La realtà nello sguardo della donna

sguardoStudi Cattolici n.604 giugno 2011

La teoria del gender, nella totale equiparazione tra uomo e donna al punto di annullare la realtà biologica della diversità sessuale, utilizza termini e concetti equivoci. Fabiana Cristofari presenta un’acuta analisi delle caratteristiche fisiologiche, psicologiche e spirituali della donna che non possono essere ignorate nel definire la sua missione e ruolo. Esperta in questo campo, con due dottorati e master nel curricolo, l’autrice ha pubblicato diversi saggi su famiglia e identità di genere.

di Fabiana Cristofari

Della donna e sulla donna si è detto e scritto moltissimo partendo da prospettive disciplinari diverse, eppure l’identità femminile ancora fatica a emergere nella sua grandezza. Il più delle volte le indagini statistiche registrano sentimenti di frustrazione e insoddisfazione in tante donne che nell’articolarsi della loro vita stentano a definire l’oggetto della piena autorealizzazione, dal momento che oggi è difficile non solo definire la realtà dell’essere donna, ma perfino pensare a un’identità femminile che nella sua dimensione personale possa essere declinata in termini di differenza rispetto a quella maschile.

La domanda sull’identità della donna rimane spesso inevasa, dal momento che si sono erosi i presupposti concettuali per riflettere sulla differenza. Oggi parlare di identità maschile e di identità femminile è estremamente contro tendenza lì dove si sta diffondendo, non solo nell’immaginario collettivo ma, ancora di più, all’interno di gran parte dei documenti internazionali e in molti filoni del pensiero filosofico e psicologico, l’idea di un soggetto asessuato in cui ogni differenza biologica sia annullata in vista dell’indifferenziazione sessuale.

Sono le teorizzazioni del pensiero gender, fatto proprio dal femminismo americano, che permeano il linguaggio comune (facendo del concetto «unisex» la parola d’ordine), ogni struttura concettuale e molte decisioni in campo giuridico e politico dove si riscontra, sempre più di frequente, la sottolineatura dell’irrilevanza della differenza sessuale e la cancellazione di qualsiasi riferimento all’uomo e alla donna a favore di un generico riferimento alla categoria del «genere umano» come sessualmente indifferenziato (1).

Il pensiero «gender» (2) si è fatto promotore di una efficacissima battaglia ideologica secondo la quale la differenza sessuale è un dato aggirabile: il fatto che nasciamo maschi o femmine è irrilevante dal momento che ciò che conta – secondo il pensiero «gender» – è ciò che diveniamo, e il divenire dipende dalla storia, dalla società, dalla cultura e dalla propria autocomprensione psicologica.

Secondo tale prospettiva, possiamo essere/nascere donne e divenire donne o essere/nascere uomini e divenire uomini – e in questo senso i ruoli prodotti dalla cultura e dalla società e le scelte psichiche dell’individuo coinciderebbero con la natura – ma è anche possibile essere/nascere donne e divenire uomini o essere/nascere uomini e divenire donne, nel senso dell’attuazione di comportamenti e dell’identificazione di ruoli sociali, ma anche fino alla completa trasformazione del corpo.

Non esisterebbe, quindi, un legame tra sesso e genere: il genere non può e non deve essere costretto nel sesso o rispecchiarlo; il dato naturale della differenza sessuale è, piuttosto, una «trappola metafisica» da cui prendere le distanze, in quanto è ritenuta la causa principale della «cultura patriarcale». Infatti, è a partire dal dato naturale della differenza fisica sessuale che ogni individuo viene «assegnato» socialmente alla categoria maschile o femminile e, in base a ciò, ognuno diviene ciò che la cultura ritiene che sia o debba essere (uomo o donna), pensando falsamente che tale ruolo corrisponda alla sua vera natura.

È nell’ambito di tale assegnazione di ruoli sociali che il femminismo individua la distinzione tra il ruolo «privato» (riproduttivo e domestico) assegnato alle donne e il ruolo «pubblico» (politico-economico) assegnato agli uomini, con la conseguente gerarchizzazione dei generi (la superiorità del genere maschile e l’inferiorità del genere femminile, escluso dalla dimensione pubblica).

