20 maggio 2014
di Stefano Magni
Se stai per addentare un panino in un fast food, ma sulla sua scatola vedi impressa la foto di un uomo obeso in ospedale, intubato, che muore di infarto, avresti ancora fame? Se sotto questa foto ci fosse scritto: “questo panino uccide”, avresti ancora fame? Probabilmente no. E allora abbiamo trovato la formula perfetta per mettere tutti a dieta. O meglio: lo hanno trovato due organizzazioni internazionali, la Consumers International (CI) e la World Obesity Federation (WOF). Ieri hanno presentato un documento con cui chiedono formalmente ai governi di imporre al cibo delle norme draconiane, copiate da quelle che già regolano le sigarette .
Con una grande dimostrazione di zelo, le due organizzazioni mondiali chiedono di inserire immagini-shock nelle confezioni del “cibo-spazzatura”, come già si usa per le sigarette. Vorrebbero veder cancellati tutti gli acidi grassi artificiali da ogni prodotto culinario entro 5 anni. E nel frattempo esigono leggi che impongano all’industria culinaria una riduzione di grassi saturi, sale e zuccheri fino a livelli quantitativi ritenuti non pericolosi. Ai governi viene, inoltre, chiesto di supervisionare i prezzi dei prodotti culinari, introdurre nuove tasse, intensificare i controlli prima di concedere licenze a ristoratori e produttori, investire fondi pubblici sulla ricerca.
Il nuovo rapporto della CI e WOF è solo l’ultima puntata di una campagna, condotta anche ad alti livelli, basti pensare alla first lady Michelle Obama, con il suo orticello alla Casa Bianca e le sue lezioni nelle scuole contro il “cibo spazzatura”. Lo scorso marzo, la Action on Junk Food Marketing aveva lanciato la sua petizione per vietare tutte le pubblicità di cibi non allineati con i canoni salutisti trasmesse prima delle ore 21, nei programmi per bambini e ragazzi. A farne le spese sarebbero stati soprattutto gli spot in periodo festivo, natalizio e pasquale. Guai a pranzi e cenoni, insomma.
Nel 2013, uno studio effettuato dai ricercatori di Oxford, suggeriva invece una tassa del 20% sulle bibite zuccherate quale metodo efficace per ridurre la popolazione obesa. In Italia questa idea era stata anticipata, poco più di un anno prima, dal governo Monti, che aveva proposto una legge per introdurre la nuova imposta, anche se poi aveva dovuto fare marcia indietro a seguito delle rivolte scoppiate nelle categorie colpite. Nel secondo governo Berlusconi, il ministro della Sanità, Girolamo Sirchia, aveva pensato di dimezzare le porzioni servite ai ristoranti. Di fatto, il cliente avrebbe dovuto pagare il doppio. Anche in quel caso non se n’è fatto nulla, ma la proposta c’era.
La tentazione salutista è una vecchia moda. Anche Adolf Hitler, a suo tempo, era vegetariano e fanatico della salute, propria e dei cittadini (solo quelli di razza superiore, gli altri dovevano essere eliminati per far loro spazio). Tuttora è una politica che conquista facilmente consensi. Imporre la salute sembrerebbe la politica più ovvia del mondo. Anche se, a ben vedere, certezze scientifiche non ci sono.
Solo per citare gli ultimi studi in merito, il 17 marzo scorso, sul New York Times (una testata progressista), si trova un articolo a firma di Anahad O’Connor, in cui si legge: “… un’ampia ed esaustiva nuova analisi condotta da un team di scienziati internazionali, non ha trovato alcun nesso fra l’assunzione di grassi saturi e gli attacchi cardiaci e altri problemi al cuore. Questi nuovi risultati sono parte di un crescente numero di studi contestano la comune nozione che vede i grassi saturi come intrinsecamente pericolosi per la salute e prolungheranno il dibattito su quali cibi sia meglio mangiare”.
È ormai famoso il docu-film Super Size Me, dove il protagonista-regista-sperimentatore Morgan Spurlock si fa cavia per dimostrare quanti problemi sorgano a mangiare sempre nei fast food (e sempre le porzioni più grandi). Già l’esperimento in sé appariva discutibile, considerando che anche nelle migliori trattorie lombarde si rischia l’infarto se si mangiano continuamente dosi massicce di cassoela e ossi buchi. Ma giusto per confutare direttamente Spurlock, un insegnante statunitense di scienze delle scuole superiori, John Cisna, ha provato a mangiare per sei mesi solo in un fast food. Ed è dimagrito. Ha scritto e pubblicato un libro, My McDonald’s Diet, in cui racconta la sua esperienza. Nessun salutista è ancora riuscito a provargli il contrario. Evidentemente il corpo umano è più complesso di quel che si pensi.
L’unico principio dietetico sano, che finora non è stato confutato, premia una dieta variegata. Ma è politicamente scorretto ribadirlo, perché potrebbe offendere intellettuali quali Darren Aronofsky, vegano e autore della versione ecologista cinematografica di Noè (dove l’uomo merita il diluvio universale perché mangia carne) e tanti altri come lui, che fanno del veganesimo, una dieta ultra-vegetariana, una bandiera ideologica oltre che alimentare.
Come per la crociata contro il riscaldamento globale, anche i salutisti chiedono leggi certe a fronte di studi assolutamente incerti. Difficile non sospettare che mirino a qualcos’altro oltre alla salute dei cittadini. Un maggiore ruolo dello Stato nella vita personale è l’unico esito sicuro delle loro proposte. Ma le campagne contro il “cibo spazzatura” vanno lette assieme a tutte le altre sugli alimenti e l’agricoltura: lotta agli Ogm, appelli di Ue e Onu per iniziare a mangiare insetti e campagne per la diffusione di cibo biologico, a Km Zero e senza conservanti e gli studi sulla presunta insostenibilità delle tecniche di allevamento, “troppo” dispendiose di acqua e nutrimenti per animali. E si capisce meglio il senso del tutto: è uno dei tanti capitoli della lotta contro la cosiddetta “impronta umana”.
Partendo dalla considerazione che la presenza dell’uomo inquina e disturba il resto dell’ecosistema, si mira a ridurla, sia numericamente (denatalismo) che economicamente (decrescitismo), riducendo in ogni caso la capacità umana di trasformare la natura a proprio vantaggio. In questa cultura, dimagrire è essenziale: l’impronta umana è più leggera. Se si cancella, tanto meglio.