Dal Mahdismo ad Al Qaeda
Era possibile prevedere l’affermarsi della Jihad globale e la conseguente guerra al terrorismo? Forse sì ma era necessario, agli inizi degli anni novanta, porre maggiore attenzione agli indicatori di situazione che evidenziavano i crescenti fermenti nei Paesi di fede musulmana e che ne preannunciavano il forte disagio politico e sociale, considerare i fattori storici che avevano portato a tale situazione, non essere “innamorati” di idee e convinzioni sedimentate in pregiudizi.
L’applicazione di un sistema democratico di stampo occidentale, infatti, ed un diffuso benessere non raggiungibile nel breve periodo, si sono dimostrate condizioni insufficienti per risolvere i problemi esistenti ereditati anche dal passato, e per superare gli errori di valutazione politica commessi nel secondo dopoguerra. Ha scritto infatti Karl Meyer: “… la storia non è un programma ma un racconto che può mettere in guardia. Contiene molti avvertimenti per coloro che credono di poter anticipare il futuro… “.
Con il termine arabo di “Jihad” si intende comunemente la “guerra santa” che, secondo una interpretazione radicale, ogni “buon musulmano” dovrebbe condurre per l’espansione territoriale della fede islamica. La Jihad è quindi considerata, dall’ortodossia musulmana, non solo un mezzo di propaganda religiosa ma un vero e proprio strumento politico-militare dedicato alla realizzazione del Califfato, regime teocratico basato sulla sharia o legge islamica.
Quello dell’espansionismo arabo prima, e ottomano poi, ha rappresentato una costante minaccia per l’Europa a partire dalla morte di Maometto nel 632 d.C. fino al 1683, sconfitta turca sotto le mura di Vienna e inizio del declino dell’Impero ottomano. Califfi, Sultani ed Emiri avevano infatti conquistato, in varie fasi storiche, oltre alla penisola arabica, culla dell’Islam, un ampio territorio che andava dall’Afghanistan a tutto il Nord Africa fino al Sudan, spingendosi in Spagna ed in Sicilia.
L’espansione era continuata in direzione della pianura anatolica, dell’India e dei Balcani fino ad arrivare a minacciare seriamente l’Impero asburgico definito “il bastione d’Europa” ma lasciato troppo spesso al proprio destino dai cattolicissimi re di Spagna e dai cristianissimi re di Francia (spesso conniventi con la “Sublime Porta”).
In epoca coloniale si ebbero insurrezioni e guerre sotto la bandiera del Jihad da parte di popolazioni musulmane come ad esempio la rivolta indiana del 1857 contro l’occupazione britannica, le guerre anglo-afghane (1839-1842 e 1878-1880), la rivolta dei mahdisti in Sudan che costrinsero gli anglo-egiziani a due sanguinose campagne militari (1881-1886 e 1896-1898), la guerra d’indipendenza algerina contro la dominazione francese (1954-1962).
Il concetto di Califfato come entità politico-religiosa venne comunque meno con la dissoluzione dell’Impero ottomano alla fine della prima Guerra Mondiale e la nascita della moderna Turchia, fondata da Kemal Ataturk nel 1923, a cui bisogna aggiungere l’affermarsi di movimenti nazionalisti con vocazione “laicista” in gran parte del Medio Oriente quali ad esempio “i giovani turchi” e il “baaht”, ovvero il partito socialista della “rinascita” araba (al potere in Siria e per lungo tempo in Iraq).
In particolare negli anni venti e trenta e nel secondo dopoguerra si sviluppò un forte movimento panarabo che ebbe il suo principale esponente in Gamal Abdel Nasser. Questi, alla testa di un gruppo di giovani Ufficiali, era stato protagonista nel 1952 di un incruento colpo di stato in Egitto che affrancò definitivamente il Paese dal neo-colonialismo franco-britannico. Nasser coltivava altresì un grande ideale di rinnovamento nazionalista del mondo arabo.
