Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân sulla Dottrina sociale della Chiesa
Newsletter n.810 del 19 Giugno 2017
A proposito di un recente libro di Giovanni Turco su Cornelio Fabro.
di Stefano Fontana
E’ possibile che un filosofo cattolico sia trascurato, e talvolta osteggiato, proprio per la sua grandezza? E’ possibile, anzi è accaduto e accade per Padre Cornelio Fabro. Naturalmente, per lo stesso motivo, ci sono i suoi estimatori, come Giovanni Turco che ha appena dato alle stampe il libro “Razionalità e responsabilità. Il pensiero giuridico-politico di Cornelio Fabro” (Studium), oppure i Padri dell’Istituto del Verbo Incarnato che ripubblicano l’intera opera di Fabro all’interno del “Progetto culturale Cornelio Fabro”.
In generale però viene trascurato dalla cultura alla moda, proprio perché grande. Grande nel senso che ha ricondotto tutti i problemi alla loro matrice teoretica, tutti i nodi al nodo primario e concettuale di fondo, tutti gli errori ad un errore primordiale. Fabro è andato fino in fondo, o, meglio, fino alle origini degli errori moderni ribadendo l’origine delle verità filosofiche di fondo a cui bisogna attenersi. Un pensiero senza sconti, in altre parole, un rigore senza sbavature, una coerenza che induce ad un esame di coscienza teoretico impietoso. Questa è la sua grandezza e perciò il suo pensiero disturba, perché mette con le spalle al muro.
Circa la modernità Fabro è radicale: o si è realisti o si è idealisti. Anche solo anteporre la gnoseologia all’ontologia è già idealismo e siccome la filosofia moderna afferma l’essere di coscienza e non la coscienza dell’essere l’esito immanentistico è già implicito in questo primo passo. Nasce qui il famoso concetto fabriano del “principio di immanenza”. Se all’origine c’è la coscienza – come accade con il dubbio cartesiano –, essa non può che essere una coscienza vuota, una coscienza di nulla. Il reale sarebbe una sua invenzione e tutto sarebbe ideologia.
Già in questo primo passo della filosofia moderna c’è l’espulsione di Dio dalla realtà, o ateismo, tema su cui Fabro ha scritto pagine memorabili, sempre nell’intento di ricondurlo al problema teoretico originario. Se manca la trascendenza dell’essere rispetto al pensiero, ogni altra trascendenza è compromessa fin dal principio.
Oggi ciò che conta è il risultato conseguito tramite la prassi. La cosa è spiegabile con l’assunto moderno della priorità della coscienza. Intanto va osservato – e su ciò convergono molti pensatori ben oltre Fabro – che tale priorità della coscienza è un assunto indimostrato. Come tale esso è frutto della volontà, si tratta di una pura posizione volontarista. E’ l’io che vuole essere libero di una libertà assoluta negando il limite, ossia collocando tutto dentro le posizioni della sua coscienza.
Da qui il primato della prassi, del porre, che diventa l’elemento primario. Se l’io si autopone, e se da questa autoposizione dipende tutto il resto, la prassi coincide con la verità. E’ di grande interesse questa coincidenza tra razionalismo (il porre la coscienza come primaria) e il volontarismo (porre la verità proprio in questo porre). E’ interessante perché fa capire che l’atto rivoluzionario di tipo nichilista – negare la realtà e il presente come negazione del limite posto alla coscienza –, è consono alla modernità, la cui centralità della prassi non comporta costruzione ma distruzione. Nella postmodernità scompare la realtà e l’uomo è ciò che egli vuole.
Il processo di secolarizzazione era già virtualmente contenuto nei primi passi della filosofia moderna e non c’è da stupirsi che esso non possa distinguersi dal secolarismo, ossia dalla negazione del soprannaturale. La fede è fatta coincidere (per esempio da Lutero) con l’atto di fede soggettivo a cui non interessa Cristo in sé ma solo Cristo per me. Il principio di immanenza comporta che sia l’uomo a salvare se stesso.
Cornelio Fabro, come bene spiega Giovanni Turco, denuncia il progetto gnostico della modernità. Il pensiero moderno è come una grande Gnosi, la pretesa di riplasmare la realtà, l’insofferenza al reale e al limite, la salvezza come prodotta da noi stessi, la sostituzione della verità con l’ideologia. Un enorme progetto totalitario. Molto opportunamente Cornelio Fabro afferma che la negazione del peccato originale – “l’impedimento più grave per la formazione dell’uomo a dignità e libertà” – è al centro del pensiero moderno. Tolto il peccato originale è tolto il limite e l’uomo può partire dalla conoscenza per riplasmare la realtà a sua immagine e somiglianza, può diventare egli stesso Dio.
Di notevole interesse, in questo 500mo anniversario della Riforma protestante, quanto Cornelio Fabro afferma circa l’importanza del Luteranesimo a far prendere alla modernità questa piega gnostica. I frutti filosofici maturi del protestantesimo si hanno con Hegel, che alla realtà e alla verità sostituisce il sistema. La riplasmazione della realtà a partire dalla libertà indifferente del soggetto è così completa e alla realtà è sostituita definitivamente l’ideologia.
Oggi la morale, il diritto e la politica sono attori di male non solo per cause contingenti. Fabro, come si diceva, riconduce il discorso ai fondamenti ed è in questo rigore che sta la sua grandezza. L’agire non sta senza l’essere, la politica e il diritto richiedono la conoscenza di ciò che è e che è dovuto e non possono quindi stare senza la conoscenza realistica di come stanno le cose. La grandezza ingombrante di Fabro sta nel porre continuamene il problema del fondamento. Se questo fondamento è indicato nell’etsi Deus non daretur (come se Dio non fosse) in realtà non può esserci fondamento alcuno.
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Padre Cornelio Fabro,“Razionalità e responsabilità. Il pensiero giuridico-politico di Cornelio Fabro”, Ed. Studium, 2016, pp.264