«La differenza sessuale (e dunque la natura) è vista, allora, come un elemento discriminatorio da negare e combattere, in quanto ha creato e continua a determinare la fissazione di ruoli e a costruire gerarchie di potere: la famiglia fondata sul matrimonio e la femminilità – identificata con la maternità e l’accudimento domestico — sono considerate “costruzioni maschiliste” da decostruire e di cui disfarsi per progettare una società che superi la differenza sessuale, liberando la donna dall’oppressione patriarcale» (3). L’obiettivo del femminismo di genere è quello di compiere una rivoluzione definitiva, come sostiene S. Firestone: non solo porre fine al privilegio maschile, ma «porre fine alla distinzione stessa dei sessi» (4).

Io & il mio corpo

Ma, a ben considerare, i presupposti e i propositi del femminismo di genere si rivelano inadeguati dal momento che accantonano l’esperienza che abbiamo del nostro corpo così come ci si rivela: con il corpo vivente si realizza, quella sfera di appartenenza, così stretta che non possiamo disfarci del nostro corpo se non suicidandoci. È questa una situazione limite che ci indica come dal nostro corpo non possiamo distanziarci: il nostro corpo vivente è il nostro essere.

Ogni atto, in questo senso, rivela che la nostra esistenza è corporea e che il corpo è la modalità del nostro apparire, per cui si può dire che, per esempio, il mio volto non è un’immagine di me ma è un me stesso. Così come non esiste alcun pensiero al di fuori della parola che lo esprime — perché solo abitando il mondo della parola il pensiero può farsi parola -, allo stesso modo non esiste un uomo al di fuori del suo corpo perché il suo corpo è lui stesso nel realizzarsi della sua esistenza.

La corporeità – secondo l’interpretazione di Marcel – è una sorta di linea di frontiera tra la dimensione dell’essere e quella dell’avere: «il corpo che abbiamo» e «il corpo che siamo» attestano una duplicità, una sorta di dislivello originario attraverso cui il corpo manifesta il suo statuto irriducibilmente paradossale. La corporeità, infatti, ci introduce nel luogo più profondo dell’avere un corpo nel quale, al contempo, si dischiude un orizzonte metaproblematico.

Siamo così ricondotti alla dimensione dell’essere incarnato, che «significa apparire a sé come corpo, come questo corpo qui, senza potersi tuttavia identificare con esso, e tuttavia senza potersene neanche distinguere (dal momento che l’identificazione e la distinzione sono operazioni correlative l’una all’altra, ma tali da non potersi esercitare se non sul piano degli oggetti)» (5). Potremmo affermare con Mounier che «io esisto soggettivamente e io esisto corporalmente formano un’unica e medesima esperienza» (6).

La corporeità, dunque, nella sua diversità è un dato indisponibile. È quanto mai urgente, allora, recuperare il senso del reale, della corporeità e, in particolare, dell’essere donna individuando la specificità femminile per portarla a piena realizzazione in un contesto che garantisca l’uguaglianza di diritti nella tutela delle differenze, proprio lì dove l’essere umano si articola in due specie, quella virile e quella femminile, giungendo in due modi diversi a esprimere sé stesso.

Parlare di diversità maschile e femminile non vuoi dire parlare in primo luogo né soltanto di diversità di ruoli, ma di due diverse identità che, manifestandosi nella loro specificità, si realizzano. Infatti, la differenza tra maschile e femminile non appare solo una diversità anatomica, che definisce un’identità sessuale, bensì manifesta che il corpo è «vestito» dell’anima, è la rivelazione che fa alla donna della sua verità profonda.

Il corpo della donna non è un «pezzo di carne» che ognuno trascina con sé dopo la nascita e che ci accompagnerà per tutta l’esistenza, ma elemento di specificazione che caratterizza il suo essere coinvolgendo la sfera somatica e la sfera psicologica e spirituale in maniera distinta.

Non solo il corpo della donna è diverso da quello dell’uomo, ma con esso differisce anche il rapporto con l’anima e, in questa, è diverso il rapporto dello spirito alla sensibilità.