Il suo obiettivo politico era quello di realizzare una grande federazione che avrebbe dovuto riscattare tutte le popolazioni musulmane umiliate dall’oppressione e dal malgoverno ottomano liberandole nel contempo dall’imperialismo occidentale. Il movimento panarabo sollevò incredibili aspettative ed entusiasmi ed il suo fallimento – a partire dal 1967 dopo la sconfitta nella guerra dei “Sei giorni” contro Israele – privò il mondo arabo di un interlocutore in grado di far valere il peso di una potenza regionale.
L’insuccesso creò anche un vuoto di ideali che favorì il riaffermarsi di movimenti religiosi che predicavano il ritorno alla “purezza” dell’Islam quali ad esempio il movimento dei “Fratelli musulmani” in Egitto, che si oppone da sempre alla secolarizzazione delle nazioni islamiche, e il movimento “Wahhabita” dal nome del fondatore, un religioso con vocazioni puritane vissuto nel settecento, che molta influenza esercita ancora oggi in Arabia Saudita sulla famiglia reale e tra i sunniti.
I responsabili di questi movimenti ritengono infatti che, in assenza del Califfato, siano i leader politici dei moderni Paesi islamici – così come emersi dal secondo dopoguerra – i responsabili della condotta politico-religiosa dei propri Stati. Purtroppo la “contaminazione” dei rappresentanti governativi nei confronti dell’Occidente “infedele” e la loro presunta sudditanza, fa sì che tali leader vengano percepiti, in qualche misura, come nemici dell’Islam vero e pertanto delegittimati di fronte ad un’opinione pubblica spesso povera, incolta, frustrata ed incapace di accettare qualsiasi cambiamento alle tradizioni ed alla cultura religiosa di cui il variegato clero islamico (ulema, ayatollah, mullah o imam) è portatore.
Oggi la Jihad è diventata la principale fonte di sostegno ideologico del terrorismo su scala globale da parte di gruppi che si richiamano alla guerra santa e che ha in Al Qaeda la principale sigla internazionale nell’alveo concettuale della quale si muovono altri movimenti locali quali il “Lashkar-e Taiba” in Kashmir e nel Punjab, la “Jemaah Islamiyah” in Indonesia e Malaysia, l'”Harakat Islamyah” (più noto come “Gruppo di Abu Saayf”) nelle Filippine, la “Jihad Islamica Yemenita”, gli “Shaabab” (Giovani) in Somalia, il “Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento” in Algeria ed altri ancora dispersi in una vasta galassia di settarismi interconfessionali.
I movimenti spirituali radicali islamici
I movimenti islamici che hanno influenzato, tra la fine dell’ottocento e tutto il novecento, le varie Jihad sono principalmente tre fra i quali spiccano i “Fratelli musulmani” ed il “Wahabismo” tra i sunniti e il “Mahdismo” – sviluppatosi culturalmente in ambito sciita – anche se la trasversalità degli interessi in campo ha, in realtà confermato il superamento del settarismo di base.
Il movimento dei “Fratelli musulmani” nasce in Egitto nel 1928 e si colloca nel quadro di un risveglio culturale e religioso che si oppone all’occidentalizzazione della società islamica promuovendo la dignità ed il riscatto delle popolazioni musulmane mediante una rigorosa osservanza dei precetti coranici e della solidarietà nella vita quotidiana. I settori privilegiati d’azione sono legati alla partecipazione attiva alla vita politica, all’insegnamento in senso tradizionale, al miglioramento delle condizioni sanitarie ed alle attività sociali condotte da nuclei di fedeli che hanno come riferimento la moschea. Uno dei temi più ampiamente dibattuti all’interno è quello della Jihad.
