Il Timone – n.5 gennaio/febbraio 2000
di Rino Cammilleri
L’altra domenica, nella chiesa dove vado di solito, agli annunci finali il prete si è scusato. Si era dimenticato di dire un pezzo della messa. Era troppo intento a dare il via a uno dei “canti” (il cui libro è l’unico che trovate sui banchi, al posto dell’ormai obsoleto Vangelo) e aveva saltato alcuni passaggi. Pazienza. Che volete che sia un pezzo di messa di fronte all’importanza del canto? Non lo sapete che come diceva sant’Agostino (solo Agostino per gli amici), chi canta prega due volte? Secondo me, però, si riferiva ad altro tipo di musica. Ma torniamo al pezzo di messa mancante. Ora, la cosa curiosa è che non se ne era accorto nessuno.
Per forza: estenuati dalla lunghezza della predica, frastornati dalla musica leggera, la messa vera e propria la si tira via mentalmente, in attesa dell’Omelia-due, cioè dei lunghissimi annunci finali. I quali vengono ricattatoriamente sempre declamati prima dell’Oremus e della benedizione finale, sennò tutti se ne vanno.
Ora, questo sarebbe, semmai, la prova dell’importanza che la comunità annette alle iniziative parrocchiali. Dovrebbe indurre a riflettere, a cambiare quel che non interessa. Invece no. Come, vigliacchi?! Non vi interessano le riunioni, i comitati, gli organismi, le innumerevoli raccolte di fondi, il calendario degli impegni settimanali, le gite? Siete cattivi cristiani, vergogna.
Ora, è noto che quelli che il cardinale Ratzinger chiama “gli autoimpegnati”, facendo parte di tali iniziative, sanno già tutto. Dunque, a quelli che non intendono autoimpegnarsi nulla importa di tutta ‘sta roba. Allora – direte voi – perché menarla tanto lunga? Per forza una messa domenicale deve durare un’ora e più? Se durasse meno, cosa succederebbe di grave?
Niente, è lo “spirito postconciliare” che, lungi dal soffiare dove vuole, imperversa sempre nella stessa direzione. La messa è ormai un intrattenimento? Magari, amici miei. No, neanche questo. È una noia mortale. Sì, lo so che i vertici cattolici hanno firmato una storica intesa con quelli protestanti, e che il rito cattolico deve poter essere frequentato anche dai “fratelli separati”.
Ma tale intesa è stata raggiunta troppo tardi, quando i buoi erano già tutti scappati. Le maggiori denominazioni protestanti, infatti, ormai non denominano più un bel niente. E, se non fosse per il papa, neanche la Chiesa cattolica sarebbe granché rappresentativa. Quattrocento milioni di pentecostali nel mondo stanno a significare uno scollamento biblico tra i vertici e i fedeli; nei restanti, l’unica religione è il movimentismo o il fai-da-te.
Ma torniamo alla messa. Voi mi direte: sei un nostalgico del vecchio rito latino? Vi risponderò: come faccio ad avere nostalgia di una cosa che non ricordo più? Quando era in auge, ero un bambino.
Quando fui adolescente, avevo tutt’altro per la testa. Quando divenni Kattolico, l’avevano già cambiato. No, no. Il fatto è che mi ci annoio. Entro, e mi accoglie una torma di ragazzini che chitarrano country music con testi che definire stupidi è andarci leggeri. Poi, sbrigate le letture, altre canzonette. Indi, il prete parla. E parla. E parla. E non dice niente.
La prova? Fatelo come esercizio: alla fine della messa, provate a riassumere al vostro accompagnatore quel che ha detto il prete. Scommetto le mutande che non ci riuscirete. Perché? Perché in genere si tratta di aria fritta. Che però è durata esattamente mezz’ora. Poi il prete si è seduto, e l’unica pausa dì silenzio dell’intera messa è stata data giusto per meditare quel che ha detto lui.
Non la Parola di Dio, no: solo quel che ne pensa il prete suddetto. Si ricomincia, indi, con le canzoni, che non ti lasciano nemmeno quando sei in fila per la comunione. E ringrazia il cielo che, incoraggiati dal celebrante, non ci tocchi di battere a tempo le mani. “E per esprimere la nostra gioia comunitaria”, dicono. Ohibò, ma quale gioia? Ma, dico, hai guardato fuori?
Sì, ci hanno guardato, e spacciato come “intenzione dei fedeli” il commento del tg del giorno avanti. Preghiamo per il tizio che si lascia morire di fame perché gli è morto il gatto (è successo davvero). Preghiamo perché il summit economico di Seattle si ricordi dei Paesi in Via di Sviluppo (che non è il nome di una strada). Seh, figurati!
Adesso diamoci il segno della pace. E si scatena il finimondo: sedie spostate, vecchiette che attraversano l’intera chiesa alla caccia di qualcuno rimasto senza stretta di mano, bambini che ancora vogliono darti il segno di pace quando la messa sta già finendo. Ora tocca al Padrenostro. Qui, si formano le catene umane. Alcuni, sporchi individualisti, elevano le mani al cielo. Permangono quei giovinotti che, le mani, le tengono in tasca per tutta la funzione.
Alcune volte ho visto ragazzine fare la comunione con la gomma da masticare in bocca. Già, la comunione. Percorsa tutta la fila, quando tocca a te ti ritrovi davanti una suora o un distinto signore con calice in mano. Il prete? Nell’altra fila. Anche se siamo in tutto cinque. Verrà, prima o poi, il distributore automatico, il quale permetterà di cogliere due piccioni con una fava: sopperire alla carenza di vocazioni e rimpinguare le mai sazie casse ecclesiastiche.
Sorvolo sulle minigonne in chiesa. Qual prete rischierebbe l’impopolarità biasimandole? Con un gran respiro di sollievo, come Dio vuole (è il caso di dirlo) la noia penitenziale finisce (non per nulla con un liberatorio “rendiamo grazie a Dio”). E ci avviamo all’uscita in un tripudio di chitarre. Fuori, ci attendono in agguato gli zingari.