(mensile del Centro Studi Europa Orientale)
n. 152/153 luglio-settembre 1980
Questo da noi nessuno se l’aspettava
Ogni giorno nelle fabbriche in sciopero viene celebrata la Messa. Le immagini degli operai che pregano, si confessano, fanno la comunione, arrivano in Occidente e fanno scalpore. Questa è la cronaca di una messa a Danzica, il 31 agosto
A destra, sull’entrata laterale del cantiere, l’immagine della Madonna di Czgstochowa, minuscola, più piccola di una qualsiasi delle lettere della grande scritta sopra l’entrata.La cornice dell’effigie è ornata di fiori. Così si presenta l’entrata principale al cantiere, il cancello n. 2, oggi, domenica 31 agosto 1980. I due battenti del cancello assomigliano da lontano a dei tappeti rettangolari appesi, a due colori. Da vicino è una parete di fiori.
In gran parte sono mazzi di fiori, modesti, quotidiani, umili. Si vedono in mezzo anche dei fiori di campo, colti sicuramente dai bambini per i loro babbi che stanno dietro i cancelli. Molti mazzi di fiori hanno già fatto in tempo a seccarsi. Niente di strano, essendo guardie d’onore del ricordo e dell’amore già da due settimane, col sole e col maltempo.
Volta per volta la mano di qualcuno pone nelle refrattarie sbarre di ferro un mazzo di fiori freschi. Ore 8.30 del mattino. Il megafono trasmette comunicati senza interruzione. Qualcuno è chiamato al cancello, lo cercano la moglie e i figli. Qualcun altro è atteso ai cancelli dalla madre. Lo speaker si corregge: dalla «mamma». È giusto che si sia corretto. Qui le parole fredde colpiscono.
Vicino alle grate infiorate ci sono due file di persone, per entrambe le parti del cancello. Sono persone singole o piccoli gruppi Si sente un bisbiglio, qualche volta una parola staccata, isolata. Il cancello ricorda ora un gigantesco confessionale. È un luogo delle confidenze, di una buona parola, della fiducia. Non si vedono lacrime. È giusto così. Questo non è il muro del pianto. Non si rimpiange qui il passato.
Non piange neppure il gruppetto delle donne in lutto, a poca distanza dal cancello. Tutti sono consapevoli e convinti che in questo luogo, al di là del cancello, si stia preparando un futuro migliore per la patria. Ci si fida in questa faccenda non solo della prudenza dell’uomo, ma anche di Colei che «è stata posta in difesa della Nazione polacca», e la cui immagine sormonta l’angolo destro del cancello. Forse che Nostra Signora di Jasna Gòra ha trasferito il suo trono qui a Danzica, in questi giorni di agitazione?
I Polacchi sono abituati da secoli ad andare in pellegrinaggio da lei. Anch’essa è solita andare in pellegrinaggi da loro, ovunque la Storia è dolorosa. Non è solo Nostra Signora di Jasna Gòra che regna qui. Si alternano sul cancello molte immagini sacre. C’è un’icona autentica, di fronte alla quale si compie l’ufficio sacro: la ricerca di una maggiore verità, di una giustizia più equa, di un amore più grande. C’è l’immagine della Madonna col Bambino. La Madre di Dio di profilo, che guarda lontano.
Là, in grosse cornici nere, stanno vicine l’una all’altra due immaginette tratte da un libro di preghiere: II cuore di Gesù e Cristo Buon Pastore. Poco lontano due ritratti del Santo Padre. In uno Giovanni Paolo II in meditazione; nell’altro il Santo Padre che distende ampiamente la mano, come se volesse dire: Mai più cancelli, mai più barriere per Cristo e tra gli uomini. Anche se dovessero essere barriere adornate di fiori.
Ore 8.40. Da entrambe le parti del cancello si è già radunata parecchia folla. Improvvisamente risuona la voce del megafono: «Per favore fare posto. Per favore scostarsi. Lasciare passare il carico del pane». L’autocarro con il pane fresco si fa strada a fatica. Non si sente neppure l’odore della macchina. Il profumo del pane è più forte. La macchina è già oltre il cancello. Ora cautamente gira attorno all’altare collocato nel centro del viale, vicino all’entrata al cantiere. Incontro significativo. Il pane incontra l’altare. Questi due beni sono indivisibili: Cristo e il pane.