L’attività dell’anima è il punto d’intersezione di tutte le potenze dell’essere umano e non potrebbe essere altrimenti dal momento che ogni giorno facciamo esperienza di come tutto ciò che ci colpisce sensibilmente riguardi inevitabilmente la nostra anima e viceversa; la corrispondenza corpo-anima è inevitabile, come lo è quella anima-corpo. Non può essere pensato alcun evento nel corpo umano che non sia in qualche modo anche connesso con l’anima e il processo spirituale: se è un processo psichico (cioè si attua in un essere umano, non in uno spirito privo di corpo) è un processo psicofisico.

Prevalenza affettiva

Il corpo parla, mette in situazione: definisce il nostro modo di essere nel mondo (7). Nel corpo della donna non solo gli organi genitali – a differenza dell’uomo — sono interni, ma esso è un corpo abitazione, un corpo in dialogo. Edith Stein, una grande fenomenologa contemporanea (8) che ha dedicato parte dei suoi studi all’elaborazione di un’antropologia duale, mette in luce come «la specie femminile dice unità, chiusura dell’intera personalità corporeo-spirituale, sviluppo armonico delle sue potenze; la specie virile dice elevazione di singole energie alle loro prestazioni più intense» (9).

La diversa caratterizzazione corporea della donna rispetto a quella dell’uomo richiama anche a un diverso modo di vivere dell’anima della donna, a un diverso modo di compenetrare il corpo e di aprirsi alla realtà lì dove la relazione tra il corpo e l’anima nella donna è più intima rispetto a quella che si da nell’uomo — proiettato verso l’esterno – e per questo tutto ciò che impressiona dall’esterno il suo corpo ha su di lei delle profonde risonanze interiori e spirituali (10).

Nell’uomo, invece, il corpo ha un più chiaro carattere di strumento: serve a lui per operare, fatto questo che comporta un certo distacco. Mentre, allora, «lo sforzo dell’uomo è orientato eminentemente verso l’attività conoscitiva e creativa; la forza della donna è invece la sua vita affettiva.

Ciò dipende evidentemente dal suo orientamento all’essere personale» (11), da cui deriva anche l’attitudine della donna «di far propria la vita personale altrui; l’importanza fondamentale che ha in lei l’animo (Gemut) inteso come la potenza che conosce l’oggetto nella sua particolarità e nel suo valore specifico e fa assumere una retta posizione di fronte a esso; il desiderio di portare alla massima perfezione possibile l’umanità nelle sue espressioni specifiche e individuali, sia in sé che negli altri; il posto predominante dell’elemento erotico (non sessuale) in tutta la sua vita; un più puro dispiegamento di tutta una vita in un amore pronto a servire» (12).

La dimensione affettiva manifesta nella donna un sentire delicato e profondo; non si tratta della mera sensazione ottenuta attraverso i sensi esterni ma è qualcosa in connessione con ciò che a lei è più inti­mo: si tratta di una sensibilità che configura, nella donna, la sua stessa spiritualità.

L’osservazione svela nella donna una sensibilità nella quale il tasso di stimolo è nettamente inferiore a quello di cui ha bisogno la sensibilità maschile: la donna è più facil­mente impressionabile, le reazioni sono più violente; le energie liberate in presenza di stimoli sono più abbondanti per cui il suo comportamento appare più agitato e scosso dagli stimoli esterni, i più piccoli movimenti captano il suo sguardo, è disposta alle sensazioni delicate sopportando con difficoltà quelle intense che, raggiunto un certo grado, le si fanno dolorose (es. una forte luce, un rumore stridente provocano in lei movimenti di protezione, chiude gli occhi, si tappa le orecchie…).

Potremmo dire che la donna è dotata di una sensibilità differenziata più per sfumature che per contrasti, che le permette di comporre i colori, le linee, gli odori, i sentimenti in un certo insieme che, giunto a un livello armonico, affascina l’essere umano. Il fascino è un’impressione delicata che penetra dolcemente, che nasce da un gioco di sfumature finemente coordinate.

