n.66 Ottobre 2015
Morto il comunismo, e con esso la lotta di classe dei proletari contro la borghesia, la sinistra l’ha sostituita con un nuovo conflitto: la lotta planetaria del Sud povero vs. il Nord ricco. Agli argomenti di carattere politico, sociale ed economico, sono subentrati quelli ambientalisti. Fra le “armi”, anche l’immigrazione.
di Raffaele Citterio
Prima del 1990, gli occidentali erano abituati a considerare il comunismo come un’ombra colossale incombente sui rapporti internazionali e sulla vita interna di ogni paese. A un dato momento, questa minaccia è svanita. Il Muro di Berlino è stato abbattuto ed è finita la “guerra fredda”. Uno a uno, quasi tutti i vecchi governi comunisti hanno ceduto. L’URSS si è sgretolata. Nonostante la precaria sopravvivenza di “dinosauri” come i fratelli Castro a Cuba, nel breve spazio di due o tre anni, il mostro che aveva tenuto il mondo senza fiato per più di mezzo secolo, sembrò svanire nel nulla.
La spaventosa miseria del comunismo
Il problema del comunismo, come ogni problema socio-politico, aveva un aspetto dottrinale e uno pratico. Si trattava non solo di sapere se il marxismo-leninismo era valido o meno a livello teorico, ma anche di sapere se la sua applicazione avesse ottenuto risultati soddisfacenti.
Ora, abbattuta la Cortina di ferro, si è rivelato agli occhi di tutti il clamoroso fallimento dell’esperienza sovietica. Per la prima volta il mondo ha potuto constatare la spaventosa eredità del comunismo: una situazione di miseria e di oppressione quale il mondo non aveva mai visto, e che il cardinale Ratzinger ha giustamente qualificato come “la vergogna del nostro tempo”.
Questa constatazione ebbe un immediato riscontro in campo ideologico: apparve chiaro al buon senso dell’opinione pubblica che l’utopia comunista era irrealizzabile. Di fronte al clamoroso fallimento del socialismo reale, come potevano i comunisti continuare a difendere le loro dottrine? Così alla disfatta politica si aggiunse pure quella ideologica, scatenando all’interno dei vari PC una crisi d’identità.
La morte delle ideologie
Questa duplice disfatta delle correnti comuniste si situava all’interno di un panorama più ampio: la “morte delle ideologie”. Da tempo dilaga nello spirito dell’uomo occidentale un tremendo indifferentismo morale, provocato dal deteriorarsi del principio di non contraddizione, principio fondamentale e supremo del pensiero umano. Si parla perfino del tramonto dell’uso della ragione. Si diffonde un nuovo tipo umano incapace di interessarsi a ciò che oltrepassa il suo campo individuale, incapace quindi di emettere un giudizio profondo sugli avvenimenti, ridotto a un coacervo di emozioni, di umori e di reazioni primarie.
Questo tipo umano suppone un grave problema per la sinistra, che si ritrova di colpo impossibilitata a mobilitare come prima le masse per le cause rivoluzionarie. Morto il comunismo come ideologia e distrutta la sua base operazionale, come articolare un nuovo movimento rivoluzionario internazionale, tenendo conto anche di tale atonia ideologica? Occorreva ricostituire un certo quadro generale di fronte al quale le persone potessero essere sollecitate a schierarsi e a scendere in campo.
Ritorna la lotta di classe
Un primo tassello della risposta è quello che si potrebbe definire il riciclaggio della lotta di classe.
Secondo il marxismo, la società moderna era divisa fra i proprietari dei mezzi di produzione (i borghesi) e quelli che ne erano privi (i proletari). Da questa divisione scaturiva necessariamente un antagonismo, la lotta di classe, ritenuta il motore del processo rivoluzionario. Secondo questo mito, i borghesi sarebbero diventati sempre più ricchi e i proletari sempre più poveri, l’antagonismo si sarebbe fatto sempre più aspro fino all’esplosione finale, culminando nella rovina dell’ordine borghese e nell’instaurazione della dittatura del proletariato.
La storia si è incaricata di smentire questo mito. Nell’Occidente il proletariato ha migliorato la sua situazione economica fino a diventare in pratica un’agiata classe media. Nel mondo socialista, invece, il capitalismo di Stato non ha prodotto altro che miseria e oppressione.
Lungi dall’ammettere il fallimento di questo mito, i rivoluzionari lo hanno sostituito con uno nuovo: la fine della tensione Est-Ovest avrebbe lasciato allo scoperto una nuova tensione fra Sud (paesi poveri) e Nord (paesi ricchi).