Senza pane non ci sarebbe il Cristo dell’Eucarestia, e senza Cristo il pane perderebbe il suo sapore. Il pane è anche il frutto del lavoro dell’uomo. Non c’è Cristo senza lavoro, e il lavoro senza Cristo perde il suo significato più profondo. Diventa il lavoro di Sisifo. Non si può dunque separare Cristo dagli uomini che lavorano — ha detto una volta Giovanni Paolo II, quando era ancora Cardinale. E questo postulato ha trovato la sua diretta collocazione nella lista delle richieste del mondo del lavoro.
Ore 8.50. Il piazzale antistante il cancello è pieno di gente. I nuovi arrivati, che giungono come ruscelli multicolori da tutte le parti verso il cantiere, sono costretti a prendere posto in angoli scomodi della piazza. Infatti qui è tutto pieno di fosse, buchi, scavi per terra: qui si gettano le fondamenta per un nuovo edificio, là invece è stata posta una croce di legno e del materiale. Ovunque è gremito di gente. Si crea una specie di anfiteatro.
Dall’altra parte dei cancelli-iconostasi si sono radunati gli operai. Prevale il colore grigio-azzurro delle bluse e dei calzoni. Non c’è più posto nel viale principale che conduce all’altare. Sono occupate anche le sponde. Gli operai sono saliti persino sulle casupole e sui muri di cemento. Qua e là in mezzo alla folla va una macchina con degli uomini su una piattaforma. Il tutto crea un semicerchio ovale, similmente a quello al di qua dei cancelli. Se non ci fosse il cancello sarebbe un unico, grande cerchio. Questi di qua e quelli di là del cancello non si vedono. Li unisce solo la preghiera. Anche dalla parte del cantiere è appeso un ritratto del Papa sul cancello pieno di fiori. Regna un’atmosfera di serietà.
Ore 8.55. L’altare è pronto per il servizio divino. Un semplice tavolo con una tovaglia, posto sul rimorchio di un veicolo. Il piano del rimorchio è tappezzato di carta da pacchi. Perché dovrebbe essere altrimenti? Tutto qui infonde semplicità e autenticità. Perfino il piano dell’altare parla della vita normale e del lavoro di ogni giorno. Dalla parte della città, sopra il cancello del cantiere, si vedono corone di alberi e due grandi blocchi di abitazioni. In molte finestre, la gente.
Si annuncia che tutti quelli che sono nel raggio di ascolto possono partecipare alla Santa Messa. Dalla parte del cantiere ci sono gli edifici dell’amministrazione, i reparti di lavoro e dei boschetti di alberi. All’orizzonte, in lontananza, si vedono giganteschi elevatori e gru. La loro inattività testimonia l’agitazione che ha sconvolto questo luogo, la città e la regione. Ricordano i pugni chiusi. Ma forse non sono simili alle mani congiunte nella preghiera, alzate verso il Cie-lo? Non solo le gru ferme testimoniano che qui sta accadendo qualcosa di insolito. Nel terrazzo sull’entrata coperta del cantiere, accanto ai cancelli, due o tre gruppi di più di una decina di fotografi l’uno, al lavoro. Sono arrivati persine dei giapponesi.
Ore 9. Si accendono le candele sull’altare. Migliaia di voci intonano un canto: «Quando si leverà l’aurora mattutina».
È nuvoloso e minaccia la pioggia. Oggi si leverà l’aurora. Dalla ferrovia echeggia «Co-m’è felice tutta la Polonia». L’atmosfera cambia. La croce non è l’ultima parola di Dio. L’ultima parola è la Risurrezione. Il coro della Parrocchia del Mare esegue «Madre di Dio». Accanto all’altare sta il rev. Jankowski, figlio di questa terra, parroco della chiesa di S. Brigida, nel cui territorio sorge il cantiere. Tra coloro che servono all’altare ci sono due operai del cantiere. La Santa Messa viene qui celebrata con l’approvazione del voivoda di Danzica, su richiesta del vescovo. «Il Signore sia con voi», risuona la voce vigorosa del celebrante, riecheggiando dai reparti di lavoro e dalle abitazioni. «E con il tuo spirito», rispondono come un sol uomo.