L’uomo che non afferra chiaramente questo gioco di sfumature resta soggiogato dall’impressione che l’insieme sprigiona, senza poterne conoscere esattamente la ragione. Il potere del fascino femminile è considerato dall’uomo come qualcosa di misterioso. La conoscenza della donna è legata al particolare e alla penetrazione di questo in tutta la sua pienezza: la donna, infatti, non istaura solo un rapporto intellettuale con la realtà a lei esterna ma «vive» in lei la realtà di cui fa esperienza e il suo spirito la penetra con maggiore intensità permettendole di intessere un rapporto vitale con l’oggetto; ovvero il suo animo è attraversato interiormente dalla realtà esperita.

Per capire, dunque, il modo di procedere dell’intelligenza femminile non si può non tenere conto del suo approccio empatico-affettivo che caratterizza la sua relazione con le realtà personali e impersonali definendo il suo sguardo sul mondo. Nei confronti delle realtà personali, la donna è portata a cogliere il valore di uno sguardo, di una parola, di un silenzio: la donna usufruisce nel mondo dei sentimenti di una chiaroveggenza che, a volte, disorienta l’intelligenza maschile: la donna comprende l’essere umano dall’interno, per questo, ella scruta senza posa l’universo sentimentale per spiegare il modo di comportarsi altrui.

È infatti, la dimensione affettiva che fa scoprire all’anima il suo modo di essere con cui la donna «afferra anche l’importanza dell’essere altrui per il proprio, come anche la qualità specifica – e il valore ivi connesso – delle cose che sono al di fuori di lei: delle altre persone e delle realtà impersonali» (13).

La donna, grazie alla sua dimensione affettiva, così come penetra la realtà personale comprendendo dal di dentro l’essere umano riesce a fare esperienza vitale della realtà materiale mettendola in relazione con il suo spirito e, quindi, cogliendo profondamente il senso che la realtà materiale ha per l’essere umano.

Infatti, anche se la realtà materiale non è dotata di anima come lo sono gli esseri viventi, attraverso la sua configurazione si rivolge alla componente spirituale dell’uomo: gli oggetti del mondo sono «oggetti per soggetti». Il mondo materiale è portatore di un significato che va al di là della brutalità della materia; ogni realtà suscita nel soggetto stati d’animo differenti incrementando diversamente la sua spiritualità: i colori e le forme dello spazio, la luce e l’oscurità e l’insieme in cui tutto questo confluisce hanno un senso, parlano un linguaggio spirituale; dall’insieme emana qualcosa che possiamo accogliere in noi.

Nella bellezza esteriore degli oggetti materiali è rintracciabile un valore spirituale per l’uomo e chi accoglie dentro di sé questa bellezza luminosa, in qualche modo ne partecipa. Nel caso della donna, la sua sensibilità viene colpita più intensamente dalla bellezza armonica della realtà materiale e questa, esercitando una profonda ripercussione sul suo animo, le permette di affinare la sua capacità di apprezzare il mondo dei valori — il bello in tutte le sue forme – ricercandoli poi nella realtà (14).

L’arte di fare casa

Nel dispiegarsi della vita concreta, l’intelligenza della donna si apre alle sue immense possibilità: una donna si trova a suo agio nel!’organizzare giudiziosamente una casa; vede immediatamente come disporre gli spazi per maggiore comodità e buon gusto, si rende conto subito degli inconvenienti di una cattiva sistemazione coniugando il senso estetico e quello pratico che nella realtà sono presenti. Infatti, oltre a un significato simbolico, nella realtà vi è un senso pratico che interpella l’essere umano per il quale ogni realtà chiede all’uomo di venir utilizzata in modo specifico.

«Il significato simbolico e quello pratico sono intimamente connessi, corrispondono l’uno all’altro. E entrambi indicano una realtà che va al di là di sé stessa; lasciano presagire la presenza di uno spirito personale che sta dietro al mondo visibile e che ha conferito a ogni cosa il suo senso; ha dato a essa una forma a seconda della posizione che occupava nella struttura del tutto; lasciano presagire la presenza di Colui che ha scritto questo “grande libro della natura” e che per mezzo di esso parla allo spirito umano» (15).

