di Mattia Ferraresi
Qualche settimana fa il New York Times ha raccontato la storia di una libreria anarchica del Lower East Side, punto di riferimento e “spazio sicuro”, come usa dire oggi, di una piccola comunità anticonformista a metà fra un film di Bertolucci e un episodio di “Portlandia”.
Senia Hardwick, una persona di 27 anni che lavora nella libreria, ha offerto valide informazioni e preziosi elementi di contesto per l’articolo, ma ha chiesto al cronista di omettere il suo genere e di essere identificato/a soltanto come Mx., versione gender-neutral dei più convenzionali Mr. o Ms. che il Times si ostina ad assegnare alle persone che compaiono nei suoi articoli. Mx. Hardwick dice questo, Mx. Hardwick dice quest’altro. Il risultato è leggermente legnoso da un punto di vista della sintassi – non è facile scrivere un articolo senza pronomi personali, e un “he” o un “she” avrebbero tradito la fiducia della fonte – ma è politicamente correttissimo, depurato da ogni residuo della vecchia convenzione duale in fatto di genere e perfettamente in linea con il paradigma della purezza genderfluida.
Non scopriamo ora le conquiste della linguistica depurata dal genere. Da decenni c’è chi va proponendo di usare “S/he” oppure il neutro “they”, accompagnandoli dal possessivo ibrido “hir” per liberarsi dal giogo binario del maschile/femminile, la novità è che il New York Times certifica la convenzione, accettando di concedere al soggetto intervistato il privilegio di non identificarsi come maschio o femmina. Il caso ha sollevato un dibattito, e in tanti hanno chiesto al Times se questa decisione fosse il segno di una svolta nella politica linguistica.
Philip Corbett, responsabile della politica linguistica del Times, ha dato la più fluida delle risposte: “La risposta breve è no. O non ancora. O forse, chiedetemelo fra un po’. Le cose cambiano in fretta in questo campo”. Le linee guida del Times sui transgender sono chiarissime: il cronista deve attenersi all’identità sessuale professata dall’interlocutore, ma si dà per scontato che si identifichi come uomo oppure donna, ad esempio Ms. Caitlyn Jenner oppure Ms. Chelsea Manning. Più raro il caso di chi non vuole identificarsi affatto. Mx., ha spiegato il Times, “non è l’abbreviazione di una parola inglese, ma l’eco della parola ‘mix’ appare piuttosto elegante in questo contesto”, e nel contesto più generale della lingua come purissima convenzione alla mercé di chi la pronuncia il giornale dei record dichiara: “Dobbiamo decidere quale opzione si applica meglio a ogni singolo caso, tenendo in mente le nostre responsabilità e quelle delle persone di cui scriviamo, mentre le convenzioni evolvono”.
Non è chiaro cosa succederebbe se una fonte pretendesse di essere identificata come mammifero, o come non-uomo, zombie, come ologramma asessuato, reincarnazione di un pesce gatto oppure come stato d’animo, ma certo i casuisti del Times verosimilmente direbbero che queste caratterizzazioni non “riflettono lo standard accettato dai lettori educati”. Quando le rifletteranno, il Times si adeguerà. Ma questo è soltanto l’episodio di una serie tv già vista. Rimane aperta la questione della “responsabilità verso i lettori”, perché, così a occhio, un giornale dovrebbe tentare di raccontare la realtà, che – sempre a occhio – è una questione più vasta delle percezioni che ne abbiamo. Un uomo che dichiara a un giornalista di essere un albero verrà identificato come “un uomo che dichiara di essere un albero”, non come un albero, e i lettori trarranno le conclusioni che credono. Senia Hardwick è una donna.