di Magdi Allam
Ha indubbiamente ragione chi sostiene che oggi il mondo è meno sicuro rispetto alla vigilia dell’11 settembre. E’ un fatto oggettivo che, cinque anni dopo, sono aumentati gli attentati, i Paesi colpiti e le vittime del terrorismo. Così come è vero che tale deterioramento è la conseguenza dell’atteggiamento prevalentemente militarista finora assunto dai governi occidentali e musulmani nei confronti di Al Qaeda, degli Stati canaglia e dell’estremismo islamico.
Ebbene l’errore di fondo è la paura — per ignoranza, ingenuità, viltà, cinismo politico o collusione ideologica — di affrontare la radice del male: la «fabbrica del terrore» che trasforma le persone in robot della morte e che ha ormai messo radici ovunque nel mondo.
Oggi rassomigliamo a un novello Don Chisciotte che rincorre le punte dell’iceberg quando emergono, anziché confrontarsi con la realtà dell’iceberg che ingloba una catena di montaggio che, partendo dalla predicazione violenta promossa da moschee, televisioni, siti Internet e altri media radicali, pratica un letale lavaggio del cervello inculcando la fede nel cosiddetto «martirio» islamico.
Senza comprendere che il terrorismo è soltanto il sintomo più deleterio di un’ideologia dell’odio che ci ha a tal punto pervaso e avvelenato da produrre ormai terroristi suicidi con cittadinanza occidentale anche tra gli autoctoni convertiti all’islam. E che al contempo ha permesso agli estremisti islamici di consolidare il loro potere in diverse parti del mondo, monopolizzando il controllo delle moschee, di istituti scolastici, giuridici, finanziari e sociali, trasformandosi in uno stato nello stato.
Ebbene questa ideologia dell’odio è preesistente all’11 settembre. Probabilmente è connaturata alla realtà storica dell’islam che non riconosce e non rispetta la pluralità che fisiologicamente lo contraddistingue come religione basata sul rapporto diretto tra il fedele e Dio e, ancor più, come comunità di fedeli distribuiti ovunque nel mondo con differenze talvolta significative tra un Paese e l’altro.
Certamente essa si alimenta del rifiuto pregiudiziale di Israele, dell’ostilità politica all’America e della condanna della civiltà occidentale. In questo contesto il più clamoroso attacco terroristico al cuore della superpotenza mondiale ha rappresentato l’apice di un processo di crescita del potere degli estremisti islamici, iniziato all’indomani della sconfitta degli eserciti arabi nella guerra del giugno 1967.
Ma è necessario ricordarsi che il terrorismo islamico era più che virulento anche prima (basti pensare ai 150 mila algerini massacrati dal Gia e dal Gspc negli anni Novanta), e che è stato del tutto illusorio credere che dopo l’11 settembre sarebbe iniziata automaticamente la china discendente.
Sicuramente l’Occidente, in particolar modo gli Stati Uniti, ha commesso clamorosi errori nella lotta al terrorismo. Ma sbaglia assai chi afferma che si stava meglio, ad esempio nell’Iraq di Saddam o nell’Afghanistan dei taliban prima dell’11 settembre, così come si illude non meno chi immagina un mondo più sicuro qualora lasciassimo i musulmani al loro destino.
Pensate forse che se gli americani si ritirassero dall’Iraq, dall’Afghanistan e dall’insieme dei Paesi arabi del Golfo, oppure se gli israeliani si ritirassero da tutti i territori palestinesi, siriani e libanesi occupati, il Medio Oriente sarebbe più stabile e prospero e tutti noi saremmo più sicuri e in pace?
La risposta è no. Per una ragione semplicissima: questo terrorismo islamico globalizzato non è reattivo ma aggressivo. Eppure l’Occidente sembra non vedere e non capire, accecato e obnubilato da una cappa di mistificazione della realtà. Che lo porta a mettere sullo stesso piano Bush e Bin Laden, Olmert e Ahmadinejad.
Finendo per immaginare di poter sconfiggere Bin Laden, la punta dell’iceberg, alleandosi con i Fratelli musulmani, Hamas, Hezbollah, Siria e Iran, ovvero l’iceberg. La tragedia, a cinque anni dall’11 settembre, è che per salvare la pelle oggi, stiamo consegnando i nostri valori e civiltà, la nostra vita e libertà, ai nostri futuri carnefici.