Il rev. Jankowski annuncia che celebra la Santa Messa in ringraziamento. Ancora prima della firma dell’accordo. Introduce l’assemblea nello spirito del sacrificio di Cristo. Il miracolo sul Baltico è stato possibile grazie alla fede degli operai dei cantieri, grazie alla fede della gente della Costa. Ci sono parole di ringraziamento per la testimonianza di amore e di fede, per la pace, per la memoria dei bisogni di tutti. Gli operai, uomini d’azione, non hanno dimenticato neppure coloro che sono costretti sul letto di dolore, i malati, chiedendo per loro la Santa messa per radio.
L’oratore rammenta all’assemblea di pensare innanzitutto al regno di Dio, e tutto il resto sarà dato loro; di camminare sulla strada maestra, che è Cristo, e avranno la verità e la vita. In abbondanza. «Chiediamo perdono a Dio per le nostre colpe». Chiediamo perdono a Dio per le nostre colpe e per le colpe di coloro che non chiedono perdono. Tutti siamo peccatori. Dio stesso ha già sconfitto la colpa nella coscienza di ogni uomo, a seconda delle sue opere, annotate nel Libro della Vita e della Morte. Non sediamo con Lui sul banco del giudice, sediamo con Lui piuttosto al banchetto comune della vita, nell’amore, nella verità e nella pace.
Giungono i primi raggi di sole sull’altare. Il cielo si rischiara. Apparirà forse l’arcobaleno? Le letture liturgiche sono tratte dalla XXII domenica dopo Pentecoste,. È come se fossero state scelte proprio per le esigenze del momento. Il canto del versetto del salmista «Tu sei un Dio buono, protettore del povero» introduce il Vangelo. Leggiamo l’esortazione a non aspirare ai primi posti e allo spirito di servizio. Non ci si può sedere comodamente alla mensa conviviale della Nazione a scapito dei deboli, di coloro che stanno zitti. Verrà un giorno in cui i più piccoli e i deboli diranno: «Amico, spadroneggia di meno».
Dopo il Vangelo, viene letto il comunicato del Consiglio Generale dell’Episcopato. Sono strane le strade della Provvidenza e originale il modo di pensare dei Ministri di Dio. Quando a un certo punto delle attuali agitazioni sociali ed economiche tutti parlavano dei propri diritti, c’è stato Qualcuno che ha ricordato a tutti i doveri, e quando la voce dei doveri, sollevata da altre voci chiassose, sembrava superare l’invocazione dei diritti, vennero parole di avvertimento sui diritti della Nazione e della persona umana. È stata ad essi dedicata una lunga lettera, che viene letta oggi nelle chiese.
La preghiera dei fedeli: per la Chiesa, per il santo Padre, per coloro che governano, affinchè si adoperino per il bene comune della Nazione, per i malati, affinchè la Parola di Dio possa raggiungerli per radio, per coloro che lavorano di domenica, per tutto ciò che concerne l’atteggiamento cristiano nella vita di ogni giorno.
Quando c’è stata l’elevazione della patena col pane e del calice col vino, affinchè il Padre Celeste accetti questi doni e li trasformi, e quando sulla patena scoperta e il calice col vino cominciarono a cadere le offerte, le sofferenze e i torti subiti dall’assemblea, affinchè si unissero al sacrificio di Cristo, risuonò il versetto del salmo: «Si porrà sotto la protezione del suo Dio». Salmo della speranza, contro la disperazione.
Solo l’insolenza di alcuni fotoreporter disturba il raccoglimento dell’assemblea. Senza ombra di dubbio, pare che l’impegno professionale faccia da padrone in questo luogo santo. Forse un giorno la nostra civiltà la smetterà con questo fenomeno. Sarà permesso fare fotografie solo dai satelliti, per non disturbare la gente che prega.