La donna, in virtù delle sue caratteristiche proprie, nell’arte di fare casa può continuamente annunciare (attraverso un’accurata disposizione degli oggetti di cui coglie il valore simbolico e pratico) quei valori di bellezza, armonia e unità che il suo animo è più predisposto a capire.

Così come Dio si mette in relazione con l’essere umano attraverso la realtà da Lui creata, la donna, prendendosi cura dello spazio, fa dialogare il suo animo – la sua sensibilità, la sua fine intuizione, i suoi sentimenti guidati dalla spiritualità, la sua capacità di cogliere il mondo dei valori – con un tu personale facendo appello alla sua spiritualità e svelando il senso delle cose in maniera inaspettata.

Nell’arte di fare casa, arte che si alimenta di azioni ricche di simbolico, la donna non solo realizza il suo ruolo nei confronti della realtà materiale ma anche nei confronti dell’essere umano e dell’uomo come specie, lì dove lo spirito della donna sembra cogliere in modo più profondo, rispetto all’uomo, il senso del mondo inanimato in relazione al vitale e ai suoi bisogni non solo fisici ma anche psichici-spirituali, portando a piena realizzazione quel com­pito per cui è stata creata: «essere compagna (16) e madre degli uomini».

Edith Stein, intrecciando elementi filosofici e teologici, delinea come tratti essenziali del relazionarsi della donna nei confronti dell’essere umano e dell’uomo come specie specifica, quelli del «proteggere, difendere e custodire», affermando che la «donna è protezione e quasi dimora di altre anime che in lei possono svilupparsi» (17). Il suo modo di essere corporeo è predisposto ad accogliere la nuova vita che porta in grembo e così tutta la sua sensibilità e la sua spiritualità si caratterizzano in questa prospettiva.

Dimora dell’altro

II suo compito di essere dimora dell ‘altro si esprime e si realizza anche nell’attitudine che ella ha a far sì che l’abitazione nella quale vive l’essere umano sia fonte di senso per lui e non mera materia spaziale. «A questa cura muliebre per lo sviluppo degli uomini con cui è in contatto, è essenziale anche la cura per l’ordine e la bellezza di tutta la casa, in cui si crea l’atmosfera necessaria per ogni sviluppo personale» (18).

Infatti, la donna in questo modo, mette in rapporto lo spirito dell’essere umano con la realtà materiale trasformandola in valore per l’uomo («l’intero mondo dei valori è un’immensa fonte di energia psichica») il quale — in quanto essere sociale — trova la propria realizzazione innanzitutto in quella prima forma di comunità che è la famiglia dove le occupazioni materiali configurano un ambiente più umano perché riflettono la dimensione del dono. La casa, attraverso i doni della sensibilità femminile in rapporto all’essere vivente e alla realtà inanimata, è prosecuzione del ruolo che la donna è chiamata a esercitare nei confronti dell’essere umano.

Il dono della maternità non solo fisica ma anche spirituale-affettiva che la donna ha nei suoi confronti va in concomitanza con la sua capacità di cogliere i valori dello spirito e insieme il senso (simbolico e pratico) della realtà inanimata. In questo modo, nel compito che la donna ha di alimentare la spiritualità dell’essere umano, nell’arte di fare casa annuncia quei valori che il suo animo più facilmente percepisce svelandoli nel rapporto con la realtà materiale.

La realtà inanimata, infatti, a contatto con la sensibilità della donna per ciò che trascende la materia, prende forma in relazione a un tu vitale verso cui è sempre proiettata la sollecitudine dell’essere femminile: nell’occupazione domestica la donna dialoga attraverso la materia con l’essere umano riconoscendolo come un tu personale cui farsi dono.

Nella cura della casa, nella disposizione armonica degli oggetti, la donna annuncia all’uomo l’umanità che egli porta in sé e il ruolo che egli stesso è chiamato ad avere nei confronti della realtà inanimata. Tutto questo significa evitare che sia quest’ultima – nella sua misera oggettualità – a fagocitare l’uomo e non sia, invece lui, a riportare, umanizzandola, questa alla propria spiritualità. Lévinas descrive in maniera suggestiva la donna come «custodia e annuncio dell’Altro» (19).