Messi al bando da Nasser, sono ritenuti responsabili della morte del successore, Anwar el-Sadat nel 1981, “colpevole” di aver siglato gli accordi di pace di Camp David con Israele. Dalle fila dei “Fratelli musulmani” è uscito, tra gli altri, Ayman al-Zawahiri, medico e numero due di Al Qaeda. Attualmente esiste in Egitto una componente della setta, “legalizzata” sotto forma di partito politico di stampo fondamentalista, che spera di raggiungere il successo nelle prossime elezioni confidando nell’uscita di scena dell’attuale presidente Hosny Mubarak.
Il Wahabismo, pur essendo comunemente considerato sinonimo di “fondamentalismo islamico” per antonomasia ispirandosi ad una dottrina rigida che predica il ritorno alle origini del Corano, ha rappresentato la prima grande riforma dell’Islam contemporaneo.
L’assunto teologico della dottrina, sviluppatasi nella penisola arabica nel XVIII secolo, è l’affermazione dell’assoluta unità di Dio e la lotta contro tutte le forme devianti di culto. Il suo propugnatore, Muhammad al-Wahab, è stato sempre legato alla casa dei Saud cosicché nel 1924, quando Abdul ibn Saud prese il potere in Arabia con il beneplacito della Gran Bretagna, adottò il Wahabismo come dottrina ufficiale del nuovo regno per pienamente legittimato in tutto l’Islam quale custode di due dei più importanti luoghi santi esistenti: La Mecca e Medina.
La dinastia saudita, arrichitasi con i proventi del petrolio, giustifica anche così le ambizioni e le aspirazioni al ruolo di guida del mondo arabo e di potenza regionale, in aperta contrapposizione con gli iraniani, sciiti e di ceppo indo-europeo. Riyad, nella sua logica geostrategica, ha investito considerevoli risorse economiche per finanziare gruppi religiosi islamici in tutti i Paesi del mondo (Bosnia, Albania e FYROM inclusi) con il fine di ricavarne un ritorno in immagine e in potere. Non a caso vengono considerati di osservanza Wahabita i movimenti jiahdisti di Cecenia, Afghanistan e Pakistan.
Il Mahdismo è il movimento spirituale la cui storia presenta, pur con le ovvie diverse condizioni di tempo e di luogo, caratteristiche simili alla evoluzione di
Si basa sulla figura del Mahdi, il “ben guidato da Dio” che – in ambito sciita – si ritiene possa essere l’ultimo degli Imam discendenti da Ali, che non sarebbe morto ma semplicemente “scomparso” in un luogo segreto fino al definitivo ritorno per riportare il bene e la giustizia sulla terra. Il mahdismo si è sviluppato in particolari momenti di crisi della società islamica nel tentativo di favorirne un completo rinnovamento.
Tra i mahdismi che hanno influenzato la storia più recente si ricordano quello del fondatore della dinastia fatimide, Ubayd Aliali che edificò la città di Mahdia (città del Mahdi) in Tunisia e quello dell’iniziatore della dinastia degli Almohadi, il marocchino Ibd Tmart. Il mahdismo è menzionato soprattutto per la rivolta anticoloniale in Sudan contro il dominio anglo-egiziano nell’ultimo ventennio del XIX secolo ad opera di Muhammad Ahmad che fondò un effimero Stato islamico (la Mahdiya, 1884-1898).
Il Mahdismo sudanese
Muhammad Ahmad (1844-1885) arabo-sudanese di modeste origini dopo essere divenuto capo della setta sunnita della Sammanyya, guadagnandosi la fama di mistico, intorno al 1880 si proclamò Mahdi cercando di unificare le tribù del Sudan centrale e occidentale. Nel 1881 si pose alla testa di una rivolta nazionalista contro il dominio egiziano, sostenuto dagli inglesi, che culminò con la battaglia di El Obeid (1883) e con l’assedio di Khartum (1884) che terminò nel gennaio successivo con il massacro di tutta la guarnigione della città e dello stesso comandante inglese, Gordon Pascià. Con il ritiro delle forze egiziane e britanniche dal Sudan, completato nel 1886, il Mahdi riuscì ad instaurare uno Stato islamico di tipo teocratico-jihadista che durò fino al 1898.