Sparisce, al meno apparentemente, qualsiasi connotazione ideologica. Si tratta, dicono, di una situazione di fatto: alcuni paesi sono poveri, altri sono ricchi. I primi producono materie prime a basso prezzo; i secondi le acquistano e le trasformano in prodotti industriali che poi vendono a prezzi maggiorati. Si stabilisce così un circolo vizioso per il quale i poveri diventano sempre più poveri ed i ricchi sempre più ricchi. Questa crescente tensione sfocerà nello scontro fra i due mondi, con la conseguente vittoria del Sud. Si instaurerà un nuovo ordine economico internazionale più “giusto” dove le ricchezze saranno ridistribuite e l’uguaglianza finalmente regnerà.
Nel frattempo, i poveri avranno diritto a partecipare direttamente all’abbondanza dei ricchi, trasferendosi nei loro paesi. Ed ecco la giustizia intrinseca che ci sarebbe negli enormi flussi migratori degli ultimi tempi. L’insediarsi di queste masse umane, non più assimilabili alla cultura locale come una volta, crea delle vere e proprie colonie del Sud nelle cittadelle del Nord. Queste colonie tenderanno solo a crescere, visto il loro alto tasso di nascite. Oltre a destabilizzare la vita interna dei paesi ospitanti, a giudizio degli alfieri di questa nuova prospettiva, queste colonie potrebbero eventualmente fornire masse da manovra per moti rivoluzionari. In casi estremi, alcuni paesi del Nord potrebbero perfino perdere la loro identità culturale e storica.
Questa prospettiva offre alla sinistra un valido pretesto per mobilitare i suoi militanti e per reclutare compagni di viaggio. L’intensa carica sentimentale dell’obiettivo permette alla sinistra di risparmiarsi l’uso della persuasione ideologica, rivolgendosi direttamente al cuore delle persone.
L’ecologia come ideologia
A partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, a questi argomenti di carattere politico, economico e sociale, la nuova sinistra mondiale ha aggiunto anche quelli ecologici e ambientali.
Il ritmo di sviluppo del Nord, dicono, sta sciupando le risorse del pianeta, a scapito del Sud. Bisogna abbassare drasticamente il livello di consumo dei paesi del Nord, portandolo più vicino a quello del Sud, non solo per motivi politici e sociali, ma anche per motivi di carattere ambientale. E anche qui, dice questa sinistra, non ci sarebbe niente di ideologico: si tratta solo di salvaguardare la “nostra casa comune”. Un dato di fatto.
Un’ideologia nascosta
Gli alfieri di questa nuova prospettiva dichiarano che in essa non c’è nulla di ideologico, e dunque niente di programmato, in quanto non sarebbe altro che il risultato di una situazione di fatto: lo squilibrio economico mondiale.
Per cominciare, questa prospettiva ci sembra troppo semplicistica. Essa non prende in considerazione, per esempio, i motivi della povertà nei paesi del Sud. Il fatto è che molti di questi paesi, ricchi di risorse naturali, sono poveri per via della disastrosa applicazione di programmi di stampo statalista e la totale mancanza di un’etica del lavoro.
Perché non se ne fa mai menzione? Forse perché in tal modo si aprirebbe uno spiraglio di soluzione? C’è da augurarsi, infatti, che, abbandonando il socialismo e applicando invece le formule che hanno funzionato bene al Nord, questi paesi possano svilupparsi. Ma allora essi non sarebbero più “Sud”, si imborghesirebbero, e la sinistra potrebbe rimanere ancora una volta senza massa da manovrare.
Ma allora cominciamo a intravedere i lineamenti di una ideologia soggiacente. Da una parte vediamo il sostegno, mai venuto meno, alle politiche socialiste, a volte mascherate da “populismo”. Vediamo poi l’affermazione che è ingiusto che vi siano paesi ricchi e paesi poveri, così come è ingiusto che vi siano classi ricche e classi povere. In altre parole, è ingiusto che vi siano disuguaglianze. Questa rivoluzione, dunque, è ispirata al principio dell’ugualitarismo, cioè alla stessa essenza del comunismo.
Tutto ciò traccia i contorni di una autentica rivoluzione mondiale in preparazione. “Sì rischia una guerra di classe da fare impallidire il ricordo delle lotte sociali che fin qui hanno punteggiato la storia moderna “, ammoniva nel 2001 Eugenio Scalfari.
(*) Basato su una conferenza di Plinio Correa de Oliveira per soci e cooperatori della TFP brasiliana, nel 1991.