Lévinas vede nel volto della donna la presenza di una trascendenza irraggiungibile che sfugge a qualsiasi tentativo di violazione che ne riduca il senso (20). L’essere femminile ha in sé come caratteristica quella di custodire con pudore l’Alterità dell’altro e, per questo, di sentirsi violata quando viene guardata solo come corpo, oggetto tra gli oggetti. La donna si fa carico dell’Alterità dell’altro e con ogni suo gesto svela la trascendenza di cui è portatrice. La donna, nella disposizione armonicamente studiata degli oggetti della casa fa in modo che nulla di quanto la circondi rimanga nella non significanza.

Secondo questa prospettiva, si può vedere nell’arte di fare casa il tentativo di sottrarsi a ogni genere di oggettivazione che, in qualche modo, le si propone quando gli spazi e gli oggetti non seguano un senso che, invece, le si rivela fondamentale per ricordarle l’umanità di cui il suo animo è portatore. In tal modo, si può vedere nella donna e nella sua relazione con il contesto un modo di annunciare — svelandolo e velandolo – con la sua presenza (in quanto ne è custode) un significato che va oltre alla materialità delle cose.

Sembrano molto significative, a questo proposito, le parole scritte nella Mulieris Dignitatem, fortemente sentite da Giovanni Paolo II, rivolte alle donne del mondo intero vedendo in loro un valore inestimabile per il solo fatto di essere donne:. Giovanni Paolo II ha riconosciuto il senso di umanità per l’umanità di cui si fa portatrice la donna divenendo dimora dell’essere umano, non solo custodendolo nelle prime fasi della sua esistenza ma ricordandogli «l’umanità di cui è portatore».

Il senso dell’umanizzazione

La nostra è un’epoca di rapidi sviluppi tecno-scientifici che costituiscono, indubbiamente, il luogo predominante dell’agire dell’uomo attraverso cui rivalersi su qualsiasi limite e, in questo contesto, il pericolo è che la socializzazione può essere staccata dall’orientamento fondamentale al bene delle persone (21), portando l’uomo a divenire strumento del sistema delle cose, oggetto di un processo che conduce alla spersonalizzazione, all’indebolimento della maturazione delle persone e dei loro rapporti, che diventano sempre più strumentali.

Al contrario, l’uomo è la sola creatura sulla terra che Dio ha voluto per sé stessa e, per questo, non può ritrovarsi se non nel dono sincero di sé; la donna, non meno dell’uomo, si realizza pienamente nel dono gratuito attraverso la propria specificità, arricchente e addirittura indispensabile per un’armoniosa convivenza umana sia all’interno della famiglia sia negli altri ambiti esistenziali e sociali.

L’umanizzazione di una persona, di una società, di un ambito concreto, non si può ritenere presupposta, bisogna proporsela, è necessario recuperare il suo senso autentico. Alcuni lavori, in apparenza materiali, sono capaci di trasmettere una realtà spirituale: la famiglia, la casa (22).

Tutto ciò non vuoi dire che l’agire della donna debba rimanere necessariamente nell’ambito delle occupazioni domestiche: ci sono moltissime professioni che la donna può compiere mantenendo in esse le peculiarità del suo animo (23), anche se, per conservare la sua dimensione di femminilità, è fondamentale che non perda questo «sguardo» sulla realtà che necessariamente la deve condurre a non estraniarsi dall’ambiente in cui vive e dalle relazioni che di esso si alimentano (24).

A metà del XX secolo il femminismo ha voluto riaffermare l’uguale dignità dei sessi; nella rivendicazione delle femministe però si è voluta operare un’astrazione dalla corporeità (realtà) ritenendo che l’uguaglianza di opportunità dovesse coincidere con la soppressione di qualsiasi differenza, senza accorgersi di star imponendo, nuovamente, come unico modello quello maschile; senza tenere in conto che l’elemento della corporeità è costitutivo della nostra dimensione personale e che le differenze di genere non necessariamente sono motivo di discriminazione ma, al contrario, di reciproco arricchimento.

