di Piero Gheddo
Il 12 aprile scorso la Guinea Bissau è stata teatro di un colpo di stato militare, il sesto avvenuto nell’Africa occidentale dal 2008 ad oggi: in Guinea Bissau (2009 e 2012), Mali (2012), Niger (2010), Guinea Conakry e Mauritania (2008). In Italia, non ce ne siamo nemmeno accorti.
Per i nostri giornali, anche quelli che hanno 60-70 o più pagine al giorno, l’Africa è quasi scomparsa, ma quei pochi che hanno pubblicato qualcosa, per spiegare la molteplicità di questi nefasti accadimenti, e nel caso specifico della Guinea Bissau, oltre alla corruzione delle classi dirigenti, si sono subito impegnati ad attribuire la responsabilità alle ingerenze straniere.
Siamo ancora al terzomondismo stile No Global. La colpa è sempre delle potenze straniere, delle multinazionali, del neocolonialismo occidentale. Una cosa è certa, scrive un giornale: questi ribaltoni avvengono sempre e comunque con complicità straniere, mai dichiarate e strettamente connesse a interessi di tipo commerciale.
Non si tenta nemmeno di spiegare che la corruzione delle classi dirigenti, le dittature e i colpi di stato vengono soprattutto dal fatto che buona parte del popolo vive a livello di pura sopravvivenza; e poi dalla mancanza di scuola e di istruzione, che dia alla gente la coscienza della propria dignità e la capacità di unirsi per conquistare la libertà di parola e di voto.
In Guinea Bissau, dove sono stato più volte, le statistiche dicono che i guineani sono per il 47,8% analfabeti, ai quali vanno aggiunti i molti analfabeti di ritorno, quelli che hanno imparato a leggere ed a scrivere nelle elementari, ma poi non hanno mai letto o scritto! La visione “terzomondista” del rapporto Occidente-sud del mondo suscita, soprattutto negli intellettuali e nei giovani di quei popoli, frustrazione, rabbia, impotenza, sensi di rivolta e di vendetta, sentimenti negativi per lo sviluppo dei loro popoli: se la colpa della nostra situazione di miseria è dell’Occidente, la soluzione è di odiare e combattere contro l’Occidente, di umiliare l’Occidente.
Li educa a protestare, denunziare, proclamare la lotta di classe fra poveri e ricchi, ma non ad un impegno personale costante, onesto e sacrificato, rivolto anzitutto all’educazione dei loro popoli, come sarebbe necessario.
La Guinea Bissau ha conosciuto una guerra civile devastante, durata pochi mesi nel 1998, che ha distrutto quel poco di industrie produttive ereditate dai coloni portoghesi. Ero stato da poco in Guinea e a Roma mi è capitato di pranzare con uno studente e un professionista guineani, che mi chiedevano notizie del loro paese e di che idea mi ero fatto di quella breve guerra civile. Dicevo che era scoppiata fra il presidente Nino e le sue forze speciali e il capo delle forze armate, Ansumane Mané e che la gente riteneva Nino il principale responsabile, che non tollerava opposizioni al suo trentennale potere a cui era arrivato con un altro colpo di stato. Ma ai miei due amici questo non interessava.
Hanno cominciato a discutere se la colpa era della Francia o del Portogallo, che per i loro interessi avevano venduto armi all’una o all’altra parte. In Guinea la gente aveva tutt’altra visione e ricordava le colpe di Nino o del suo avversario. Ma per i due intellettuali, che leggevano i giornali italiani e francesi, la colpa era di Francia o Portogallo.
Il presidente americano Barack Obama, visitando il Ghana l’11 luglio 2009, parlando al Parlamento della capitale Accra ha lodato i progressi fatti dall’Africa, ma ha aggiunto: Le promesse di sviluppo fatte al momento dell?indipendenza devono ancora essere mantenute. Paesi come il Kenya, che quando sono nato io aveva un reddito pro capite maggiore di quello della Corea del Sud, sono rimasti drammaticamente indietro. Malattie e conflitti hanno devastato intere parti del continente africano.
E’ facile addossare ad altri la colpa di questi problemi. Ma l’Occidente non è responsabile della distruzione dell’economia dello Zimbabwe nell’ultimo decennio o delle guerre in cui vengono arruolati bambini tra i combattenti. Sarete voi a plasmare il futuro dell’Africa. E soprattutto, saranno i vostri giovani.
Il confronto fra un paese asiatico e uno africano citato da Obama è significativo. La Corea del Sud era devastata dalla guerra civile fra Nord e Sud (1950-1953). Nel 1961 aveva un debito estero esorbitante (dodici miliardi di dollari) e viveva confidando negli aiuti e prestiti dell’alleato americano. Il paese, piccolo e senza risorse naturali, negli ultimi 50 anni ha avuto il suo boom economico, ha pagato i debiti pregressi, è passato da 27 a 50 milioni di abitanti ed è diventato una delle tigri asiatiche, con un reddito medio pro-capite di circa 20.000 dollari (la Corea del nord, 555 dollari!).
Com’è possibile? La Corea del sud ha conquistato da circa trent’anni la libertà politica ed economica e i suoi governi hanno privilegiato la scuola e il libero mercato: nel 1960 aveva il 45% di analfabeti, oggi solo il 2 per cento! Libertà politica ed economica e istruzione sono le due priorità che permettono ad un paese povero di crescere nel cammino verso lo sviluppo. Nella Corea del Sud la scuola è obbligatoria per tutti dai 6 ai 14 anni e ci vanno.
Il Kenya, indipendente dal 1963, aveva il 40% di analfabeti e un reddito medio pro capite di 200 dollari. Oggi ha il 15% di analfabeti e un reddito di 481 dollari pro capite. Non si è sviluppato a causa di lotte e guerre intestine, l’instabilità politica, la corruzione dilagante che assorbe gran parte degli aiuti dall’estero, la miseria delle sue scuole, le divisioni e le lotte tribali.