Aldo Ciappi
Lasciando da parte la pur gravissima querelle su quei magistrati politicizzati (per lo più Pubblici Ministeri) che si sentono investiti della “Mission” di salvare il Paese da presunte derive autoritarie, oggi il problema più allarmante relativo allo stato della giustizia in Italia è un altro.
Si è in presenza, infatti, di un inaudito forcing giudiziario svolto da un’ altrettanto aggressiva e senz’altro più numerosa schiera di magistrati spinti dalla presunzione di costituire l’avanguardia del “diritto vivente” e di dover, quindi, precorrere le “nuove frontiere” di esso.
Dopo lo stravolgimento della normativa vigente attuata dalla eversiva nota sentenza n. 21748/2007 della Cassazione sul caso “Englaro” – con cui si è autorizzata, in contrasto con ogni disposizione di legge, l’uccisione di un essere umano gravemente disabile peraltro non in grado di esprimere una propria volontà – questa volta (o meglio, ancora una volta), è toccato alla L. 40/04 (sulla cosiddetta “procreazione medicalmente assistita”) subire un’ulteriore strappo, dopo quelli già portati dai Tribunali di Cagliari, di Firenze e dal T.A.R. del Lazio, da parte di un giudice di Salerno.
Questi, con la nota decisione di qualche giorno fa, ha consentito ad una coppia fertile portatrice di una patologia genetica di effettuare una diagnosi “pre-impianto” di embrioni fecondati “in vitro” nonostante gli espressi divieti contenuti nella citata legge sia di ricorrere alle tecniche di cosiddetta procreazione medicalmente assistita per le coppie fertili (art. 1 c. 2), sia di praticare diagnosi sull’embrione concepito per finalità non terapeutiche, ossia di sperimentazione o selettive (art. 13 c. 3); tutto ciò nonostante la sentenza della Corte Costituzionale n. 151/2009 che, per quanto ambigua sotto diversi aspetti, ha rigettato le relative eccezioni di incostituzionalità sollevate, mantenendo intatto il divieto di selezione eugenetica degli embrioni contenuto nel citato art. 13 della legge.
In sostanza, si tratta di un atto che si inserisce in un più ampio attacco concentrico di parte della magistratura contro quel poco che resta dell’impianto giusnaturalista del nostro ordinamento che garantiva la prevalente tutela della vita umana contro ogni aggressione esterna, con il solo ragionevole limite della legittima difesa e dello stato di necessità, in ossequio dell’opposto principio della prevalenza delle ragioni del più forte, (la salute psichica dei genitori o il loro semplice disagio causato da una vita “difficile” non desiderata) camuffato sotto un falso senso di pietà, purtroppo diffuso nella mentalità comune, di cui questi giudici si fanno tutori.
Secondo tale già sperimentato principio gli individui che nascono affetti da gravi malformazioni o non presentano certi requisiti “di qualità” non hanno un diritto incondizionato a vivere; quindi, occorrendo, vengono soppressi, con il sigillo della “legalità”, allo stato fetale o embrionale come se le piccolissime dimensioni di essi esorcizzassero la tragica realtà.
La cosa ancora più drammatica, nel caso di specie, è che la nascita di queste piccole vite è provocata consapevolmente, mediante il ricorso a raffinate tecniche manipolatorie, solamente allo scopo di metterle al microscopio una di fronte all’altra per decidere quale tra le due, tre o quattro raffrontate viene ritenuta più “adatta” a proseguire il cammino della vita; le altre si buttano nel cestino.
Se questa non è selezione della razza…