Note 

1) Interessanti sono, a proposito, le modifiche recentemente introdotte in tre norme del codice civile spagnolo: la precedente formulazione dell’art. 44, secondo cui «l’uomo e la donna hanno diritto a contrarre matrimonio», è diventata «qualunque persona ha diritto a contrarre matrimonio»; l’art. 66 è passato da «il marito e la moglie sono uguali nei diritti e nei doveri» a «i coniugi sono uguali nei diritti e nei doveri»; l’art. 67 infine ha sostituito «il marito e la moglie debbono rispettarsi e aiutarsi reciprocamente» con «i coniugi», ai quali ora questi stessi doveri sono imposti.
2) II termine «genere», utilizzato per esprimere l’idea di un’identità sessuale svincolata dalla biologia, nasce e viene sviluppato all’interno di un approccio – per lo più diffuso negli Stati Uniti, di matrice intersoggettivista o costruttivista, successivo e in evidente contrapposizione rispetto alla psicanalisi freudiana, che sostiene la necessità di tenere in conto, nella formazione dell’identità di genere, per l’appunto, della diversità dei fattori non solo biologici, ma ancor più, intrapsichici-ambientali. Il pensiero «gender» promuove l’idea che l’identità sessuale (genere) sia una costruzione radicalmente indipendente dalla corporeità sessuata (sesso) e, relativizzando la nozione di sesso, sostiene che oltre alla contrapposizione binaria del maschile e femminile esistano altre identità e orientamenti sessuali corrispondenti alle scelte individuali.
3) L. Palazzani, Identità di genere? Dalla differenza all’indifferenza sessuale nel diritto, San Paolo, Cinisello Balsamo 2008, p. 38.
4) S. Firestone, The Dialectic of Sex, Bantam Books, New York 1970, p. 12, trad. it, La dialettica dei sessi: autoritarismo maschile e società tardo-capitalistica, Guaraldi, Bologna 1971.
5) G. Marcel, Dal rifiuto ali ‘invocazione. Saggio di filosofia concreta, trad. it. L. Paletti (a cura di), Città Nuova, Roma 1976, pp. 46 ss.
6) E. Mounier, // personalismo, trad. it. A. Cardin (a cura di), Ave, Roma 1987, pp. 36 ss.
7) La conoscenza che l’essere umano ha dell’universo è sempre a partire da un asse prospettico corporeo che costituisce la condizione del suo rappresentare.
8) Nasce a Breslavia nel 1891; muore ad Auschwitz nel 1942.
9) E. Stein, La donna, il suo compito secondo la natura e la grazia, Prefazione O. Nobile-A.A. Bello (a cura di), Città Nuova, Roma 1999, p. 204.
10) L’abilità di Edith Stein, nel suo tentativo di delineare il femminile e il maschile come due generi ben definiti, risiede nella capacità che la filosofa dimostra nel saper tenere presente l’universalità senza per questo rinunciare alla singolarità: esistono delle tipologie ma in definitiva esiste soprattutto il singolo essere umano. Riprendendo l’ontologia tomista, Edith Stein ricorda il principio per cui la materia è principio d’individuazione — individuum de ratione materiae — il che si applica naturalmente anche alla struttura dell’essere umano. Per questo, la specie ha al suo interno una molteplicità di esemplari lì dove l’individuo è materia formata e la materia stessa, nella sua estensione, permette una determinazione quantitativa (cfr E. Stein, La struttura della persona umana, Città Nuova, Roma 2000, pp. 142-43). Per questo, Edith Stein sostiene che «la specie, virile e muliebre, si esprime negli individui in modo diverso. Anzitutto essi sono realizzatori più o meno perfetti della specie; poi essi esprimono con più forza i tratti fondamentali umani nella loro essenza, e alcuni di questi prevalgono non solo nei sessi, ma anche negli individui di questo o quel sesso. Perciò alcune donne possono presentare una forte approssimazione alla specie virile, e viceversa» (E. Stein, La donna, cit, p. 205). Se, dunque, da un lato è compito dell’educazione portare a piena realizzazione la natura già inscritta nella donna, dall’altro è differente il grado di essere in cui essa è presente in ogni individuo.
11) E. Stein, La donna, cit., p. 111.
12) E. Stein, La donna, cit., p. 205.