Uno dei fotografi che aspettano che per l’offertorio tutti si inginocchino (confondendo l’offertorio con l’elevazione) si rivolge con impazienza ad un suo collega: «Allora, quando si mettono in ginocchio?» È evidente che è venuto solo per questo. È sempre più difficile vedere ginocchia piegate a questo mondo, e ancor più difficile è vedere le ginocchia piegate degli operai.
Quelli che ancora pregano, lo fanno spesso in piedi. Sono stati promossi amici del Creatore e Signore. Non vedono che il loro tempio è deserto. Rimangono soli nella piazza della preghiera. Soli con se stessi. Girando solo intorno a se stessi. Nessuno in questo luogo santo intralcia il fotoreporter nel suo lavoro, davanti al cancello del cantiere Lenin. Che il mondo sappia che l’operaio polacco va a testa alta perché le sue ginocchia sono piegate.
È il momento della consacrazione. Il celebrante leva il Corpo del Signore e il Suo Sangue, descrivendo un movimento circolare, per abbracciare tutti quelli che il cancello divide, per abbracciare il paese. È il momento di accostarsi al Corpo di Cristo. Il Celebrante porta il Cristo fuori dal cancello.
Un altro dei sacerdoti porta l’Eucarestia agli operai del cantiere. In questo giorno i bambini non possono ricevere la Santa Comunione accanto ai padri, i mariti accanto alle mogli. Non è Cristo che divide. Egli va incontro agli emarginati. La Santa Comunione è distribuita in una parte del cantiere, in mezzo al viale. Gli operai si mettono in fila. Uno degli operai che si accostano alla Santa Comunione, di circa cinquant’anni, in tuta, dopo aver ricevuto il Corpo di Cristo, si mette in ginocchio, si piega leggermente verso terra. Sulla guancia gli scende una lacrima. Si prende il viso tra le mani.
Accorre un fotografo. Vuole tentare di riprendere un viso in preghiera. Non gli riesce. Ha troppe macchine fotografiche. Infine gli balena un’idea. Si inginocchia davanti all’uomo che prega e gli infila l’obiettivo sotto il viso. Un gesto istintivo di adorazione dell’uomo che adora Dio. Si inchina leggermente indietro e scatta una foto dopo l’altra.
Dopo un attimo si alza e se ne va. Si è alzato anche quell’operaio che era assorto nella preghiera. Si asciuga gli occhi col fazzoletto. Non sa che il suo viso è stata la causa di strenui sforzi del fotoreporter. Se l’avesse visto, non vi avrebbe creduto. Forse le sue fotografie invaderanno il mondo intero. Questo ha più importanza di taluni libri di teologia. Una foto un apostolo. Forse non bisognerebbe essere così severi nei confronti dei fotografi.
La preghiera finale: per la Chiesa, per il mondo. Il rev. Jankowski da la benedizione. L’assemblea si inginocchia. Il viale sembra ora un tappeto fatto di volti umani. Ognuno di questi è irripetibile, perché la Croce di Cristo introduce ognuno alla Gerusalemme celeste. Là risplenderanno più del sole. Per concludere il celebrante ricorda che ha celebrato la Santa Messa coi paramenti che gli avevano dato in regalo gli operai che scioperarono nel dicembre 1970. Sui paramenti è ricamata l’immagine della Madonna di Czestochowa. Colei «che è stata data in difesa della Nazione».
La commozione è visibile sul volto di molti operai, qua e là lacrime agli occhi. Le mani incallite stringono il rosario. Nessuno qui si vergogna del rosario, come nessuno si vergogna degli arnesi di lavoro. C’è anche qualcuno che lo porta al petto, sulla giacca, come un’arma. «Andate, la Messa è finita». «Boze cos Polske». «La patria, la libertà». Portiamo la Polonia davanti al tuo altare. Signore… Andate… al lavoro… al dialogo.
Ci sarà un’ulteriore ripresa delle trattative. Ma anche una «ripresa» della preghiera. Attraverso il megafono si annuncia che una Santa Messa verrà celebrata nel Cantiere delle Riparazioni. Le cose di Dio si intrecciano con le cose degli uomini. E solo questo incontro genera un amore e una pace durevoli per gli uomini.
Stanislaw Musial SJ da Tygodnik Powszechny, n 37 / 14 settembre 1980.