha bisogno di una normalità cui sottrarsi. Ma spesso questa cultura riflette un’assenza di identità che si rifugia nella bizzarria. II vocabolo queer rientra nella terminologia Lgbt, a cui, se si aggiunge una Q, diventa Lgbtq.
Anzi, visto che qualcuno potrebbe sentirsi escluso, non sia mai, si aggiunge anche un segno «*» e diventa Lgbtq*. Per spiegare cosa vuoi dire queer, la cosa migliore è ricorrere alle definizioni che ne danno le stesse persone che vi si identificano, ovvero andare a leggere i blog e i siti della galassia Lgbtq*.
Fare-copia e incolla è onesto e diminuisce il rischio di denunce. Diminuisce il rischio di guai, non lo annulla, perché la legge sull’omotransfobia colpirebbe anche il copia e incolla con 6 anni di prigione, ma qualcuno qualche rischio deve pur correrlo.
Difficile trovare una definizione di queer perché queer, per definizione, è assenza di definizione. Il queer ci dice cosa non è: non è uomo, non è donna, è un «non», senza etichette, senza schemi, senza definizione. In inglese, queer vuoi dire «bizzarro», «strano». Il dizionario di Google: «Sessualmente, etnicamente o socialmente eccentrico rispetto alle definizioni di normalità codificate dalla cultura egemone». La definizione non definisce quale dovrebbe essere la cultura egemone.
Dopo il Sessantotto, la famiglia cattolica con papa, mamma ed x figli, tutti convinti che i maschi sono maschi e le femmine sono femmine, è diventata grandiosamente minoritaria. La cultura egemone è San Remo e San Remo è Achille Lauro con la tutina. In questo momento, i trasgressivi sono quelli che vanno alla Messa in latino ed infatti Report invita alla gogna.
Queer vuoi dire strano e si definisce per quello che non è. E questo è il punto fondamentale. Chi ha una crisi di identità totale che è dolore si rifugia nel non essere. Chi non si ama vuole essere strano. Chi non ama se stesso e teme dì non poter essere amato, si rende strano di proposito così la mancanza di amore non lo ferirà, perché sarà stato lui a provocarla.
Ognuno ha diritto di essere strano. Nessuno ha diritto di pretendere di essere accettato perché nessuno può costringermi ad accettare qualcosa che è al di fuori della mia etica e della mia estetica.
La potenza liberticida del queer è che accettare l’altro diventa un dovere anche se l’altro ha fatto tutto quello che poteva per essere ripugnante. I due maggiori intellettuali sono Mario Mieli e la/il filosofa/o ex Beatrice Preciado, attualmente Paul Preciado.
Mario Mieli è considerato il paradigma della cultura gay, definito da Liberazione il più grande intellettuale queer italiano. È autore del testo Elementi di critica omosessuale, dove parla della sublime bellezza di pedofilia, necrofilia e coprofagia.
Mieli faceva spettacoli teatrali dove mangiava gli escrementi suoi e del suo cane, crudi e sconditi. I colibatteri ne saranno stati lieti. Riporto un brano pubblicato il 17 gennaio 2014 su Liberation: «Da questa modesta tribuna, io invito tutti i corpi (delle donne) allo sciopero dell’utero. Affermiamoci come cittadine intere e non come uteri riproduttivi. Attraverso l’astinenza, attraverso l’omosessualità ma anche attraverso la masturbazione, la sodomia, il feticismo, la coprofagia, la zoofilia (non vuol dire avere il micetto e mettere la foto su Facebook, ma vuol dire avere rapporti erotici con gli animali, nda) e l’aborto. Non lasciamo penetrare nelle nostre vagine una sola goccia di sperma nazionale cattolico».
Il pensiero di Beatrice che ora è Paul, ma che continua ad avere il genoma XX in tutte le sue cellule e anche se ha subito la castrazione, continua a non possedere testicoli, consiste nello sciopero totale e definitivo per tutte le donne, sostituzione della dualità vagina/pene, con la dualità ano/vibratore.
