«La liturgia è l’arca di Noè del Cristianesimo»

La Verità domenica 7 Luglio 2024

Lo scrittore tedesco: «Il rito permette alla fede di prendere forma, per questo il sacerdote rivolto alla comunità invece che a Oriente contribuisce allo scolorimento della preghiera in mero discorso pubblico. Bergoglio combatte la tradizione e l’autorità papale ne soffre»

di Francesco Borgonovo e Maddalena Loy

Martin Mosebach è uno dei principali autori di lingua tedesca al mondo. Tra i suoi capolavori, L’eresia dell’informe (pubblicato qui da Cantagalli, a cura di Leonardo Allodi), una profonda riflessione sulla liturgia che,partendo da temi ecclesiali,diventa una radiografia del contemporaneo

Lei ha grande interesse per la forma. Perché? 

«Fra i grandi errori del pensiero moderno vi è quello di negare una differenza fra contenuto e forma. Si sostiene che siano possibili contenuti indipendenti dalla forma nella quale si presentano. Questo non è affatto vero. Contenuto e forma sono indissolubilmente intrecciati l’un l’altro. Se la forma viene modificata, anche il contenuto si trasforma. La forma – la forma percepibile in modo sensibile – è incredibilmente potente. Essa governa il contenuto.

Già nella lingua lo constatiamo – ogni parola è la forma di un pensiero – e senza questa forma non potremmo nemmeno pensare. E quando trasformiamo la lingua, quando cerchiamo di tradurre un pensiero in un’altra lingua, allora la nostra esperienza, anche nella traduzione più fedele, è quella come minimo di un qualche slittamento del pensiero originale -poiché il suono, la poesia di una parola non sono mai completamente traducibili, la loro importanza per il significato di questa resta massima».

La questione della liturgia è un problema anche di forma?

«Per la liturgia – per ogni liturgia immaginabile di ogni immaginabile religione – questo fondersi di contenuto e forma vale nella misura più elevata e addirittura in modo esemplare. Il rito è la illustrazione e il prender forma della fede – il suo sensibile divenir forma. La fede religiosa rimane una pura affermazione, una vuota costruzione concettuale, fino a quando non diventa sperimentabile in modo corporeo e sensibile nei riti religiosi.

Solo in minima parte è con la testa che crediamo. Il corpo assume un ruolo decisivo per ciò che assumiamo come vero nella religione. Chi si inginocchia davanti all’ostia consacrata, crede alla transustanziazione in modo assai più fermo di colui che rimane in piedi o addirittura seduto. Lo sviluppo della riforma liturgica, a partire da Paolo VI, ha reso questo evidente: la soppressione delle forme di riverenza ha pregiudicato notevolmente la fede nella presenza reale del Salvatore nelle specie eucaristiche, in molti casi tale fede è addirittura scomparsa. E questo senza che la dottrina fosse stata modificata! » .

Molti giovani sono attratti dalla messa antica. Perché?

«Di fatto vi è una schiera di giovani ai quali la dissoluzione della religione in chiacchiere pastorali non impegnative basta più. Essi ricercano una autentica e oggettiva esperienza religiosa; essi vogliono entrare in un mondo che si differenzi radicalmente dalla cultura contemporanea, nella quale è negata la possibilità della trascendenza.

Nel termine trascendenza si trova già la risposta alla sua domanda: superare i confini – proprio giovani sensibili alla religione vogliono uscire dalla gabbia ostile allo spirito della cultura contemporanea e scoprono questa possibilità nella liturgia tradizionale – forse anche proprio perché essa viene denigrata dai protagonisti della Chiesa ufficiale. Dalle cui schiere provengono molte accuse: quella di estremismo, senza che ci si preoccupi dei motivi che spingono i giovani a questa reazione».

Cosa intende per «crisi della preghiera»?

«A me pare che alla preghiera pubblica della Chiesa sfugga quella che dovrebbe essere la più autentica intenzione della preghiera: l’adorazione del Dio Creatore, onnipotente e impensabile, al quale colui che prega deve la sua esistenza. “Se Dio esiste, la sua adorazione è l’unica azione ragionevole” (Nicolás Gomez Dávila). Questo si esprime anche al livello corporeo – chi prega vuole prostrarsi davanti a Dio, così come si dice ripetutamente nel Nuovo Testamento: “Si prostrò e lo adorò”.

