di Massimo Introvigne
Il 4 ottobre 2013 Papa Francesco si è recato in pellegrinaggio ad Assisi, dove ha pronunciato diversi discorsi. Come ha rilevato su queste colonne Riccardo Cascioli, qualcuno si attendeva novità radicali sulla rinuncia della Chiesa alle sue vere e presunte ricchezze, ma Francesco ha liquidato le anticipazioni giornalistiche come «fantasie», una grande lezione a chi prende per buono il Papa riveduto e corretto dai giornalisti.
Certamente, come san Francesco (1182-1226) si spogliò delle sue vesti di giovane ricco e mondano, anche la Chiesa deve «spogliarsi». Però «quando nei media si parla della Chiesa, credono che la Chiesa siano i preti, le suore, i Vescovi, i Cardinali e il Papa. Ma la Chiesa siamo tutti noi!». Se dunque «dal primo battezzato, tutti siamo Chiesa, tutti dobbiamo andare per la strada di Gesù, che ha percorso una strada di spogliazione».
«Ma non possiamo fare un cristianesimo un po’ più umano – dicono – senza croce, senza Gesù, senza spogliazione? In questo modo diventeremo cristiani di pasticceria, come belle torte, come belle cose dolci! Bellissimo, ma non cristiani davvero!».
La domanda che il Papa si è posto è: «Ma di che cosa deve spogliarsi la Chiesa?». La risposta è chiara, e si situa su un piano del tutto diverso dalle «fantasie» giornalistiche. «Deve spogliarsi oggi di un pericolo gravissimo, che minaccia ogni persona nella Chiesa, tutti: il pericolo della mondanità. Il cristiano non può convivere con lo spirito del mondo. La mondanità che ci porta alla vanità, alla prepotenza, all’orgoglio. E questo è un idolo, non è Dio. È un idolo! E l’idolatria è il peccato più forte!».
Francesco è tornato su un tema chiave del suo Magistero: la mondanità spirituale. È certamente necessario, ha affermato, spogliarsi della mondanità materiale, che è la brama di ricchezze e di denaro. Ma per la Chiesa una tentazione ancora peggiore è la mondanità spirituale, che è tanto più insidiosa in quanto colpisce anche chi alla mondanità materiale ha rinunciato. È il fare il bene, magari farsi anche materialmente poveri, ma per l’applauso del mondo o per mero umanitarismo e non per Dio.
«Spogliarsi di ogni mondanità spirituale, che è una tentazione per tutti» – ha spiegato il Papa – significa allora «spogliarsi di ogni azione che non è per Dio, non è di Dio». Un’azione che è anche buona e benefica in astratto, ma che non è fatta per Dio. «La mondanità ci fa male. È tanto triste trovare un cristiano mondano». «È proprio ridicolo che un cristiano – un cristiano vero – che un prete, che una suora, che un Vescovo, che un Cardinale, che un Papa vogliano andare sulla strada di questa mondanità, che è un atteggiamento omicida. La mondanità spirituale uccide! Uccide l’anima! Uccide le persone! Uccide la Chiesa!».
Incontrando i bambini disabili e ammalati, Francesco ha ancora una volta condannato la «cultura dello scarto», che rifiuta i più deboli e talora li elimina fisicamente anziché accoglierli, come dovrebbe fare una vera «civiltà umana e cristiana». E nell’omelia della Messa in Piazza San Francesco – dove ha invocato pace per la Siria e anche per la turbolenta vita politica di quell’Italia che ha in san Francesco il suo patrono – ha chiarito qual è la vera lezione del santo di Assisi, da non confondersi con un «san Francesco che non esiste», «sdolcinato» e «panteista», un’invenzione moderna cui purtroppo tanti hanno prestato fede.
«La pace francescana – ha detto il Pontefice – non è un sentimento sdolcinato. Per favore: questo san Francesco non esiste! E neppure è una specie di armonia panteistica con le energie del cosmo… Anche questo non è francescano! Anche questo non è francescano, ma è un’idea che alcuni hanno costruito! La pace di san Francesco è quella di Cristo, e la trova chi “prende su di sé” il suo “giogo”».
Francesco è diventato santo davanti al crocifisso, pregando e adorando, e insegnandoci a fare altrettanto. Senza la preghiera e l’adorazione san Francesco non esiste, è un falso san Francesco. «San Francesco viene associato da molti alla pace, ed è giusto, ma pochi vanno in profondità. Qual è la pace che Francesco ha accolto e vissuto e ci trasmette? Quella di Cristo, passata attraverso l’amore più grande, quello della Croce».
Così pure, è giusto ad Assisi chiedere «il rispetto per tutto ciò che Dio ha creato e come Lui lo ha creato, senza sperimentare sul creato per distruggerlo». Ma senza panteismi che neghino il ruolo centrale dell’uomo, senza mai dimenticare che san Francesco vuole anche «che l’uomo sia al centro della creazione, al posto dove Dio – il Creatore – lo ha voluto».