Le caratteristiche di questa “originale” forma di governo erano rappresentate dall’imposizione della sharia, l’eliminazione di tutti gli oppositori del regime e la distruzione della precedente amministrazione a favore del tribalismo locale. Ahmad morì di tifo nel luglio 1885 ma la vocazione politica da lui ispirata continuò sia all’interno sia all’esterno del Sudan ad opera di Abdallahi ibd Muhammad che assunse il titolo di Khalifa (il Successore). La Mahdiya si dissanguò poi in una serie di campagne condotte senza successo contro la cristiana Etiopia (1887-1889), l’Egitto (1889), con incursioni contro il nord dell’Uganda controllato dal Belgio (1891) e contro l’Eritrea italiana (1893).
Dal 1896 al 1898 le forze inglesi ed egiziane sotto il comando del Generale Kitchener attaccarono lo stato mahdista che sopravvisse fino alla battaglia di Omburman (settembre 1898) e fino a che il successore del Mahdi non fu ucciso nel novembre del 1899. In tale anno i britannici costituirono il protettorato anglo-egiziano del Sudan ma guerre, pestilenze e carestie avevano nel frattempo disperso e dimezzato la popolazione dell’area.
Al Qaeda
Al Qaeda, fondata dal miliardario saudita di origine yemenita, Osama bin Laden e ispirata ideologicamente dall’egiziano Ayman al-Zawavhiri è considerata, al momento, soprattutto un network ed un brand utilizzato per indicare una “confederazione” di organizzazioni jihadiste che si prefiggono di ripristinare l’Isiam delle origini accettando anche il ricorso a mezzi violenti e ad attentati spettacolari e feroci.
La nascita dell’organizzazione terroristica, all’origine una formazione destinata a condurre azioni di guerriglia anti-russa in Afghanistan, risale al 1988 circa. Un giovanissimo Osama bin Laden, infatti, si era avvicinato alla causa dei mu-jahidin islamici fin dall’inizio dell’invasione sovietica in quel Paese (1979) tanto da organizzare, nel 1984 una struttura a sostegno della causa afghana per reclutare combattenti, raccogliere denaro e inviare armi. Il passo successivo dell’attività politica, militare e religiosa di Osama è stato il trasferimento in Sudan del proprio Quartier generale, a Khartum, sotto la protezione del presidente sudanese Ornar al-Bashir e del partito al potete, il Fronte Nazionale Islamico (1991).
Da qui, con il sostegno di alcune organizzazioni confessionali finanziate dallo stesso bin Laden, Al Qaeda ha ampliato la penetrazione dei propri affiliati in direzione del sud-est asiatico, del nord Africa, nell’area sub-sahariana, presso le comunità islamiche di Europa e Stati Uniti. Nel 1996, a causa del crescente attivismo dell’organizzazione e dei sospetti sugli scopi dell’organizzazione, dichiaratamente porre fine all’influenza dei Paesi occidentali nei confronti di quelli musulmani e ridare vita ad un nuovo grande Califfato anche ricorrendo ad atti di terrorismo (agli integralisti islamici venne attribuito l’attentato al World Trade Center di New York del 26 febbraio 1993), Osama fu costretto ad abbandonare il Sudan.
A Khartum continuarono ad operare comunque basi operative e rimasero ingenti interessi economici della rete. Al Qaeda si riorganizzò in Afghanistan, dove nel frattempo erano saliti al potere gli studenti coranici, i taleban e, con l’appoggio del regime teocratico del Mullah Ornar, ha continuato nella attività di proselitismo e di attacco ad obiettivi occidentali.
Il 7 agosto 1998 si hanno le prime rivendicazioni a seguito degli attentati alle ambasciate americane in Kenya e Tanzania con gli esperimenti iniziali delle divulgazioni mediatiche. La più eclatante delle azioni resta quella dell’11 settembre 2001, alle Torri Gemelle di New York, cuore degli Stati Uniti e simbolo del potere economico occidentale. Questa operazione ha l’indubbia capacità organizzativa e di consapevolezza mediatica raggiunta da Al Qaeda.