13) E. Stein, La donna, cit, p. 111.
14) Quanto maggiore è la sensibilità della donna — direttamente proporzionale al grado d’intensità di spiritualità che il suo animo possiede — tanto maggiore è la profondità e l’intuito che caratterizza la capacità di cogliere il bello nelle realtà più semplici.
15) E. Stein, La struttura della persona umana, cit., p. 167.
16) Al momento della creazione Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile» (Gn 3, 20 ss). Dio, infatti, creando l’essere umano a sua immagine e somiglianza volle ricreare per lui quella stessa comunione che egli vive all’interno del flusso trinitario, nella dinamica d’amore delle tre Persone divine. Allora Dio dalla cestola di Adamo plasmò la donna: «Questa volta essa è carne della mia carne, e osso dalle mie ossa. La si chiainerà donna perché dall’uomo è stata tolta» (Gn 2, 23 ss). La relazione che si stabilirà tra loro sarà chiamata a essere la stessa immanente al dinamismo trinitario: amore.
17) E. Stein, La donna, cit., p. 137.
18) Ivi., p. 91.
19) E. Lévinas, Totalità e infinito, Jaca Book, Milano 1995.
20) Secondo Lévinas esiste una situazione in cui l’alterila dell’altro è data nella sua purezza e questa è la femminilità: il suo modo di essere consiste nel ritirarsi altrove, la sua essenza è il «mistero» (cfr pudore). Cfr V. Melchiorre, Corpo e persona, Vita e pensiero, Milano 1993, pp. 128-31. «Parlando del sentimento del pudore Hegel (…) ha detto che un animo puro non si vergogna per il fatto di essere guardato con amore, ma per un amore che gli è chiesto in maniera incompleta» (ivi, p. 131): lo sguardo che dispregia ciò che la donna custodisce costituisce un tradimento della femminilità.
21) Cfr K. Wojtyla, Perché l’uomo. Scritti inediti di antropologia e filosofia, Mondadori, Milano 1995, p. 232.
22) II «focolare» è il luogo dal quale un uomo deriva, dove vive e conduce la sua esistenza, è propriamente il luogo dove ritorna e dove si è accettati in modo assoluto e non solo a condizione di qualcosa. Nella famiglia si raggiunge il processo di formazione della personalità di un uomo ed è il luogo in cui si raggiunge l’intimità. Non è sufficiente assicurare il vestiario, un luogo dove dormire, un habitat, il cibo…; è fondamentale il senso che si attribuisce alle occupazioni materiali che li hanno come fini. È la persona, l’oggetto e il termine di queste occupazioni e sempre la persona che lavorando trasmette alcuni valori. Con l’arte di fare casa, la donna modifica il mondo e crea un’intelaiatura di relazioni che sono caratterizzate dall’elemento della condivisione e partecipazione alla vita dell’altro.
23) Giovanni Paolo II nella Lettera alle donne (29 giugno 1995) mostra di avere un concetto molto ampio del ruolo della donna nella società ritenendo che il genio femminile sia chiamato a configurare in modo proprio ogni tipo di attività: «Una maggiore presenza sociale della donna si rivelerà preziosa» per «riformulare i sistemi a tutto vantaggio dei processi di umanizzazione che delineano la civiltà dell’amore» (n. 4).

24) In effetti, «nemmeno sul piano personale si può affermare, in modo unilaterale, che la donna può raggiungere la propria perfezione solo al di fuori della famiglia: come se il tempo che la donna dedica alla famiglia fosse tempo rubato allo sviluppo e alla maturità della sua personalità. Il focolare — qualunque esso sia, poiché anche la donna non sposata deve avere un focolare — è un ambito particolarmente propizio per lo sviluppo della personalità. Il maggior motivo di dignità della donna sarà sempre costituito dalle cura prestate alla famiglia; con la sollecitudine verso il marito e i figli o, per parlare in termini più generali, con il proprio impegno per creare intorno a sé un ambiente accogliente e formativo, la donna realizza l’aspetto più insostituibile della sua missione, e in conseguenza può raggiungere proprio lì la sua personale perfezione» (J. Escrivà, La donna nella vita sociale e nella Chiesa, Ares, Milano 2002).