Tempi 21 Agosto 2018
Parla lo storico delle Religioni, professore di Storia alla Baylor University: «Il cambiamento più importante nel mondo occidentale è quello di attitudini verso il genere e la famiglia»
di Rodolfo Casadei
Philip Jenkins è uno storico delle religioni di origine gallese, che da molti anni insegna negli Usa. Due anni fa Tempi dedicò un’ampia recensione alla traduzione italiana del suo libro Storia del cristianesimo perduto – Il millennio d’oro della Chiesa in Medio Oriente, Africa e Asia (V-XV secolo). Com’è finita una civiltà, ricco di sorprese e di smentite di luoghi comuni sul cristianesimo e sull’islam dei dieci secoli presi in considerazione.
Jenkins ha partecipato a due incontri del Meeting di Rimini: insieme al card. Tagle di Manila per parlare del tema “La Chiesa in un cambiamento d’epoca” e da solo su “Cristiani domani” la sera dello stesso giorno. Ha trovato anche il tempo per un’intervista con noi.
Nel suo libro La storia perduta del cristianesimo lei descrive come e perché il cristianesimo orientale fu profondamente ridimensionato e oggi si trova sull’orlo dell’estinzione. Se io le chiedo di descrivermi come e perché il cristianesimo occidentale è stato ridimensionato ed è sul punto di estinguersi, cosa mi risponde?
Che non sono d’accordo con l’assunto della sua domanda. Non credo che il cristianesimo occidentale stia in alcun modo scomparendo: sta evolvendo, sta mutando, sta cambiando secondo le nuove circostanze e le nuove situazioni; inoltre il cristianesimo in Occidente si sta rinnovando e ricostituendo grazie a molte correnti, specialmente a quella dell’immigrazione. Tutte le diverse versioni del cristianesimo stanno imparando a convivere con i cambiamenti sociali in corso. Non credo si possa fare un paragone serio col destino delle antiche Chiese orientali.
La conferenza pomeridiana che ieri ha animato insieme al card. Tagle si intitolava “La Chiesa in un cambiamento d’epoca”. C’è un considerevole dibattito per stabilire in cosa esattamente consista questo cambiamento d’epoca. Per alcuni si tratta dell’avvento di un melting pot globalizzato, con le sue sfide e le sue opportunità. Per altri si tratta dell’avvento di politiche identitarie e del ritorno dei nazionalismi, che stanno vincendo ovunque dagli Stati Uniti all’India, dall’Europa orientale alla Turchia. Lei dove si colloca?
Ci sono molti cambiamenti in corso. Il più importante nel mondo occidentale è certamente il cambiamento di attitudini riguardo al genere e alla famiglia, si rivoluzionano molti assunti della religione tradizionale. Poi ci sono cambiamenti legati alla globalizzazione: uno slittamento geografico del cristianesimo con numeri impressionanti, non un piccolo aggiustamento ma un cambiamento rivoluzionario.
Pensiamo per esempio alla Nigeria, dove nel 2050 il numero dei cristiani sarà mille volte più grande di quello che era stato registrato nell’anno 1900. Il terzo grande cambiamento riguarda la tecnologia, che produce oggi nella religione cambiamenti paragonabili a quelli scaturiti dall’invenzione della stampa nel XV secolo. Essa incide sul modo nel quale le persone comprendono, vedono, ricordano, raccolgono informazioni; la rivoluzione consiste anche nel fatto che una Chiesa cristiana di un continente può collaborare strettamente con un’altra che si trova in un altro continente in un modo che prima non era possibile. Sul versante negativo, la tecnologia permette ai terroristi di collaborare in un modo che non ha precedenti.
Si tratta di tre grandi cambiamenti, ciascuno dei quali rappresenta una minaccia per l’idea tradizionale di religione; ma avvicinati saggiamente rappresentano tre ricche opportunità per ristrutturare le Chiese. Queste tre novità potrebbero rappresentare altrettanti pericoli per certe forme della religione, ma non per il nucleo della stessa. Gran parte dell’organizzazione delle Chiese è ancora basata sull’idea di una società agricola, che non esiste più. La Chiesa può cambiare mentre conserva il nucleo del suo messaggio.
Ho letto la sua intervista con Avvenire, nella quale le hanno posto la classica domanda sulla scelta fra i muri e i ponti. Ma non sarebbe meglio optare per le porte? Quando abbiamo a che fare con le porte, possiamo tenerle aperte oppure chiuderle a seconda della necessità. È una struttura che svolge due funzioni, mentre ponti e muri svolgono una funzione sola.
Non a Londra: noi abbiamo ponti che si alzano e si abbassano per far passare o per impedire il passaggio, secondo la necessità. Comunque sia, la soluzione non sta in nessuno dei due estremi, tenere sempre aperto o tenere sempre chiuso. Il punto è che viviamo in un mondo dove nessuna delle due cose è pienamente possibile; non è sempre possibile arrestare i flussi delle persone con i muri, come nel caso delle migrazioni, ed è semplicemente impossibile fermare il flusso delle idee e delle convinzioni: queste ultime sempre scavalcheranno le barriere, grazie ai progressi tecnologici.
