di Antonio Gaspari
ROMA, E’ stato presentato domenica 5 dicembre alla Fiera del Libro di Roma il volume “La terapia dell’accoglienza”, curato da Giuseppe Noia e Sabrina Pietrangeli e pubblicato da IF Press.
Madri e padri che hanno accettato dolori strazianti e giorni di passione, e alla fine sono arrivati al punto di dire che si trattava di “una grazia, un dono di Dio”.
Sono forse persone che hanno perso il senno? Gente impazzita per il dolore e per l’infausto destino? E’ già difficile accettare la morte, figuriamoci quella di un neonato. E come si fa a portare avanti una gravidanza sapendo che l’esito sarà infausto?
A leggere le loro storie, a conoscerli di viso, a sentirli raccontare, sembrano persone per niente affascinate da gesti eroici e temerari, eppure, proprio nei momenti più difficili, hanno mostrato una umanità straordinaria, sono stati capaci di amare oltre ogni limite, la paura è diventata coraggio, la tristezza si è trasformata in audacia, il timore si è cambiato in amore ostinato. Con questi gesti hanno salvato loro stessi ma anche e soprattutto l’umana civiltà la cui essenza si fonda sull’atto di amore gratuito rivolto verso l’altro.
Il tutto ha avuto inizio dalla vicenda di Sabrina Pietrangeli Paluzzi, una bella ed allegra signora che lavorava in una profumeria a Roma. Sabrina scopre di essere incinta, è contenta e pregusta la gioia di essere ancora mamma. Ha già due bambine Priscilla e Vivian. Ma la situazione volge al brutto quando, insieme al marito Carlo, scopre dall’ecografia che il suo bambino presenta una vescica enorme, ureteri e reni dilatati, liquido amniotico sparito.
La diagnosi non lascia speranze: un’ostruzione urinaria sta uccidendo il piccolo. Anche se riuscisse a nascere non potrebbe respirare a causa della mancata formazione dell’apparato respiratorio. I medici si dichiarano sconfitti: nessuna possibilità di sopravvivenza. Sabrina prega che almeno il Signore gli permetta di partorire il suo bambino vivo. E prega il Signore anche per respingere le pressioni di coloro che la invitano a interrompere la gravidanza.
Pur nella disperazione, Carlo e Sabrina non si danno per vinti. Continuano a consultare medici, finché non incontrano il professor Giuseppe Noia, il quale propone di rischiare un intervento in utero inserendo un catetere nell’addome del bambino al fine di farlo urinare. Sabrina ritorna a sperare, ma l’ecografia successiva sembra spegnere ogni luce.
La situazione del piccolo è notevolmente peggiorata. Anche il prof. Noia sembra arrendersi, non se la sente di mettere le mani su un bambino la cui salute è così compromessa. Il cuore di Sabrina è ferito a sangue, dal dolore, cerca di farsene una ragione e ringrazia comunque il Signore. Secondo i medici il suo bambino starebbe morendo, ma lei (e non è un illusione) lo sente scalciare.
Il tempo è passato e quel bambino dovrebbe essere morto, ma quando si va a fare l’ecografia, il piccolo si è liberato dai liquidi che lo invadevano. Il prof. Noia grida al miracolo, Sabrina e Carlo decidono di chiamare il bambino Giona, perché si è liberato dalla acque.
Priscilla, la primogenita, confida alla mamma: “Avevi ragione! Il Signore ascolta sempre le preghiere dei bambini”. Il miracolo è certo, un bambino che sarebbe dovuto morire a causa delle complicazioni del suo stato, è guarito da solo, anche se Giona qualche danno lo ha riportato. Ora ha sette anni, ed è vispo e determinato, ma ha già subito sei interventi chirurgici, due trasfusioni e un blocco renale.
Ma i miracoli che ha suscitato sono diversi. Il primo riguarda l’accettazione fedele ai disegni del Signore che i suoi genitori e il medico curante avevano accolto senza remore. Ha raccontato Sabrina: “Ero pronta ad attraversare la morte perché sapevo che col Signore al mio fianco le onde non mi avrebbero sommersa. Aggrappata al legno della Croce sono rimasta a galla”.
Il secondo miracolo di Giona è la sua nascita e la sua vita, che pur essendo un pò tormentata, finora ha generato gioia e speranza per tantissimi. Il miracolo più grande è relativo al fatto che la sua vicenda ha dato coraggio ai suoi genitori ed ai medici curanti al punto da far nascere una associazione “La Quercia Millenaria” che, unica in Italia, assiste, consiglia, cura le famiglie che si trovano nelle stesse condizioni.
Di fronte alla più infausta delle diagnosi, quelli della Quercia Millenaria assistono, accompagnano e aiutano le famiglie dei piccoli che sembrano destinati a morire.
Secondo la mentalità e la cultura utilitaristica che tanto invade e schiaccia le nostre vite, quelli della Quercia Millenaria sarebbero pazzi e crudeli. Secondo le vittime di questa cultura la via migliore è ricorrere agli aborti preventivi.In realtà ognuno di noi viventi dovrebbe ringraziare quelli della Quercia Millenaria, perché con le loro azioni misericordiose difendono e salvano l’umanità realizzando come diceva Sant’Agostino che “il limite dell’amore è amare oltre ogni limite”.
La civiltà e la forza di una civiltà non si misura dalla forza della sua economia e del suo esercito ma soprattutto dalla capacità che ha di amare e proteggere i più deboli. In questo senso la “Quercia millenaria” esprime il più alto esempio di civiltà, la civiltà dell’amore