Una recente indagine segnala l’aumento dei figli nati fuori dal matrimonio
di Ferdinando Montuschi
Ogni affrettata generalizzazione risulta sempre impropria, ma il dato rimane in tutta la sua crudezza e sembra altresì indicare che là dove la libertà individuale dei coniugi prevale, finisce per prevalere anche la logica del possesso, dell’avere – in questo caso “avere un figlio” – piuttosto che la logica del condividere, del costruire, del dar vita ad una famiglia stabile “assieme a un figlio”.
Il figlio “naturale” che nasce fuori dal matrimonio trova una casa e, forse, anche tutti e due i suoi genitori, ma non trova una famiglia “riconosciuta” all’interno della quale poter fare la esaltante esperienza di “piena appartenenza”. Il senso di appartenenza ad una realtà sociale “forte”, ad una famiglia riconosciuta e stabile garantisce al bambino una sicurezza fondamentale, importante per il suo sviluppo affettivo e sociale.
Per il bambino non è la stessa cosa “stare con” genitori che hanno deciso di vivere insieme solo provvisoriamente – e prevalentemente per loro – rispetto alla esperienza di “stare insieme” a genitori che, con lui, costituiscono una famiglia e decidono di rimanere uniti non solo per loro, ma anche per lui.
La famiglia non è una istituzione costituita per l’anagrafe, per il fisco e per i censimenti: è fondamentalmente una realtà umana e affettiva unica che offre una esperienza irripetibile e insostituibile per ciascuno dei suoi membri e i cui esiti – positivi o negativi – ricadono prevalentemente sui figli, come dimostra la pratica della psicoterapia. La sorte del bambino che nasce al di fuori della famiglia è legata all’interesse che i suoi genitori hanno – e continueranno ad avere – nello stare insieme e nel rimanere con lui.
La “possibilità” che ciascuno di loro vuole conservare per nuove possibili decisioni viene enfaticamente chiamata “libertà”. Vista con gli occhi del bambino quella medesima libertà è invece incertezza, provvisorietà, pericolo per la stabilità della sua condizione affettiva e relazionale.
Nei casi più fortunati quel bambino potrà essere riconosciuto dal padre e dalla madre che lo hanno messo al mondo; potrà essere assistito, nutrito, frequentare anche una scuola importante: ma nessuno, e nessuna norma, potrà mai farlo sentire membro di una famiglia vera, potrà garantirgli di avere una infanzia senza abbandoni, senza improvvise tempeste affettive capaci di sconvolgere il clima familiare in cui vive.
Tutto può improvvisamente azzerarsi se continua a prevalere la libertà senza responsabilità. Quel bambino non può pretendere nulla dalla sua famiglia perché la sua famiglia non esiste, non è mai esistita essendo prevalsa la “libertà personale” dei suoi genitori, timorosi di legarsi, di impegnarsi, di rimanere ingabbiati in una condizione affettiva scomoda.
La libertà riservata e conservata per sé, da parte di chi vuole un figlio senza dar vita ad una famiglia, ricade così pesantemente sulla sicurezza personale del figlio che nasce: sul suo presente e sul suo futuro. È questo il momento in cui la libertà, priva di responsabilità, mostra il suo vero volto e svela l’egoismo a due annidato al suo interno.
Questo fenomeno può anche rimanere estraneo al codice civile e al codice penale ma non al diritto e al bisogno primario di ogni bambino che nasce: il bisogno-diritto di appartenere e di essere amato senza condizioni.