Si tratta di un’azione istintiva, senza riflessione. La preghiera pubblica, invece, viene frequentemente utilizzata per l’istruzione religiosa, purtroppo spesso anche per scopi politici. E attraverso la posizione del sacerdote, rivolto alla comunità, anziché essere inchinato a Oriente verso Cristo che ritorna, così come è avvenuto nell’intera storia della Chiesa insieme alla comunità, la preghiera sacerdotale appare come un discorso con la comunità, non rivolto a Dio. Qui il problema della forma diventa di nuovo evidente: con il solo mutamento di orientamento, la preghiera diventa qualcosa di assolutamente diverso».

Le piace la «forma» che ha assunto la Chiesa attuale?

«Neanche per me è così importante il fatto che non mi piaccia. Tuttavia essa non è caduta dal cielo, ma deve accettare il confronto con ciò che ha rimosso. E a tale riguardo occorre dire che la differenza è così stridente che qualsiasi osservatore imparziale deve immediatamente rendersi conto che essa è divenuta il rito di una religione assai diversa da quella che anche il Vaticano II, ancora collegato alla tradizione bimillenaria della Chiesa ha proclamato – e cioè una religione antropocentrica, non più teocentrica. Chiunque abitualmente confida nei propri occhi lo può accertare. Estetismo – questa parola con la quale chi segue il rito rimosso viene tranquillamente sospettato – non vuol dire altro che “confidare nei propri occhi”».

Com’è cambiato il papato da Giovanni Paolo II a Francesco, passando da Benedetto XVI?

«I Papi qui richiamati esprimono le tre correnti essenziali presenti nel Concilio Vaticano II: i riformatori, i rivoluzionari e i conservatori. Giovanni Paolo II, con il suo rapporto positivo con il Concilio, appartiene ai riformatori, che volevano rafforzare l’influenza indebolita della Chiesa sulla politica e sulla società.

Questo partito della riforma si era dapprima imposto al Concilio, ma nei decenni successivi si è trovato a subire una crescente pressione davanti ai rivoluzionari, i quali volevano una Chiesa diversa. Giovanni Paolo II, con la sua notevole autorità personale, tentò di resistervi, ma senza intervenire e regolare la situazione con gli strumenti a disposizione della sua carica e funzione.

Anche il suo successore Benedetto XVI, ha fronteggiato un vero e proprio reggimento, anche se, al momento di assumere la sua carica, trovò una Chiesa già ampiamente scossa dal partito rivoluzionario. Nel suo Pontificato, da lui stesso troppo presto interrotto, ha tentato di contrastare il partito rivoluzionario sul piano teologico, rigettando l’idea di una rivoluzione nella Chiesa – idea che non poteva corrispondere al carattere della Chiesa come custode della tradizione, con il vincolo di preservarne la continuità.

Con papa Francesco, infine, il partito rivoluzionario ha assunto il governo della Chiesa. Con il suo governo ondivago e spesso contraddittorio, è iniziata una lotta contro la tradizione della Chiesa, – più con la creazione di un’atmosfera in cui tutto sembra essere possibile che con decisioni rivoluzionarie, e dove non sussiste più alcun legame con il Depositum Fidei, e dove nessuna normatività e ordine hanno più valore.

L’autorità papale ne ha sofferto a tal punto che non è immaginabile come il suo successore la possa di nuovo ristabilire. Tuttavia proprio questo sembra essere lo scopo di papa Francesco: la irreversibilità del processo di dissoluzione da lui iniziato».

La parola oggi appare separata dalla verità e manipolabile dal potere. È così?

«Che l’esercizio del potere sia collegato all’uso della lingua lo sapeva già Platone, per il quale il presupposto di un buon governo era la chiarificazione dei concetti. Tuttavia questo vale anche per un governo cattivo e per i media, i quali hanno intrapreso un’opera di ridefinizione del significato delle parole che intimidisce i cittadini: ora si può essere colpevoli di parlare “in modo falso”, dal momento che il parlare presuppone il pensare – almeno talvolta – e un parlare falso tradisce un pensare falso.