Questa persona ha un rapporto alterato col proprio corpo, al punto tale da credere che la sessualità consista nell’avere un corpo estraneo nell’ultima porzione del tubo digerente. Provare piacere a sentire il corpo di un uomo, del nostro uomo, dentro di noi e provare piacere a sentire il nostro bimbetto che se ne sta nove mesi dentro di noi, caldo e tiepido, è una reazione biologica, non una costruzione sociale ed è anche la reazione biologica in assoluto più potente insieme al legame col neonato.
La coprofagia nella razza umana è biologicamente ripugnante. Non è così per tutti i mammiferi. I conigli la praticano e i cani ci giocherellano, ma per noi sarebbe un grosso rischio sanitario, motivo per cui troviamo nauseante la coprofagia. Beatrice /Paul si limita al micio, ma non prova, almeno non denuncia, attrazione erotica per i minori. Mieli parla diffusamente della gaia riscossa della «merda».
Dal libro di Mario Mieli, Elementi di critica omosessuale: «Del coito anale, gli eterosessuali maschi temono anche l’aureola escrementizia… ‘Ma l’Amore ha eretto la sua dimora nel luogo degli escrementi’ (Yeats): noi gay Lo sappiamo bene e la nostra condizione è prossima alla gaia riscossa della merda (quando non lo è già). Anche per quel che concerne la merda, al di là del ribrezzo repressivo, sta un ricco godimento […] e quando qualcuno dice: ‘Questa merce è di merda, questo paté è merdoso’, ignora che la merda è disgustosa quanto certo scatolame e che esiste un parte delle feci, un cuore gustoso e prelibato paragonabile soltanto al più gustoso paté gras».
Più avanti aggiunge: «Noi checche rivoluzionarie sappiamo vedere nel bambino l’essere umano potenzialmente libero Noi, sì, possiamo amare i bambini. Possiamo desiderarli eroticamente rispondendo alla loro voglia di Eros, possiamo cogliere a viso e a braccia aperte la sensualità inebriante che profondono, possiamo fare l’amore con loro».
Quanto odio c’è in Mieli per sé stesso, per la sua virilità e per quella di suo padre. Nel suo libro Il Risveglio dei Faraoni racconta di aver desiderato di avvelenarlo e alla fine si suicida per saldargli i conti. In tutta la sua vita ha incontrato solo persone che hanno rilanciato la sua follia, nessuno che abbia cercato di ritrovare l’umanità che era in lui, la virilità che era in lui, quella umanità e quella virilità che lui ha oltraggiato annegandole negli escrementi e che invece erano disperato desiderio di purezza.
Tornando a queer, su donnamoderna.com troviamo la cinguettosa definizione: «La parola queer racconta di una rivoluzione che è anche estetica. Fatta di sguardi maschili segnati dal mascara o di capezzoli che spuntano da fisici androgini. Questo movimento porta con se un canone di bellezza nuovo, in cui la linea di confine maschio-femmina diventa una sfumatura».
Fosse tutto qui, chi se ne frega. Non vi illudete. Queer non vuol dire fascino androgino, queer è odio di sé, odio di quello che si è, per cui ci si rifugia vuoto del non esserlo e si cerca di riempirlo di qualcosa, qualsiasi cosa. Queer quindi può anche essere coprofagia, zoofilia ed attrazione erotica per i minori, secondo le affermazioni di quelli riconosciuti come maggiori intellettuali queer.
Non tutti coloro che si dichiarano queer mangiano escrementi ma tutti coloro che dichiarano di mangaiare escrementi sono accettati nel mondo queer come eroi. Il punto è che tutto questo ci è imposto, noi non abbiamo il diritto di trovarli brutti, per quanto loro si sforzino di essere ripugnanti.
Se ce lo lasciamo sfuggire ci sono multe di migliaia di dollari in Canada e quando passerà la legge sulla omotransfobia, ci saranno anni di galera in Italia A Mario Mieli è intitolato un circolo che riceve denaro pubblico per combattere l’intolleranza. Non tollerate chi mangia escrementi? Non amate Mario Mieli? Vi cureranno. Faranno corsi di rieducazione con i soldi dei contribuenti.
La tragedia del queer è la sua incapacità di essere, la sua fuga nel non essere, il suo sforzo di essere il più strano del reame, il nostro obbligo di accettare comportamenti che ci vengono imposti statalmente. E, accettandoli, rinchiudiamo per sempre queste persone nella gabbia desolata del loro non essere.