Come tradurre questo spirito in azione pastorale? Ripartendo – ha detto il Papa nella cattedrale di San Rufino incontrando la comunità diocesana – dalla Parola di Dio: «dobbiamo diventare tutti più ascoltatori della Parola di Dio, per essere meno ricchi di nostre parole e più ricchi delle sue Parole». «Non basta leggere le Sacre Scritture, bisogna ascoltare Gesù che parla in esse […]. Bisogna essere antenne che ricevono, sintonizzate sulla Parola di Dio, per essere antenne che trasmettono!». Chi pensa di trasmettere senza ricevere annuncia la sua parola e non quella di Dio.
In chiesa ne nascono le «omelie interminabili, noiose», in famiglia un’educazione che, più che la Parola di Dio, trasmette «la parola del telegiornale», in parrocchia le gestioni burocratiche e anonime mentre i vecchi parroci conoscevano il nome di tutti i fedeli, e – ha detto Francesco – perfino «il nome del cane» di ogni fedele, tra gli sposi l’incapacità di perseverare senza separarsi, mentre il consiglio del Papa alle coppie è: «Litigate quanto volete. Se volano i piatti, lasciateli. Ma mai finire la giornata senza fare la pace! Mai!».
Nell’incontro con i giovani dell’Umbria il Pontefice è tornato sul tema del matrimonio, con un altro consiglio pratico che ha strappato il sorriso: «Quando viene da me una mamma che mi dice “Ho un figlio di trent’anni ma non si sposa, non si decide, ha una bella fidanzata ma non si sposano”, io le rispondo “Signora, non gli stiri più le camicie!”».
Ma la battuta si collega a una meditazione profonda sulla perdita del senso del matrimonio nella nostra società: «La società in cui voi siete nati privilegia i diritti individuali piuttosto che la famiglia, le relazioni che durano finché non sorgono difficoltà, e per questo a volte parla di rapporto di coppia, di famiglia e di matrimonio in modo superficiale ed equivoco. Basterebbe guardare certi programmi televisivi».
Francesco – che nel discorso ai giovani ha esaltato la verginità per il Regno di Dio e il celibato sacerdotale come «la vocazione che Gesù stesso ha vissuto» – ha voluto incontrare le suore clarisse nella Basilica di Santa Chiara, per ribadire il ruolo indispensabile della vita contemplativa nella Chiesa. Infatti, è dalla contemplazione che nasce la capacità di comprendere e di aiutare. Il segno che la contemplazione è adeguata e feconda è la gioia.
«A me da tristezza – ha detto il Papa – quando trovo suore che non sono gioiose. Forse sorridono, ma … con il sorriso di un’assistente di volo, no? Ma non con il sorriso della gioia, di quella che viene da dentro, eh? Sempre con Gesù Cristo. Oggi nella Messa, parlando del Crocifisso, dicevo che Francesco lo aveva contemplato come con gli occhi aperti, con le ferite aperte, con il sangue che veniva giù: e questa è la vostra contemplazione, la realtà. La realtà di Gesù Cristo. Non idee astratte. Non idee astratte, perché seccano la testa!».
Scherzosamente, Francesco ha invitato le clarisse a non essere «troppo spirituali», ricordando come la «fondatrice dei monasteri della concorrenza vostra, Santa Teresa» (d’Avila, 1515-1582), quando si presentava una novizia con ubbie mistiche diceva alla cuoca: «Dalle una bistecca». «Ricordatevi della bistecca di Santa Teresa», ha raccomandato il Papa alle suore, esortandole anche a vivere in comunità senza chiacchiere e maldicenze: «Il diavolo approfitta di tutto per dividere! Dice: ‘Ma … io non voglio parlare male, ma …’, e incomincia la divisione».
Quelle sul primato della contemplazione e sul matrimonio sono verità da trasmettere senza paura, non dimenticando di andare alle «periferie», che – il Pontefice lo ha voluto spiegare per l’ennesima volta in cattedrale – «sono luoghi, ma sono soprattutto persone» lontane dalla Chiesa, magari «di classe media» e tutt’altro che povere, ma dove si trovano bambini che «non sanno farsi il segno della croce» e adulti che ignorano le verità elementari del Catechismo. «Queste sono vere periferie esistenziali, dove Dio non c’è».
«Non abbiate paura di uscire – ha concluso il Papa – e andare incontro a queste persone, a queste situazioni. Non lasciatevi bloccare da pregiudizi, da abitudini, rigidità mentali o pastorali, dal famoso “si è sempre fatto così!”. Ma si può andare alle periferie solo se si porta la Parola di Dio nel cuore e si cammina con la Chiesa, come san Francesco. Altrimenti portiamo noi stessi, non la Parola di Dio, e questo non è buono, non serve a nessuno! Non siamo noi che salviamo il mondo: è proprio il Signore che lo salva!».