Ag Zenit (Zenit.org) 5 dicembre 2016
Università di Oxford: “Padri presenti donano equilibrio ai figli”. Lo psicoterapeuta Risé: “Ma questi dati vengono ignorati dai centri di potere, impegnati a propugnare figure genitoriali neutre”
di Federico Cenci
Un padre molto presente, aiuta lo sviluppo dei figli e ne fa donne e uomini più equilibrati. Ragazzini ben seguiti, infatti, hanno il 28% di probabilità in meno di avere problemi comportamentali. È quanto emerge da una ricerca dell’Università di Oxford, che ha esaminato un campione di seimila bambini, seguiti per dieci anni.
Sulla stampa internazionale la notizia ha avuto una notevole eco. Proprio in una fase storica in cui spira forte in Occidente il vento di ideologie tese a destrutturare l’identità sessuale e a demolire l’istituto familiare, la scienza lucida a nuovo e ricolloca al vertice la figura dell’uomo quale pater familias. Siamo forse al tramonto della campagna di indebolimento del ruolo del padre, portata avanti fin dal ’68 dal “capitalismo edonista” di concerto con le “burocrazie politiche marxiste”?
ZENIT ne ha parlato con il prof. Claudio Risé, psicoterapeuta e scrittore, docente di Psicologie dell’educazione all’Università Bicocca di Milano.
* * *
Prof. Risé, finalmente viene rivalutata l’importanza del ruolo del padre?
Per la verità dati simili, anche molto dettagliati e impressionanti, erano già noti, raccolti dal Bureau of Census Usa e altre istituzioni nazionali e internazionali, e già presentati nel mio Il padre l’assente inaccettabile, la cui prima edizione italiana è del 2003, poi tradotto in gran parte del mondo. Il fatto è che questi dati non vengono finora diffusi e presi sul serio da gran parte dei centri di potere politico ed economico, impegnati invece nell’indebolimento del padre, in quanto figura potenzialmente disturbante nei confronti della proposta omologante di figure genitoriali neutre, portata avanti dal pensiero unico secolarizzato, fino a poco fa dominante nell’ultimo cinquantennio in Occidente.
Nel suo libro Il padre. Libertà dono (ed. Ares, 2013), Lei dice che è compito del padre fare dono della libertà al figlio. Cosa intende di preciso?
In quel libro, per il quale il filosofo Pietro Barcellona ha scritto una prefazione prima di morire, ho presentato l’importanza per il buon equilibrio successivo del figlio del rapporto con la madre dal concepimento e nei primi anni dopo la nascita. Una relazione di carattere fusionale, istitutiva di forti dipendenze nel figlio e nella stessa madre ma decisiva per il benessere del piccolo. Perché il figlio “nasca” però, anche come soggetto autonomo, è necessario che il padre entri affettuosamente nella diade madre-figlio, portandovi il “dono della libertà al figlio”. Vale a dire una proposta di emancipazione per entrambi, attraverso specifiche pratiche e iniziative.
Ciò richiede nel padre, ad esempio, una grande attenzione nello scorgere e valorizzare nel figlio tutti quegli interessi e vocazioni personali che egli normalmente esprime già dalla prima infanzia, ma che non vengono spesso colte né dalla madre, troppo preoccupata a soddisfarne i bisogni per raccoglierne le spinte emancipanti. Anche le figure educative esterne sono ancora troppo spesso immerse in un modello unidirezionale (dagli educatori agli educandi), per cogliere le proposte e potenzialità presenti in questi ultimi. Il padre invece, vicino al figlio senza però esservi mai stato unito come la madre, è in grado di portare questo dono di libertà, in particolare se accompagnato dalla proposta e testimonianza di sviluppo spirituale e accesso al simbolico.
Quanto ha inciso sulla crisi del ruolo paterno il ’68?
Il ‘68, che si è a volte autopresentato come rivolta contro il padre, è stato invece, a livello profondo, anche una sorta di grido di aiuto verso il padre, affinché questi smettesse di crogiolarsi nell’autocontemplazione narcisistica già imperante nell’Occidente secolarizzato e si facesse interprete della necessità di “liberazione” dei giovani dall’ideologia della soddisfazione del bisogno che si intuiva già imperante allora e ancor più nei decenni a venire. Questo richiamo non fu naturalmente accolto da padri già compromessi, anche moralmente e culturalmente, dall’edonismo di massa. La società dei consumi e delle pulsioni fu anzi ulteriormente rafforzata, coinvolgendovi il più possibile anche i nuovi ribelli e decapitando le loro spinte ideali e potenzialità spirituali. Capitalismo edonista e burocrazie politiche marxiste si impegnarono con successo a far naufragare nell’opulenza e nell’immagine la spinta ideale di un’intera generazione, peraltro già confusa di suo.
È indice di stabilità che giova ai figli anche il rapporto complementare tra padre e madre.
L’innegabile complementarità tra madre e padre, impressa dalla natura nella fisiologia e psicologia femminile e maschile, non implica – anzi esclude – ogni ambigua e confusiva complicità, sempre di scarso valore nel processo educativo. La complementarità è invece fondata sulla convinta testimonianza da parte di ognuno dei due della propria diversità, e dell’assoluta necessità di un accordo con l’altro per la presenza armonica dei due principi e delle rispettive forze e vocazioni.
Se è così importante l’equilibrio dei ruoli di madre e padre, cosa ne è delle cosiddette “coppie omogenitoriali”?
Si tratta di esperienze recenti, con un tempo di osservazione troppo breve per fornire valutazioni e dati precisi. Inoltre quelli finora raccolti sono stati presentati su iniziativa volontaria, e non su raccolte di dati e campionature scientificamente valide. Il loro significato è soltanto di propaganda di queste nuove tecniche, e costumi. Si tratta comunque di iniziative tese a cambiare la stessa riproduzione umana, e dunque l’umanità, finora fondata appunto sull’unione tra maschile e femminile.
Inoltre le biotecnologie fanno passi da gigante. Quali conseguenze può avere su un figlio il concepimento da utero in affitto?
Hanno l’aspetto di deliri di onnipotenza individuali, sostenuti da forti interessi politici ed economici. Dal punto di vista psicologico, ma anche cognitivo e simbolico, appare evidente che un bambino nutrito da relazioni affettive ed esperienziali con un solo sesso viene privato delle risorse di quello tagliato fuori dal processo riproduttivo. Senza dimenticare la diversa qualità dei processi naturali e quelli costruiti in laboratorio. Si tratta però di altri ed enormi campi e questioni, sulle quali non desidero inoltrarmi in questo momento.