La persecuzione religiosa univa moderati e giacobini

 RF_chiesa Prospettive nel mondo

luglio-agosto 1989

RIVOLUZIONE FRANCESE / MODERNISMO

di Augusto Del Noce

Trattare della Rivoluzione Francese in occasione del bicentenario non è fare oggetto di studio un passato; si tratta invece di prendere consapevolezza del nostro presente, della nostra epoca che proprio li ha avuto il suo inizio. La Rivoluzione Francese infatti, non assomiglia a nessun’altra che l’abbia preceduta nella storia. E’ la tesi di già svolta da Giuseppe De Maistre. Le rivoluzioni precedenti si giustificavano per lo più come desiderio di restaurazione di un ordine violato.

La Rivoluzione Francese, invece, si presenta essente se stessa come l’inizio di una nuova epoca, totalmente altro rispetto al passato, e, ciò che più conta per gli sviluppi politici e culturali ancora presenti nel pensiero contemporaneo, emancipata radicalmente rispetto al soprannaturale.

All’indomani dei grandi entusiasmi, delle rivendicazioni di parità e delle mobilitazioni popolari, riconosciuto insindacabile il carattere borghese della Rivoluzione dell’89, alla luce degli sviluppi storici difficilmente prevedibili c’è da chiedersi se la nuova epoca che si dischiude sarà il dominio dei Diritti o quello della “virtù”. Laddove quest’ultima possa fare anche da supporto all’ideologia del Terrore, si capisce perché si manifesti una spaccatura: il dominio del legislatore della “Dichiarazione dei Diritti” sarà conciliabile, o sopravviverà al dominio di Robespierre?

Il fondo illuministico è comune a tutte e due le linee, tanto a quella degli eredi degli enciclopedisti quanto ai giacobini.

Anche la Dichiarazione approvata dall’Assemblea Nazionale Costituente, premessa della futura Costituzione repubblicana, riafferma la visione universalistica dei valori politici, civili e umanai derivata direttamente dalla cultura illuministica. Così l’idea dei diritti naturali cara a Rousseau e agli Enciclopedisti (art.1: “gli uomini nascono e vivono liberi e uguali nei diritti”), la teoria, sempre rousseauiana della volontà generale come movente e contenuto della legge, il principio della separazione dei poteri propria di Montesquieu o la fede voltairiana nello Stato che difende l’uomo da ogni arbitrio.

Fede assoluta nella nozione di Diritto, dunque, fini a far rientrare certo illuminismo ritenuto loro estraneo nel precedente libertinismo.

Gli altri, invece, i giacobini della Seconda Rivoluzione, non i nobili liberali e borghesi patrioti, arricchitisi con l’espropriazione dei beni ecclesiastici, e perciò propensi ad accentuare il carattere moderno della Rivoluzione, non hanno che un mezzo per stabilire la virtù, il “regno della virtù”: il torrente di sangue.

Ecco, quindi, l’affermarsi non estemporaneo, ma giustificato dal contesto storico, di figure come quelle di Marat e di Robespierre. Quest’ultimo, soprattutto, convinto di agire, anche con la legge dei sospetti, e la persecuzione del Terrore, solo pr realizzare la virtù e portare la Rivoluzione fino in fondo.

L’antinominia tra borghesi e virtuosi venutasi a creare in questo modo è una delle contraddizioni della stagione dell’89 continuata fino d oggi. Ed è esattamente da questo binomio che trae origine un doppio mito: è il mito di Condorcet ed il mito di Robespierre: quello della dichiarazione dei diritti e quello giacobino. Tutta la storiografia dell’800 è caratterizzata da questa chiave di lettura antinomia, tesa e attratta fra questi due poli.

La storiografia più recente ha invece insistito particolarmente sul mito giacobino (Mathier e Lefevre, e tutta la letteratura marxista e comunista). Ora l’orientamento sta cambiando.

Il senso e l’importanza degli studi storici stanno nell’aiuto che essi possono fornircio pr comprendere il mondo contemporaneo. Se guardiamo infatti alle contraddizioni del presente, le vediamo già condizionate dalle contraddizioni di allora: da una parte gli eredi della dichiarazione dei diritti e tutti i mali della borghesia, dall’alta i sostenitori di un’accesa volontà di porre dei principi assoluti. Proprio questa, infatti, è a mio parerer la principale contraddizione della Rivoluzione Francese.

Esiste una continuità

Quando si parla di Rivoluzione Francese oggi, quindi, non si tratta di guardare al passato, all’ordine che allora cedette di fronte alla finalità della rivoluzione. L’assenza di un impianto per il passato non deve farci perdere di vista questa antinomia, finora non risolta, già presente nella Rivoluzione Francese, e che nell’orizzonte di quella rivoluzione non può essere risolta.

Che la rivoluzione dell’anno 89 sia stata di fatto una rivoluzione borghese, cittadina, tendenzialmente moderata, almeno negli intenti di chi cominciò presto a beneficiarne, sembra ormai indubbio. Nonostante fasi alterne abbiano assegnato la vittoria ora all’una, ora all’altra corrente politica, esaltando o esecrando l’uomo che le incarnava esiste una continuità di eventi che unisce gli anni più decisivi dello scorcio del secolo: la continuità della persecuzione religiosa durante i 10 anni della rivoluzione è un fatto che i cattolici tendono a dimenticare.

Questa continuità che cosa manifesta? Che gli uomini della Rivoluzione Francese furono discordi fra loro, ma su un punto erano uniti, quello della persecuzione religiosa. Suia la parte moderata, quella della “Dichiarazione dei Diritti”, sia quella giacobina sono concordi in questa direzione.

La Chiesa Cattolica attraversava in quegli anni una fase difficile, soprattutto ideologicamente perché speranze e battaglie degli illuministi stavano per diventare realtà. E’ anche vero, del resto, che la borghesia scaricava sulla Chiesa e l’educazione cattolica parte delle scelte sbagliate e dei prodromi della situazione contemporanea di cui gli altri gruppi sociali erano responsabili.

Con la Costrizione civile del clero, e il prete che diventa cittadino, la Chiesa veniva sottratta al controllo del Papa e sottomessa allo Stato. Nasce così il laicismo moderno e lo Stato aconfessionale come modernamente lo si intende.

I sacerdoti, se non perseguitati, erano costretti a fare propaganda politica dal pulpito, a leggere la domenica le leggi e i decreti dell’Assemblea Nazionale.

E lo Stato utilizzava questa classe sociale nel tentativo di convincere i fedeli che il nuovo regime agisse in maniera conforme agli interessi popolari.

Altri aspetti della Rivoluzione meriterebbero di essere letti come preludio ad una situazione attuale, come atteggiamenti del clero che aprivano al futuro modernismo. Si tratta comunque di segnali che non possono passare inosservati, specie alla coscienza cattolica, e testimoniano di come il fenomeno rivoluzionario non possa essere ridotto ad una serie frammentaria di episodi.

Bisogna perciò andare cauti in quell’enucleazione del positivo della rivoluzione francese, di cui troppi cattolici oggi si compiacciono. In realtà, a questa accentuazione del positivo è il principio primo del modernismo religioso, travaglio, non ancora superato, dalla Chiesa del nostro secolo.

Non bisogna equivocare: quando la Chiesa oggi parla in difesa dei diritti dell’uomo, non lo fa nel senso che ammettevano loro i rivoluzionari dell’89, anche i più moderati. Tra il significato pieno dei diritti dell’uomo affermato dalla Chiesa e quello loro assegnato dalla cultura illuministica c’è un abisso invalicabile.