di Antonio Socci
A Siena sta accadendo qualcosa di grave, dal punto di vista spirituale e simbolico, perpetrato dall’establishment cittadino, (post) comunista, con l’avallo dell’arcivescovo.
Qualcosa che avrebbe fatto insorgere Oriana Fallaci, ben più della Moschea di Colle val d’Elsa, e che dovrebbe far indignare tutti i cristiani e tutti coloro che hanno un minimo di consapevolezza culturale.Prima che dalla Torre del Mangia – o magari dal campanile del Duomo – facciano cantare un muezzin, si devono sapere alcune cose: il Palio, l’antica corsa di cavalli delle contrade in Piazza del Campo, è una festa religiosa, una festa mariana.
Infatti quello del 2 luglio è da sempre dedicato alla Madonna di Provenzano, il santuario cittadino che conserva un’antica icona miracolosa della Vergine. Mentre il Palio di agosto, che si corre il 16 di quel mese, nasce e da sempre è dedicato alla Madonna Assunta che si celebra il giorno prima.
Del resto le contrade si formano precisamente nel medioevo come “popoli”, cioè attorno alle chiese parrocchiali della città e – come scrivono due senesi doc – è fortissimo «questo legame indissolubile fra il Palio e la fede cattolica (la processione dei Ceri e dei Censi, la festa dei tabernacoli, la benedizione del cavallo, le feste patronali delle contrade…) ».
La devozione alla Madonna ha dato forma alla storia (anche civile) di Siena. Alla Madonna Assunta è dedicato il Duomo, ma anche “il campanone”, che è il simbolo della libertà comunale.
La grande facciata della cattedrale, definita una Summa di marmo, è una rappresentazione della storia umana che ha al centro la figura esile e dolcissima di Maria di Nazaret. E l’antica repubblica senese batteva moneta con la scritta “Sena Civitas Virginia”.
La Madonna – un po’ come in Polonia – era il simbolo stesso della libertà cittadina. Per questo “La Maestà”, cioè la Madonna in trono, è l’immensa tavola di Duccio, dipinta nel 1311, che stava sull’altare centrale della Cattedrale.
E per questo, negli stessi anni, l’altro grande pittore della città, Simone Martini, fu chiamato a dipingere un altro grande affresco della “Maestà” per la Sala principale del Palazzo pubblico. Perfino il celebre affresco del Buongoverno del Lorenzetti, in filigrana, è un inno alla regalità di Maria.
Alla Madonna è dedicato pure il grande e antichissimo ospedale, “Santa Maria della scala”, fondato nel X secolo dai canonici della Cattedrale. Ai piedi della “Madonna del voto” furono deposte le chiavi della città quando Siena, alla vigilia della battaglia di Montaperti, fu sul punto di essere assalita e distrutta: era il riconoscimento della sua regalità e non a caso il Palio di questo 2 luglio celebra proprio il 750° anniversario dell’evento.
Perché da allora sempre, nel corso dei secoli, il popolo di Siena è ricorso a Lei per la protezione da pestilenze, terremoti, guerre e ogni altra calamità. La sua materna protezione – simboleggiata dal suo mantello – è stata rappresentata, nel corso dei secoli perfino sulle tavole dei libri contabili del Comune (le Biccherne), così come la stessa Piazza del Campo ha la forma del mantello della Vergine, in cui Ella accoglie i suoi figli, il popolo senese.
Per tutte queste ragioni da secoli si tramandano rigidissime norme iconografiche che devono essere rispettate nel dipingere ogni Palio che poi viene esposto in Cattedrale e nella Basilica di Provenzano e benedetto dal vescovo durante una solenne liturgia.
Queste regole prescrivono anzitutto che la tela debba avere al suo apice la Madre di Dio che veglia sulla città e governa, maternamente, la sua storia.
In passato il Comune – che assegna l’investitura al pittore – ha chiamato a dipingere il Palio celebri artisti come Guttuso, Sassu, Botero, Vespignani. Quest’anno il compito è stato affidato a un “pittore musulmano”. Sia chiaro, non è questo il problema, checché ne dicano i leghisti. Fra l’altro sarebbe interessante sapere se sia sempre stato musulmano perché in un’intervista ha sorprendentemente detto: «ho scoperto la spiritualità dell’islam proprio in Italia». E prima?