Il parziale tramonto del regime talebano di Kabul, a seguito dell’intervento americano, ha generato la dispersione degli stati maggiori qaedisti, per cui bin Laden ha dovuto riconfigurare la propria organizzazione introducendo la regia della operatività basata sulla centralizzazione nelle decisioni strategiche ed affidando al decentramento l’esecuzione tattica, in modo da poter operare in termini globali pur in una situazione frammentata e geograficamente isolata. Le nuove direttive lasciano ai responsabili dei gruppi affiliati, la libertà di condurre azioni terroristiche pianificate in loco, nei tempi e nei modi ritenuti più convenienti mentre l’organizzazione centrale continua a svolgere le funzioni di supporto e sostegno tipiche di un centro direzionale/logistico e mediatico del livello strategico.
Il significato del termine Al Qaeda in arabo può assimilarsi a “la base”, con riferimento all’originale compound per l’addestramento dei mujahidin afghani, evolutasi in una “rete” di supporto al terrorismo internazionale organizzato.
I tentativi condotti fino ad ora per catturare lo “Sceicco del terrore” non hanno dato esito. A similitudine della figura dell’originario Mahdi, Osama bin Laden, sembra essere scomparso nel nulla anche se, periodicamente e per il tramite di emittenti satellitari, vengono diffusi messaggi di incitamento ai combattenti della Jihad per affermare presenze e moltiplicare effetti mediatici. Forse sopravvissuto ai devastanti bombardamenti di Torà Bora del 2001 e ai problemi renali che lo avrebbero colpito, bin Laden potrebbe essersi rifugiato nel Waziristan, aspra regione montuosa nella cosiddetta zona tribale pakistana confinante con l’Afghanistan.
In ogni caso l’alone di mistero che lo circonda alimenta ad arte il simbolismo, la fama e la leggenda della “Rete di Osama” soprattutto tra le popolazioni di fede islamica.
Conclusioni
Per porre ipoteche su scenari di ampio respiro o suscettibili di sviluppi imprevedibili, ripercorrere alcune tappe storielle può essere di aiuto nell’individuare casi di similitudine con le vicende del presente.
Ai ricercatori e agli analisti – figure professionali che si occupano di trasformare dati grezzi, in materiale realmente utilizzabile per definire scelte e strategie nei settori che spaziano dalla politica all’economia, dal terrorismo alla criminalità organizzata e nelle operazioni militari – è lasciato il non facile compito di decrittare effetti mediatici, minacce, divulgazioni e rivendicazioni in cui il vero si intreccia al verosimile nel più classico degli scenari per l’intelligence.
Sostenere, senza il supporto dell’analisi, che la Jihad globale proclamata da Al Qaeda alla fine degli anni novanta avrebbe comportato una guerra al terrorismo di lunga durate e dagli esiti incerti avrebbe potuto essere un azzardo senza uno studio accurato anche di vicende storiche lontane nel tempo.
L’avventura del Mahdi in Sudan ha delle indubbie analogie con quanto fatto da Osama bin Laden nello sviluppare la rete di Al Qaeda – pur considerando le diverse condizioni temporali – ma la costruzione dello scenario globale è passata attraverso procedure complesse, articolate in fasi successive monitorate costantemente per incrementare il fattore prevenzione soprattutto dopo l’evento-sorpresa dell’11 settembre, il vero punto di non ritorno, lo spartiacque del terrorismo internazionale che ha prodotto non solo il terrore delle dimensioni dell’attentato, ma soprattutto la paura della paura, il timore che un’interpretazione approssimativa o una valutazione sfumata possano generare insicurezza e paure diffuse che a loro volta potrebbero produrre misure severe in nome delle sicurezza collettiva minando alle radici la base della democrazia dell’occidente: la libertà.