La religione dei transumanisti è New Age

InFormazione cattolica 1 Luglio 2024   

Da decenni l’occidente reifica le pratiche religiose indiane per curare la propria noia

di Matteo Castagna

All’interno del numero 6/2024 della rivista Domino vi è un articolo molto interessante a firma Z. Goggi, dal titolo “Chi ha inventato la (tremenda) New Age”.

Da decenni l’Occidente reifica le pratiche religiose indiane per curare la propria noia. Senza accorgersi che queste sono oggi sostanza dell’imperialismo di Delhi.

Il mondo occidentale è ricco di pratiche, credenze e costumi provenienti dalla cultura indiana, estrapolate e riadattate appositamente per adeguarsi allo stile di vita nordamericano ed europeo. Dei paesi orientali, l’India è quello che ha maggiormente contribuito ad appagare le esigenze spirituali di questa parte di mondo, in evidente crisi di trascendenza, soprattutto a causa della secolarizzazione della Chiesa cattolica, che ha perso, gradualmente, quasi tutto l’albero dalle radici cristiane, che la UE continua a rifiutare, con leggi empie, atee e anti-cristiane.

Scrive Goggi: “Dallo yoga aziendale, all’ayurveda come medicina alternativa, dal vegetarianismo alle pratiche non-violente, fino alla curcuma e i pantaloni “punjabi”, elementi che si richiamano al vasto ed eterogeneo subcontinente indiano, sono ormai equivalentemente caratteristici della cultura occidentale. Per contro, le usanze del mondo islamico o di quello ebraico, per quanto entrambi più prossimi geograficamente e interconnessi storicamente, non hanno attecchito in uguale misura, conservando una più ampia specificità loro propria, inassimilabile”.

“Con quale grado di fedeltà sono state integrate le pratiche e le credenze importate? Quali sono state le conseguenze di questa colonizzazione all’inverso, sia per i popoli occidentali che per quelli indiani? Ma anzitutto, cos’è che ha portato l’Occidente a ricorrere, in tale misura, a soluzioni esogene ed esotiche per le proprie esigenze spirituali e culturali?

Seguendo la via tracciata da Parmenide di Elea, l’Occidente ha scelto la strada dell’essere e della presenza. La metafisica, nata su basi fisiologiche, ovvero immersa nella natura, la physis, e ad essa ispirata (si pensi a Talete e l’acqua, Epicuro e il fuoco, Anassimène e il vento), con la scuola eleatica, fondata da Parmenide, abbandona il mondo naturale. Nasce l’ontologia: discorso, ragionamento, pensiero circa l’essere. La logica impone però, fin da subito, una cesura netta.

Ciò che è non può non essere, al contrario ciò che non è, non essendo, non può essere.

Il principio, è uno, immutabile, eterno. Il tempo, il movimento, la causalità sono concetti contradditori, come dimostrano i paradossi di Zenone, seguace di Parmenide; la storia non esiste. La distinzione tra un effetto e la sua causa è l’illusione di una mente immersa nella natura. Ogni cosa ha il suo posto specifico nell’eternità ontologica, il suo luogo proprio.

Ogni discorso circa il negativo, dove non è un principio oscuro e irrazionale come in Eraclito, è sofismo, ovvero un illogico gioco di parole, per allietare i banchetti o vincere i processi. Crede che la ragione, lasciata libera di svilupparsi e sorgere nel dialogo razionale, possa raggiungere vette più ampie dell’essere stesso, almeno nei termini in cui lo pensavano Parmenide e gli eleatici. Instilla questa idea sovversiva nei suoi discepoli. Uno di essi, Platone, il più celebre, la estremizza.

Vuole conciliare il divenire eracliteo (panta rei, tutto scorre) con l’ontologia eleatica e il principio di non contraddizione. Se è vero che essere e non-essere non possono coesistere, ciò vale solo per un dato momento. Introducendo il tempo, una cosa può essere A, prima, e non-A, successivamente. Un ente può essere vivo prima, non-vivo successivamente.

Ciò che è può essere e in seguito non-essere. È il parricidio platonico, o almeno così viene indicato da una certa tradizione il disimpegno filosofico di Platone rispetto alle rigide categorie ontologiche del suo collega, più anziano, di Elea.