Sempre nel suo libro La storia perduta del cristianesimo troviamo una valutazione molto realistica, e un po’ imbarazzante, del fatto che la religione, qualsiasi religione, ha bisogno di un’alleanza con l’establishment politico se vuole radicarsi in una regione del mondo. Lei scrive che, senza questa alleanza fra trono e altare, il cristianesimo sarebbe stato una nota a piè di pagina nei libri di storia scritti da storici islamici o cinesi. E io aggiungerei: a meno che tu non sia Maometto e i suoi compagni, non puoi disarcionare un establishment politico e prendere il suo posto, devi per forza lavorare di seduzione. Ma lei direbbe la stessa cosa con riferimento alla situazione odierna? Oggi infatti c’è una grossa differenza: gli establishment politici ed economici dell’Antichità erano religiosi, e perciò volevano essere in buoni rapporti con Dio, mentre l’establishment di oggi è laicista, e considera la religione una cosa del passato. Cosa implica questo per quanto riguarda il cristianesimo oggi e il suo rapporto col potere politico?
Questa è una grossa domanda. Quello che storicamente abbiamo constatato, è che ogni religione ha avuto bisogno di essere alleata col potere; in parte perché dopo grandi disastri, come un’epidemia o un’invasione barbarica, il potere politico avrebbe aiutato a ricostruire la vostra religione, e non quella dei vostri concorrenti.
Oggi viviamo in un mondo molto diverso: le religioni possono avere successo, possono riuscire molto bene anche senza il sostegno del governo. Qual è la questione oggi? Se una religione possa sopravvivere a campagne di odio e a una intensa persecuzione ispirata dal governo, Gli esempi concreti ci dicono che in alcuni casi le religioni sopravvivono alla persecuzione, in altri no.
In Russia sotto il comunismo la religione è scesa nelle catacombe, poi è tornata a mostrarsi dopo la fine del regime: oggi l’80 per cento dei russi si dichiara cristiano ortodosso. Una cosa simile è accaduta alla Chiesa copta d’Etiopia sotto Menghistu e poi dopo la fine del suo regime. In Cina il cristianesimo è enormemente cresciuto negli anni della dittatura e dell’oppressione comuniste. Nel 1949, quando Mao sale al potere, nel paese c’erano 5 milioni di cristiani, alla fine del XX secolo erano probabilmente diventati 75 milioni.
Questi due esempi sono incoraggianti, ma non è sempre andata così. Il cristianesimo ha avuto successo nonostante la dittatura e la repressione comuniste. Quando la presa dell’ideologia comunista è venuta meno, molti, soprattutto nelle élite, hanno cercato un’altra visione generale della vita e l’hanno trovata nel cristianesimo. Quando lei dice che i governi oggi sono spesso laicisti, questo è vero in Europa, ma lo è molto meno in giro per il mondo.
È molto difficile che lei possa essere eletto presidente degli Stati Uniti se si dichiara ateo: i candidati devono ostentare una religiosità che magari non esiste, anche Donald Trump ha fatto così. L’Europa è diversa dagli Usa, ma anche lì in alcuni luoghi il ruolo politico della religione sta tornando di attualità: penso alla Polonia, all’Ungheria e all’Europa dell’Est in generale.
Ha tenuto un’altra conferenza, sul tema “Cristiani domani”. Sappiamo già che nel futuro prossimo il cristianesimo sarà una realtà riguardante più il Sud e l’Estremo Oriente del mondo, e meno l’Occidente e l’Europa. La domanda è: avrà lo stesso peso e la stessa importanza politica e culturale che ha avuto nei secoli passati in Occidente
Non posso parlare per il lungo periodo, ma nel breve periodo il numero dei cristiani in Europa continuerà ad essere alto a causa soprattutto delle migrazioni. Ma continuerà anche ad esserci un forte interesse spirituale diffuso in Europa, come cosa distinta dal seguire Chiese strutturate gerarchicamente con la loro ortodossia.
In epoca moderna sono nati e si sono diffusi pellegrinaggi europei che prima non esistevano, resta un vivo interesse per il cristianesimo fuori dalla strutture istituzionali. Che cercano il modo di attrarre a sé le persone che si muovono spontaneamente per quel loro interesse. Per valutare la religiosità degli europei non basta più contare quanti vanno in chiesa e quanti non ci vanno. A volte le persone che non vanno in chiesa sono molto religiose nelle loro opinioni e nei loro comportamenti.
La religione non sparirà in Europa, cambierà di forma. Nel Sud del mondo certamente la Chiesa avrà un ruolo politico, anzi ce lo ha già: se guardiamo a paesi come il Congo e la Nigeria, vediamo che le Chiese e i vescovi sono parte del governo effettivo del paese, esercitano molte funzioni che in Europa sono esercitate dallo Stato. In molti paesi del Sud del mondo il cristianesimo e l’islam esercitano un ruolo politico di primaria importanza, anche se non governano formalmente le nazioni.