Laos. Oltre la persecuzione, segnali di rinascita cristiana
di Gabriele Ripamonti
L’ultimo caso è di qualche settimana fa: l’8 dicembre scorso il governo ha inaspettatamente ritirato il permesso di celebrare quella che sarebbe stata la prima ordinazione sacerdotale negli ultimi trent’anni (dopo quella di monsignor Jean Khamsé Vithavong, missionario oblato di Maria Immacolata, oggi vicario apostolico di Vientiane, avvenuta il 25 gennaio 1975). Sophone Vilavongsy, 32 anni, laotiano, anch’egli missionario oblato, dovrà aspettare ancora.E con lui un’intera Chiesa, numericamente esigua ma vivace, nonostante trent’anni di regime comunista e di ostilità all’attività missionaria.
Il recente Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo, pubblicato a novembre dal Dipartimento di Stato Usa, indica che il Laos soffre di una persistente dicotomia in termini di politica religiosa: se la Costituzione garantisce libertà di religione, nella pratica non mancano fatti e prese di posizioni delle autorità che – con arresti, condanne, imprigionamenti e blocchi all’azione evangelizzatrice – smentiscono la libera attività di culto.
Ad oggi – denuncia il Rapporto Usa – sono cinque le persone detenute per motivi religiosi: si tratta di esponenti della Lao Evangelical Church (Lec), una denominazione protestante non riconosciuta dal governo. Anche due cristiani locali condannati lo scorso luglio – come riferito dal Movimento laotiano per i diritti umani (Mldu) – sono stati condannati a tre anni di carcere per non aver rinunciato alla loro fede.
E non è stata questa l’ultima discriminazione perpetrata contro la minoranza cristiana (poco più di 100 mila fedeli, di cui 45 mila cattolici): come riportato in agosto dall’agenzia BosNewsLife, Phouthone Chansombat, un protestante del villaggio di Tao Tan ha dovuto rinunciare pubblicamente alla sua fede per diventare capo-comunità.
Questi fatti non devono però indurre a pensare a uno stato continuo di violente o esplicite persecuzioni: come spiega anche il Rapporto sulla libertà religiosa 2005 di Aiuto alla Chiesa che soffre, «le restrizioni variano secondo la religione e le zone del Paese. Nelle città maggiori i cittadini sono liberi di praticare la loro religione e non si registrano episodi di violenza».
Per questo, probabilmente, la vita dei cattolici scorre relativamente tranquilla a fianco del grande fiume Mekong, che bagna da nord a sud il Laos: infatti, essi abitano prevalentemente nei grandi centri urbani lungo il corso d’acqua, in particolare al centro (nel vicariato di Vientiane, la capitale, e in quello di Savannakhet) e al sud (Paksé).
In queste tre città è attiva quella che è una delle ultime creature della Chiesa laotiana: il Gruppo dei servi, un’associazione giovanile nata nel 1999 nella capitale, su iniziativa di un gruppo di ragazzi che frequentavano la Messa festiva alla cattedrale di Vientiane. Preghiera, canti nello stile di Taizè, servizio ai poveri e aiuto agli anziani più disagiati sono – lo racconta l’agenzia Eglises d’Asie dei Mep – i tratti di questo gruppo, che da Vantiane si è espanso anche a Paksé e a Savannakhet. Tanto da far dire a monsignor Vithavong che i «giovani sono la nuova fonte di energia che ridarà vita alla Chiesa del Laos: il nostro futuro dipende da loro».
Sempre opera dei giovani è l’apertura e l’inculturazione nei confronti delle minoranze etniche, ad esempio, i hmong e i khum. Infatti, sebbene la maggioranza dei fedeli sia di origine vietnamita, tra le etnie minoritarie (nel Paese sono in tutto 47) non mancano i cattolici. È il caso di quel gruppo di giovani khum che gravita attorno alla cattedrale di Vientiane: nato nell’agosto del 2004, oggi – secondo quanto riferisce AsiaNews – conta una quarantina di membri, impegnati nel declinare in lingua khum i contenuti della fede cristiana. Hanno già tradotto le preghiere tradizionali, composto alcuni inni sacri in lingua locale, e stanno per tradurre alcuni brani del Vangelo.
La situazione più difficile per la Chiesa del Laos è quella nel vicariato di Luang Prabang, nel nord: qui, su 1 milione 248 mila abitanti, i cattolici sono solo 3.500 distribuiti in 6 parrocchie e assistiti dall’unico sacerdote, mons. Tito Bachong Thopahong. Il quale riassume in sé molti tratti della Chiesa laotiana, visti i sei anni e mezzo trascorsi in carcere, l’ultima volta (5 mesi) nel 1998. Ancora oggi mons. Thopahong non può svolgere liberamente il suo ministero, dato che gli è impedito di risiedere stabilmente a Luang Prabang, dove può solo recarsi di tanto in tanto.
Da questo si può ben capire la grande novità che ha impreziosito la celebrazione della Pasqua dello scorso anno, quando le autorità locali hanno concesso a mons. Thopahong di erigere una chiesa a Ban Pong Vang, nella provincia settentrionale di Xayaburi, per le 86 famiglie cattoliche del villaggio. Un fatto storico, visto che questa è stata la prima chiesa cattolica costruita dal 1975, da quando cioè il partito comunista Pathet Lao ha preso il potere in Laos, espellendo tutti i missionari e perseguitando le religioni.
Stagione in parte conclusasi nel 1991, quando il subentrante Partito rivoluzionario del popolo laotiano ha avviato un’operazione di «democrazia centralizzata», che è poi la situazione nella quale opera attualmente la Chiesa. Oggi la Chiesa cattolica conta 123 parrocchie, suddivise in 4 vicariati guidati da 3 vescovi; vi prestano servizio 14 sacerdoti e 76 religiose. Gli istituti religiosi stranieri sono off limits: esistono case di formazione (suore Amanti della Croce, vietnamite, e suore della carità di santa Giovanna Antida Thouret, francesi), ma accolgono soltanto ragazze locali.
Parlando di Laos e di missione, comunque, non è possibile dimenticare la figura di un grande evangelizzatore, quale mons. Marcello Zago, degli oblati di Maria Immacolata. Nativo della provincia di Treviso, classe 1932, nel 1959 partì per il Laos, dove – con un intermezzo di studi a Roma – rimase fino al 1975. Durante la sua esperienza laotiana Zago – che in seguito assumerà un ruolo centrale nell’azione di dialogo interreligioso promossa da Giovanni Paolo II, organizzando lo storico incontro di preghiera ad Assisi nel 1986 – diventa un profondo conoscitore del buddhismo, sul quale scriverà decine di articoli specialistici, e un instancabile animatore dell’impegno missionario ad gentes.
Tanto che negli ultimi tre anni di vita (è morto nel 2001) padre Zago, che dal 1986 al 1998 ha pure ricoperto l’incarico di superiore generale della sua congregazione, divenne arcivescovo e segretario della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli.
Sulla sua vita e il suo operato padre Piero Gheddo ha scritto un appassionato volume, Marcello Zago. Una vita per la Missione, Edizioni Omi). Da quelle pagine emerge la statura culturale, la delicatezza umana e l’impegno a tutto campo del missionario, la sua profonda spiritualità mista a una grande capacità dialogica. In una parola, il profilo di un «gigante» della missione dei nostri tempi.