19 Giugno 2018
Stavolta tocca al diesel. La nuova crociata ambientalista punta a colpire uno dei carburanti più usati dagli italiani con nuovi inasprimenti fiscali. E nei comuni di Milano e Roma sono in arrivo anche tanti nuovi divieti di circolazione. La scusa è sempre la riduzione dell’inquinamento. Ma c’è un’emergenza? No.
di Francesco Ramella
Dagli al diesel! L’ultima crociata ambientalista contro l’auto prende di mira i veicoli alimentati a gasolio. Prima sedotti e poi abbandonati. La rapida diffusione di questa tipologia di veicoli in Europa negli ultimi due decenni è infatti soprattutto la conseguenza del più morbido trattamento loro riservato in termini di prelievo fiscale accompagnato da un progressivo allineamento delle prestazioni al livello delle auto a benzina.
Negli Stati Uniti, dove le tasse sui carburanti sono molto più contenute, la diffusione del diesel è limitatissima. La ragione del “favore” fiscale è stata individuata in passato nel minor livello di emissioni di anidride carbonica. Da qualche anno è però arrivato il Contrordine compagni! A fronte di minori emissioni di CO2, i diesel fanno registrare più elevate emissioni di inquinanti locali e, in particolare, di ossidi di azoto.
Da qui la retromarcia cui sembra prontamente allinearsi il nuovo Esecutivo che, nell’arco di poche settimane, è passato dalla promessa contenuta nel Contratto di Governo di “eliminare le componenti anacronistiche delle accise sulla benzina” all’ipotesi di aumento del prelievo fiscale sul gasolio che comporterebbe un incremento di cinque miliardi delle entrate statali.
Cinque miliardi che andrebbero ad aggiungersi a un carico fiscale complessivo sul settore automobilistico già oggi superiore ai cinquantacinque miliardi a fronte di una spesa pubblica nell’intorno dei sedici.
Non solo. Oltre all’aggravio fiscale, un’altra tegola sta per abbattersi sugli sfortunati possessori di auto a gasolio che risiedono nelle grandi città. Il Comune di Milano ha deciso che a partire dal prossimo gennaio sarà impedita la circolazione di tutti i mezzi a standard Euro 1, 2 o 3; dall’ottobre successivo il blocco sarà esteso agli Euro 4 e, più tardi, anche agli Euro 5.
Roma ha già annunciato di volersi muovere nella stessa direzione e vi sono pochi dubbi che altre amministrazioni seguiranno a ruota. D’altra parte, già negli scorsi inverni alcuni tra i proprietari di veicoli diesel hanno dovuto lasciare l’auto magari acquistata da un paio d’anni in garage.
Si tratta di provvedimenti giustificati da un qualche stato di emergenza? A giudicare dai dati di cui disponiamo parrebbe proprio di no. Non solo, come si è più volte ricordato su queste pagine, i livelli di inquinamento atmosferico nelle nostre città sono radicalmente diminuiti negli ultimi decenni ma analoga tendenza è in atto specificamente anche per il biossido di azoto, l’inquinante che i diesel emettono in quantità superiore rispetto ai veicoli a benzina.
A Milano, ad esempio, tra il 1990 e il 2016 la concentrazione di questo tipo di inquinante si è ridotta a un terzo passando da 120 a 40 microgrammi per metro cubo. Non solo, in assenza di inasprimenti regolatori, la situazione era comunque destinata a migliorare ulteriormente: gli stessi dati forniti dall’amministrazione comunale attestano che, grazie al rinnovo del parco, le emissioni nel prossimo decennio si sarebbero ridotte “spontaneamente” di un altro 75%.
A ciò si aggiunga la recente novità annunciata dalla industria tedesca Bosch, fornitrice dei principali gruppi automobilistici, relativa ad un ulteriore passo in avanti della tecnologia di abbattimento delle emissioni che potrebbero essere portate in un futuro non lontano ad un livello pari a un decimo di quello imposto dalla normativa europea.
Sarebbe però ingeneroso mettere sul banco degli imputati i sindaci “obbligati” ad adottare misure restrittive per non essere ritenuti responsabili del mancato rispetto della normativa vigente in materia. Infatti, pur in presenza di un quadro in netto miglioramento, nel caso di alcuni inquinanti la concentrazione registrata in atmosfera è ancora oggi superiore al limite previsto dalle direttive UE.
Qui è il nodo della questione. Come spesso accade in campo ambientale, sono stati definiti aprioristicamente obiettivi da raggiungere in assenza di una valutazione dei costi da sostenere. Costi che, nel caso specifico dell’inquinamento atmosferico, superano ormai i benefici che si possono conseguire e che gravano prevalentemente sulle famiglie a più basso reddito costrette a scegliere tra la rinuncia all’auto e l’acquisto anticipato di un nuovo veicolo. Le case automobilistiche ringraziano.