La dialettica platonica, introducendo il tempo, “scopre” la nascita e la morte, fonda la storia, pone i presupposti del principio materialistico della causalità, e, come sosteneva Emanuele Severino, del nichilismo occidentale.

L’intera filosofia di Platone potrebbe pensarsi come un tentativo di riconciliare questo strappo originario dell’uno eterno e immobile, separando in regioni mentali distinte il mondo delle cose, materiali, mescolabili e corruttibili, da quello puro ed etereo delle idee, immutabili e perfette.

Avendo rinunciato alla perfezione dell’Essere parmenideo, in cambio della padronanza materiale del mondo delle cose, sulla base del principio di causalità, su questa parte di mondo aleggerà per sempre lo spettro del nichilismo, con un’intensità proporzionale alla diffusione della sua mentalità. È per questo motivo che, almeno dal secondo dopoguerra in poi, l’Occidente si trova nel mezzo di una perdurante sindrome da scompenso spirituale.

Avendo esaurito, per il momento, le risorse spirituali endogene delle proprie religioni ufficiali, da qualche decennio si dedica al recupero, al revival e al pastiche di elementi del proprio passato esoterico, mescolati ad acquisizioni esotiche, estratte da paesi più fertili in materia di spirito. Tutto ciò ha dato vita alla religiosità New Age, una rivisitazione sincretica degli attributi più spendibili e meno problematici dei culti essoterici ed esoterici con cui il mondo occidentale è entrato in contatto.

Mentre i missionari cattolici partivano con l’obiettivo di spargere il verbo cristiano, e convertire gli infedeli, negli anni Sessanta e Settanta del Novecento, gli hippie e gli alternativi europei e americani facevano rotta verso Oriente – lungo quello che a posteriori è stato battezzato l’hippie trail – con l’obiettivo di immergersi nelle culture locali, delle quali intendevano estrarre le risorse spirituali, integrando pratiche e costumi in un mélange posticcio una volta rientrati in patria.

Il pellegrinaggio occidentale degli anni Sessanta e Settanta ebbe conseguenze di vario tipo dal punto di vista culturale. Se alcuni gruppi etnici, come gli han cinesi, vi si dimostrarono pressoché indifferenti, altri, come i persiani sciiti, ne ricavarono, per opposizione, un principio identitario più forte, marcatamente anti-occidentale. Un paese in particolare si distinse tra le mete dei turisti spirituali, l’India, terra da sempre contesa e attraversata da etnie diverse, con credi e tradizioni differenti.

Il subcontinente indiano sembrava offrire al mondo occidentale un’accessibile riserva di spiritualità, da cui attingere profusamente.

Per una naturale osmosi, le fedi esotiche e i valori che esse veicolano, tendono a subire, se introdotte e trafugate in paesi diversi da quello di origine, un preventivo e spontaneo depotenziamento dei loro aspetti più sovversivi e meno conciliabili, una riduzione di complessità. Già i romani si erano distinti per la grande capacità di assimilare e riadattare i culti delle popolazioni con cui entravano in contatto – il più delle volte sottomettendole.

Oltre ai culti mitraici e zoroastriani, la più celebre delle evenienze in questo senso fu l’importazione del cristianesimo, ordinato all’interno della religione cattolica. L’interpretazione di S. Paolo tendeva a porre l’accento sull’invito cristiano a investire sulle ricompense dell’aldilà, attraverso il comportamento che il dio fattosi Uomo aveva indicato nei tre anni di vita pubblica e attraverso il Magistero dei legittimi successori degli Apostoli, nella piena continuità dell’ermeneutica dell’insegnamento.

Alcune pratiche indiane, in particolare, sono divenute a tal punto popolari da essere ormai parte integrate della cultura occidentale, ed elementi imprescindibili di ciò che comunemente si intende per religiosità New Age.

Lo yoga, per citare l’esempio più evidente di chiara derivazione indiana, è una pratica che ha sedotto sia l’universo degli ambiziosi guru (termine affatto casuale) del tech e delle start-up che quello delle controculture, che invece si richiamano a un rapporto più diretto con la natura, lontano dalle lusinghe della tecnologia e del capitale. Sia gli eredi degli hippie che quelli degli yuppie, per dirlo in una battuta.

