A venticinque anni dalla prima fecondazione «in vitro», il bilancio di padre Serra: «Le coppie sono ancora disinformate E i diritti dell’embrione sono del tutto negati»
di Luigi Dell’Aglio
Parla padre Angelo Serra, gesuita, professore emerito di Genetica umana, che ha insegnato a lungo nella facoltà di Medicina e chirurgia «Agostino Gemelli» dell’università Cattolica del Sacro Cuore e fa parte delle più famose istituzioni scientifiche internazionali. Mentre i sostenitori della fecondazione artificiale celebrano il venticinquesimo anniversario dell’esordio di questa tecnica, Angelo Serra raccoglie, in un libro intitolato L’uomo-embrione – Il grande misconosciuto, edito da Cantagalli, una lunga serie di prove per dimostrare che il bilancio della metodica è fallimentare, da tutti i punti di vista. Il saggio descrive il prodigio biologico dell’embrione che, fin dalla prima cellula, attraverso meccanismi molto complessi si autocostruisce, attuando il programma scritto nel suo genoma.
Nel suo saggio, lei cita perplessità e preoccupazioni espresse da numerosi scienziati, che denunciano come “industry” (nel senso di “speculazione”) la tecnica della riproduzione assistita.
«Sì, tra i tanti, ricordo soltanto un articolo pubblicato nel 1998 su Science, una delle riviste scientifiche più diffusa negli Stati Uniti e nel mondo, a firma di dodici studiosi e ricercatori dell’Institute for Science, Law and Technoloy della università di Chicago. Dopo aver classificato questa attività come Assisted Reproductive Technology Industry, e aver elencato una serie notevoli di abusi, tra i quali il fatto che “nuove tecniche sono usate sulla donna prima di averne fatta adeguata ricerca sugli animali”, richiamavano a un senso di responsabilità, facendo esplicite proposte e ricordando: “Le tecnologie della riproduzione assistita implicano la creazione di figli e la costruzione di famiglie, un valore sociale fondamentale”. E la conferma che si tratti di una “industria” emerge anche dalle elevate tariffe, pubblicate negli Usa su documenti ufficiali. Una donna che riesce a ottenere un figlio al primo tentativo (caso estremamente raro) deve sborsare 40 mila dollari; se ci riesce dopo 3-5 tentativi, sono 70 mila dollari; se poi a volere un bambino è una donna di 40 anni, occorrono 800 mila dollari»
Pochissime persone conoscono in che cosa consiste questa tecnica. Può spiegarcela?
«La coppia che non riesce ad avere bambini e desidera averli (sentimento che merita tutto il rispetto e la comprensione) si rivolge direttamente, o è indirizzata, a una “clinica della fertilità”. Qui, nel caso più frequente di impedimento o difficoltà dell’incontro dei gameti, la donna viene sottoposta a un processo di iperovulazione mediante la somministrazione di farmaci che dovrebbero facilitare la maturazione di più ovuli. Questi sono poi prelevati e fecondati in vitro con gli spermatozoi del marito (fecondazione omologa) o di altro soggetto (fecondazione eterologa). Gli embrioni formatisi vengono allora posti in termostato, immersi in terreno adatto, dove lo sviluppo proseguirà seguito dal biologo. Questi, a seconda delle tecniche scelte, ne farà poi una selezione per un promettente trasferimento in utero da parte del ginecologo. Gli embrioni in sovrappiù, a seconda delle leggi, potranno o no essere crioconservati»
Per quale ragione biologica, con la fecondazione artificiale, su cento donne, soltanto venti riescono ad avere un bambino?
«Sta emergendo sempre più chiaramente che, attraverso questo processo vengono a mancare o giungono in ritardo le attività e i prodotti di specifici geni che ordinariamente operano durante il periodo di intenso colloquio – definito “cross-talk” – tra geni della madre e dell’embrione, che si sviluppa durante i primi cinque giorni circa del percorso nella tuba. Giustamente, un recente articolo pubblicato dalla rivista Nature nel luglio del 2002 era intitolato Your destiny from day one, cioè Il tuo destino, dal giorno uno. È evidente che, nella prassi attuale, si procede su questa via di morte con chiara volontà, pur sapendo che per la massima parte degli embrioni prodotti e utilizzati sarà alterato gravemente lo sviluppo. Affermare che l’embrione umano è da riconoscere come individuo soltanto al momento dell’impianto o peggio al termine del quindicesimo giorno dalla fecondazione, mentre prima è soltanto un cumulo informe di cellule, è tradire la stessa verità biologica, oltre quella antropologica».
Tre embrioni per ottanta mamme mancate fa duecentoquaranta embrioni “a perdere”. Ma quali sono gli altri quaranta embrioni destinati a morire?
«Delle 20 donne su 100 che riusciranno a dare inizio alla gravidanza, la massima parte riuscirà a portarne a termine uno soltanto o nessuno; rarissime saranno quelle che porteranno a termine due gemelli o tre, se pure non sono andati perduti o eliminati quelli in sovrappiù. Gli altri quaranta circa sono precisamente questi».
Nel suo libro, lei cita Paolo Donati, professore di sociologia all’università di Bologna, secondo il quale la procreazione è diventata “un bene di consumo”.
«Purtroppo. E molto costoso. E non solo sotto l’aspetto economico, già ricordato. Basti pensare che per avere la probabilità del 90-95% di successo bisogna sottoporsi a 15-20 tentativi, e a 5-7 per una probabilità del 50%. Ci sono donne che sono state spinte a provare anche 14 volte senza alcun risultato. Dominique Grange, un’artista francese, nel realistico e drammatico saggio L’Enfant derrière la vitre (Il bambino dietro il vetro) descrive la sua esperienza personale, interrotta dopo il secondo tentativo, e quella di tante altre donne. L’autrice esprime lo stato d’animo di quante hanno vissuto quell’esperienza, con un linguaggio che sembra abbia dell’isterico, ma con ciò rivela la reale situazione profonda della persona: “Che ne rimane di noi, di voi, all’ennesimo tentativo, all’ennesimo fiasco? …Macchine ovulatrici forsennate, piccoli robots gettati agli ormoni”.
Qual è il cammino che lei raccomanda alla coppia che non riesce ad avere figli?
«Prima di tutto, chiedere l’aiuto medico e psicologico per definire, fin dove è possibile, le cause dell’infertilità. Secondo, quando queste saranno state chiaramente accertate, consigliarsi con una persona di fiducia per comprendere il vero significato delle eventuali scelte proposte o possibili. Terzo, valutare – come ha fatto Dominique Grange – se, in quella particolare circostanza, donare con l’adozione, il proprio amore a chi non l’avrebbe mai (e l’attende) non sia qualche cosa di più grande e sublime che tentare di vedere soddisfatto il proprio giusto desiderio, forse inattuabile, di avere un figlio».