Casomai il fatto emblematico è un altro: questo pittore, Alì Hassoun, è libanese. Bisogna sapere che il Libano è l’unico Paese storicamente cristiano del Medio Oriente ed ha subito per secoli l’oppressione musulmana. Con la seconda guerra mondiale, conquistata l’indipendenza, proprio perché Paese cristiano ha avuto un regime democratico (rarissimo in Medio oriente).
Ma 30 anni fa il Libano è stato militarmente invaso e soggiogato dalla Siria, nell’indifferenza dell’Occidente. E tantissimi libanesi sono dovuti scappare, esuli, perché cristiani. Ormai da decenni i cristiani libanesi, che hanno subito pesanti persecuzioni, sono costretti a vivere sotto il “padrone” siriano.
Dunque ad Alì Hassoun il Comune – governato sempre dai comunisti – ha fatto dipingere il Palio. E lui ha rappresentato la Madonna con una corona dove stanno una croce, la mezzaluna islamica e la stella di David. Un sincretismo che strizza l’occhio al più banale “politically correct”, ma che è un pugno nello stomaco per chi sa quanti cristiani sono stati massacrati dai turchi all’insegna della mezzaluna (e quanti sono oggi perseguitati).
Non solo. Attorno al volto della Madonna, Alì ha scritto in arabo «Sura di Maria», in riferimento alla sura 19 del Corano dove ella è celebrata come madre di Gesù, che l’Islam ritiene un profeta, ma nega categoricamente che fosse Figlio di Dio, Dio fatto uomo (per l’Islam questa è la più grande bestemmia).
Cosicché abbiamo una icona che dovrebbe essere cristiana e celebrare la Madre di Dio, nella quale invece si celebra la Maria del Corano in cui è negata la divinità di Gesù, il fondamento del cristianesimo.
Come se non bastasse la figura centrale e grande del Palio è un presunto san Giorgio, che in realtà è un guerriero saraceno (somigliante al pittore), con la kefiah araba, che trafigge un drago, il quale rappresenta – dice Alì – “un demone”.
Qualunque musulmano lo interpreta come l’Islam che trionfa sull’infedele e sul grande Satana.
Qualche cristiano ha scritto all’arcivescovo, monsignor Buoncristiani al quale tutti questi simboli non danno alcun fastidio. Nemmeno l’arabo del Corano: mica è il latino della messa tridentina che al vescovo di Siena fa venire l’orticaria.
Alessandra Pepi e Giampaolo Bianchi, dicevo, gli hanno scritto: «Come cristiani, molto prima ancora che come senesi e contradaioli, questo palio ci offende e ci pare una vera bestemmia, la supplichiamo di non permettere che questo dipinto entri nella Casa del Signore.
Lei solo ha l’autorità e la responsabilità della Chiesa di Santa Maria in Provenzano. Lei solo ha la responsabilità dei gesti liturgici che compie a nome di tutti i Suoi fedeli. La preghiamo: non benedica un’immagine che non è cristiana, una Madonna solo madre di un profeta!».
Il caso vuole, peraltro, che proprio nella Basilica di Provenzano siano state esposte per secoli le insegne e le armi conquistate ai Turchi nella battaglia di Lepanto, come ex voto alla Madonna per aver salvato l’Europa intera dall’invasione turca e dall’islamizzazione.
Nessuno fra i cristiani vuole rievocare guerre. Ma evitare una profanazione sì.
Se è scontato che se ne infischino i comunisti, i quali non credono più a niente e, avendo visto crollare nell’orrore la loro ideologia, cercano di umiliare i cristiani “usando” i musulmani, non è accettabile che se ne infischi un vescovo.
Rievocando le lettere di santa Caterina al Papa, Alessandra e Giampaolo gli scrivono: «sia uomo virile e non timoroso». «Noi ci crediamo o no, che Maria sia la Madre di Dio? O è diventato solo un modo di dire?».
Forse per certi vescovi è solo un modo di dire. Ed è la conferma di quanto ha detto il Papa l’’ltroieri: “il pericolo più grave” non sono le persecuzioni, perché “il danno maggiore” la Chiesa “lo subisce da ciò che inquina la fede”. Dall’interno. Urge una messa di riparazione.