22 Ottobre 2019
È mai possibile che nei luoghi dove si sono verificati i principali fatti del Vangelo gli unici ad essere estromessi siano i fedeli di Gesù? Forse anche a causa di questo, come diceva Don Gianni Baget Bozzo (1925-2009), “il vero conflitto che sta per scoppiare non è quello tra Islam ed Occidente ma quello tra islamismo e giudaismo”
di Giuseppe Brienza
Gerusalemme è la Città Santa che, oggi, conta quasi 900mila abitanti. Di questi il 60% circa è di ebrei, il 40% (circa) di arabi. I cristiani rimasti nella città in cui è nato ed ha annunziato il Vangelo Gesù sono solo 15mila. In tutto Israele sono calati a 170mila, pari al 2% dell’intera popolazione.
Pensiamo che settant’anni fa i cristiani erano uno ogni 10 abitanti! Le cause? Oltre all’esodo massiccio indotto da condizioni di disfavore sociale, economico e amministrativo, anche gli indici di natalità molto inferiori a quelli dei musulmani e degli ebrei.
Qual è il problema di Gerusalemme oggi? Che ci siano condizioni di cittadinanza uguali per tutti e che sia garantita la piena libertà di accesso dei Luoghi Santi ai fedeli di tutte e tre le religioni monoteiste.
Fin dal 1847 la Chiesa cattolica (allora c’era Pio IX) ha costituito in Terra Santa il Patriarcato Latino di Gerusalemme e, attualmente, l’amministratore apostolico del Patriarcato, nominato nel 2016 da Papa Francesco è mons. Pierbattista Pizzaballa, un francescano nativo del piccolo comune bergamasco di Cologno al Serio.
Giovanni Paolo II ha visitato Gerusalemme e Nazareth nel 2000. Rispetto al primo pellegrinaggio di un Papa nella Terra di Gesù, compiuto da Paolo VI nel 1964, molte cose erano cambiate al tempo di Wojtyla. Nel 2000 sono ambiati in primo luogo i confini geopolitici: Gerusalemme è tutta sotto il controllo israeliano e, dal 1994 (Accordi di Oslo), esiste l’Autorità nazionale palestinese (Anp), allora con Arafat presidente (gli è succeduto nel 2005 Abu Mazen).
L’Anp è un organo di autogoverno oggi sull’orlo del collasso economico, con tassi di corruzione interna e di sovraoccupazione nel settore pubblico da Stato socialista (circa il 30% dei lavoratori palestinesi è occupato nel settore pubblico). Il tasso di disoccupazione in Palestina è attualmente al 31%.
Secondo la Banca Mondiale, il trasferimento di denaro proveniente da Israele, circa 2,4 miliardi di dollari l’anno, costituisce il 65% delle entrate dell’Anp e il 15% del Pil palestinese.
Molti osservatori individuano in questa situazione di morsa finanziaria una sorta di cappio messo al collo con l’obiettivo di ottenere concessioni politiche. Ricordiamo che lo Stato d’Israele è stato proclamato settant’anni fa, il 14 maggio del 1948, allo scadere del mandato britannico sull’intero territorio della Palestina (la sovranità del Regno Unito, subentrata al dominio ottomano nel 1917, fu la conseguenza dell’occupazione avvenuta manu militari in quello stesso anno).
In base al piano di spartizione della Palestina fra uno Stato arabo e uno ebraico, approvato nel 1947 dall’Assemblea generale dell’ONU, la zona di Gerusalemme comprendente anche Betlemme doveva costituire un’enclave all’interno dello Stato palestinese, sottoposta a regime internazionale sotto il controllo delle Nazioni Unite, in modo da salvaguardare i diritti di ebrei, cristiani e musulmani, la libertà di accesso e la protezione dei Luoghi Santi delle tre religioni.
La guerra del 1948-49 (durante la quale il quartiere ebraico della città vecchia fu quasi totalmente distrutto) portò però alla sua occupazione da parte delle forze israeliane (settore occidentale) e giordane (la città vecchia con i principali Luoghi Santi) e alla sua conseguente divisione di fatto, sancita dall’armistizio tra Tel Aviv e Amman (1949).
Malgrado la riaffermazione da parte dell’ONU (1948 e 1949) del principio dell’internazionalizzazione di Gerusalemme e l’approvazione del relativo Statuto (1950), Israele e Giordania procedettero all’annessione delle rispettive zone di occupazione e nel 1950 Israele proclamò Gerusalemme propria capitale (il settore giordano fu annesso formalmente da Amman, con il resto della Cisgiordania).
La Santa Sede e Israele hanno allacciato relazioni diplomatiche nel 1993 ma la condizione dei palestinesi è peggiorata progressivamente negli ultimi decenni fino al recente scacco (dicembre 2017) del riconoscimento unilaterale, da parte del presidente Donald Trump, di Gerusalemme quale capitale unica e sede del Governo di Israele, con il conseguente trasferimento dell’ambasciata degli Stati Uniti da Tel Aviv alla Città Santa (maggio 2018).
Trump sta cercando da diversi anni “l’accordo del secolo” (come lo chiama la diplomazia USA) per risolvere la questione arabo-israeliana ma, a partire dall’inaugurazione dell’ambasciata americana a Gerusalemme, nuove tensioni sono insorte in una regione sempre sull’orlo dello scontro armato. Abu Mazen poi nel luglio scorso ha sospeso tutti gli accordi con Israele proprio a causa di Gerusalemme, e la demolizione i edifici palestinesi a sud della Città Santa.
Alcuni Stati occidentali (da ultimo l’Australia), riconoscendo Gerusalemme ovest come capitale di Israele propongono di riconoscere un futuro Stato palestinese con capitale a Gerusalemme est. In questo modo, l’unica religione monoteista che rimarrebbe fuori da ogni tutela diretta o garanzia effettiva per l’accesso ai Luoghi Santi sarebbe il Cristianesimo!
Poiché lo Stato di Palestina non rinuncia a considerare la Città Santa come sua capitale, la questione di Gerusalemme continua a rappresentare un tema di particolare difficoltà nei tentativi di pace. Forse anche a causa di questo scoglio, come ha previsto Don Gianni Baget Bozzo (1925-2009), “il vero conflitto che sta per scoppiare non è quello tra Islam ed Occidente ma quello tra islamismo e giudaismo” (La guerra del futuro, “il Giornale”, 16 settembre 2003, p. 10).
In pratica lasciare un popolo arabo-musulmano come quello palestinese senza la protezione di una forza statale-militare significa innescare in automatico l’appello alla guerra santa in tutto il mondo islamico. Pensiamoci!