Gli eccessi del “wokismo” mi fanno ricordare la rivoluzione culturale cinese, che voleva estirpare “i quattro cattivi valori”, come di fatto poi avvenne: il pensiero tradizionale, i costumi tradizionali, le antiche leggi e le antiche consuetudini religiose. È necessario difendersi contro questo attacco alla libertà – per questo, talvolta, occorre coraggio. Occorre difendere l’umanità – e per questo occorre anche essere del tutto inopportuni».

Cosa pensa del cosiddetto politicamente corretto e della cultura della cancellazione?

«Mi sembra sempre che la piaga della correctness politica e della cancel culture che compare con essa, sia più un problema del Nord europeo – il popolo italiano mi sembra ampiamente immune da questa rivolta contro l’evidenza, associata al desiderio puritano di denunciare.

Potendo parlare di un carattere nazionale, allora la mia impressione è che gli italiani dispongano di uno sguardo lucido sulla condition humaine. La pregressa onnipresenza della Chiesa cattolica con la sua grande struttura dogmatica e la contemporanea capacità di assecondare, in modo molto umano, una certa licenziosità, è riuscita per tempo a rimuovere dal terreno il rischio del terrore puritano settario. Nel Nord occorrerà tempo per superare questo fatale decorso».

Lei è sempre a favore del divieto di blasfemia, che le ha portato tante critiche

«Confesso che il mio intervento sulla punibilità della blasfemia aveva un carattere polemico. Ovviamente ho ben chiaro il fatto che perseguire la letteratura e l’arte blasfeme implichi notevoli difficoltà. Processi di questo tipo hanno solitamente l’effetto di una diffusione ancora maggiore di tali opere.

Ha conseguenze anche fatali il fatto di rimettere ad un tribunale la decisione sul carattere di un’opera d’arte. Vi sono opere che nel loro tempo furono considerate blasfeme, opere che io ammiro in misura estrema, ad esempio i Fleurs du mal di Baudelaire, la cui condanna, per il tribunale, rappresentò una figuraccia. Tuttavia Baudelaire dovette sopportare il rischio, mentre la blasfemia moderna è del tutto priva di rischi e ci si può perfino compiacere del pubblico applauso – e certo quando questa si dirige contro il Cristianesimo: era questo che mi aveva riempito di disgusto.

Noi sappiamo che quando si tratta della diffamazione dell’Islam le cose stanno diversamente. Ogni artista ora riflette parecchio se un vilipendio della religione islamica sia artisticamente così necessario fino al punto di esporsi al pericolo».

A proposito di cultura della cancellazione: i prossimi cancellati saranno i cristiani?

«In parte questo è già accaduto. Il fatto che il Cristianesimo sia la base dei diritti umani ben intesi, in ampi circoli potrebbe non essere più accettato. Nella maggior parte dei Paesi occidentali, un intellettuale che come cristiano si dovesse esprimere contro il diritto all’aborto, viene escluso dal discorso pubblico.

Tuttavia anche la costituzione gerarchica della Chiesa, che non è una democrazia, e i suoi sacramenti – il matrimonio fra uomo e donna e la ordinazione presbiteriale riservata agli uomini – si trovano in un contrasto inconciliabile con la costituzione politica della società contemporanea. In questo senso il conflitto con lo Stato e con l’opinione pubblica può esplodere in qualsiasi momento e facilmente porterebbe alla “scomunica” dei cristiani dalla società liberale del nostro tempo».

I cristiani possono tornare a dare una forma al mondo?

«I cristiani non hanno bisogno di inventare nulla e non devono sviluppare nulla di nuovo – devono soltanto ricordarsi di ciò che già posseggono. La loro liturgia tradizionale che Benedetto XVI ha definito “il tesoro sepolto nel campo”, già una volta ha reso possibile, in un lungo periodo di rovina politica e culturale, nell’epoca della migrazione dei popoli e del primo Medioevo, la riedificazione di un vasto ordinamento, l’Occidente cristiano, sorto dalle rovine del mondo antico anche grazie al suo aiuto. 

La fondazione di San Benedetto in mezzo a questo generale disfacimento, ebbe anche un carattere liturgico. Accanto a molto altro, questa liturgia tradizionale è anche l’opera d’arte fondativa del mondo cristiano. E se essa non potesse esserlo una seconda volta, nel caso in cui all’umanità fosse negata una tale riedificazione, essa rimane pur sempre un’arca di Noè in mezzo al diluvio del nichilismo».

(traduzione di Leonardo Allodi)

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