La millenaria disciplina dello yoga è finalizzata nell’induismo a raggiungere uno stato di coscienza superiore, e nell’interpretazione buddhista a fuoriuscire dal samsara (ciclo delle reincarnazioni) tramite l’annullamento di tanha e trshna (brama e sete), sulla base del presupposto che la realtà non sia altro che dukkha (sofferenza o angoscia, agitazione, commozione).

Nel suo riadattamento occidentale invece, lo yoga sembra aver subito una distillazione integrativa, per essere accolta senza attrito sia negli open office della Silicon Valley che lungo le spiagge della West Coast; una sorta di “californizzazione” coatta. La realtà di fondo dell’esistenza, nella vulgata californiana, non è più dukkha, dolore, angoscia, ma stress, ovvero un prodotto di scarto delle contraddizioni che l’ideologia capitalista obbliga a sopportare.

La pratica finalizzata alla fuoriuscita dalla corrente samsarica, alla liberazione dell’anima dall’oppressione corporale, e al pieno controllo ascetico dei propri pensieri e delle proprie passioni, si è trasformata in una disciplina di fitness tesa al riequilibrio spirituale e fisico, una forma elaborata ed esotica di riscaldamento muscolare, volta a integrare e accogliere gli urti esistenziali. Lo yoga occidentale, rendendo più flessibili anima e corpo, è diventata un’ulteriore attività sportiva, che oltre a tonificare e allungare i muscoli, permette di scongiurare, ancora per un po’, lo spettro del nichilismo.

Nella sua declinazione aziendale esso assume persino le caratteristiche di un training cognitivo ed esistenziale, finalizzato a massimizzare creatività, evoluzione personale, capacità manageriali ed efficienza lavorativa, e monetizzare al massimo sul proprio equilibrio emotivo e spirituale. In ciò affine all’uso degli psichedelici a scopo non più ricreativo, ma creativo e imprenditoriale, promosso da molti elementi di spicco della tech industry e dell’ambiente delle start-up americane.

Un’altra pratica di origine indiana, di derivazione vedica, che ha trovato modo di essere riadattata all’interno della cultura occidentale è la meditazione trascendentale. Popolarizzata in Occidente da Maharishi Mahesh Yogi, e promossa da celebrità quali i Beatles e i Beach Boys, la pratica ha riscosso un enorme successo sia in America che in Europa.

Al pari dello yoga anch’essa si è dovuta riadattare per diffondersi, e rispondere così a esigenze e prerogative lontane da quelle inizialmente contemplate dai Veda. Essa ha trovato modo di insinuarsi nelle crepe dell’ideologia, spiritualmente arida, del transumanismo.

Lasciandosi alle spalle i complicati percorsi di ascesi e autocoscienza della tradizione induista, la disciplina della meditazione trascendentale è stata propagandata in Occidente alla stregua di un’alternativa, ammantata di un’aura sacrale, per esaudire i desideri che i transumanisti, di norma, affidano al bio-engineering. Da un lato essa funzionerebbe come stabilizzatore del ciclo circadiano, della pressione sanguigna e dell’umore (principalmente, di nuovo, sotto forma di riduzione dello stress), dall’altro può essere applicata come strumento di ingegneria sociale, che ridurrebbe la criminalità e le conflittualità nel mondo.

In periodi storici ad alta intensità di domanda spirituale ciò può capitare anche nella sfera delle religioni. Uno dei periodi più floridi per la produzione dogmatica cattolica, e quindi l’istituzione della sua tradizione religiosa, la Controriforma del Concilio di Trento, deriva il proprio nome dalla contrapposizione alle riforme luterane e calviniste, che, però, riuscirono a penetrare incredibilmente.

L’integrazione tollerante e l’esclusione tradizionalista sono le due facce della medaglia che rotola sul piano inclinato della storia. Il popolo indiano, dovendo fronteggiare sia l’una che l’altra tendenza – nei tentativi di assimilazione dell’Occidente da una parte e nell’opposizione frontale del mondo islamico dall’altra – sembra essersi adattato”.

Se, per parte cattolica tradizionalista, vi è una produzione letteraria di grande critica e condanna di questo processo New age, si osserva che, pur in tono minore, anche in buona parte della galassia conservatrice sono accettate le stesse stigmatizzazioni, mentre negli ambienti del compromesso e in quelli progressisti, in nome del sincretismo, si accettano tali pratiche e le si riconoscono come buone. A discapito della nostra identità religiosa e a favore di quella falsa, importata da Oriente.

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