di Massimo Introvigne
Domenica il presidente dello Yemen, Ali Abdullah Saleh [nella foto], di fronte a proteste che non accennano a placarsi ha annunciato di essere disposto a lasciare il potere in modo concordato. Dopo Tunisia, Egitto, Libia e Siria sembra sempre più critico un nuovo fronte delle rivoluzioni nel Medio Oriente. Anche nello Yemen, infatti, il potere è precario. E anche qui la versione banale che contrappone semplicemente un dittatore a «sinceri democratici» è falsa.
Lo Yemen è diviso quasi esattamente a metà fra musulmani sunniti e sciiti. Tra le quattro principali scuole giuridiche islamiche i sunniti dello Yemen seguono tradizionalmente la scuola giuridica shafi’ita, anche se alcuni oggi sono influenzati dalla vicina Arabia Saudita che segue una scuola diversa e più rigorista, quella hanbalita. Sono soprattutto di origine sunnita shafi’ita gli yemeniti che si sono avvicinati al marxismo, e fra il 1969 e il 1990 hanno fornito la classe dirigente alla Repubblica Popolare dello Yemen del Sud, uno Stato comunista sostenuto dall’Unione Sovietica nato nella ex colonia inglese di Aden.
Lo Yemen del Nord, invece, era nato molto prima: nel 1918, con il collasso dell’Impero Ottomano, che aprì la strada alla nascita di una monarchia indipendente. Nel 1962 l’ultimo re, Muhammad al-Badr (1926-1996), fu deposto da militari di idee laiche e nazionaliste ispirate al presidente egiziano Gamal Abdel Nasser (1918-1970). L’ultimo di questi militari a emergere da una lunga sequela di lotte intestine all’Esercito è stato Ali Abdullah Saleh, divenuto presidente dello Yemen del Nord nel 1978 dopo che il suo predecessore, Ahmed bin Hussein al-Ghashmi (1941-1978), era stato assassinato da attivisti comunisti ispirati dallo Yemen del Sud. Saleh promosse però una politica di conciliazione con lo Yemen del Sud. Dopo la caduta dell’Unione Sovietica, anche il governo comunista dello Yemen del Sud cadde in modo incruento e le due parti del Paese si riunificarono, sempre con Saleh come presidente.
Lo Yemen del Nord ha sempre avuto un’ampia maggioranza di sciiti zaiditi. I re dello Yemen del Nord avevano una forte legittimazione religiosa, dal momento che erano nello stesso tempo i capi della religione zaidita. Lo stesso Saleh è zaidita. Per capire che cosa succede nello Yemen è dunque essenziale capire chi sono gli zaiditi, che rappresentano il quaranta per cento della popolazione yemenita, e la maggioranza di coloro che occupano posizioni di potere.
Gli sciiti si dividono dai sunniti nel 661 in quanto ritengono che la comunità islamica debba essere guidata non da un califfo elettivo ma da un imam inteso come guida infallibile nelle cui vene scorra il sangue di Muhammad (ca. 570-632). Gli sciiti sono originariamente il “partito” (shia, appunto) di ‘Alî (†661), cugino e genero di Muhammad in quanto ne aveva sposato la figlia prediletta Fâtimah (605?-633). Dopo l’uccisione di ‘Alî nel 661 gli sciiti riconoscono come suoi successori altri imam, ma si dividono sulla loro identificazione.
Gli sciiti maggioritari in Iran, Iraq, Bahrein e Libano sono detti “duodecimani” perché riconoscono dodici imam, il dodicesimo dei quali – scomparso a sei anni nell’874 – non sarebbe mai morto: sarebbe entrato in un “occultamento” da cui riemergerà alla fine dei tempi. Dai duodecimani sono distinti gli ismailiti, la cui branca principale è detta “settimana” perché riconosce solo sette imam e diverge dai duodecimani sull’identificazione del settimo. Gli zaiditi, a loro volta, differiscono da tutti gli altri sciiti nell’identificazione del quinto iman, per loro Zaid (†740), di cui riconoscono successori fino ai nostri giorni. A differenza degli sciiti duodecimani, gli zaiditi non hanno un clero professionale.
Nello Yemen ci sono minoranze di sciiti duodecimani e ismailiti – e, come si è accennato, metà della popolazione è costituita da sunniti – ma, fin dall’epoca ottomana, il potere (al Nord) è in mani zaidite. I militari che nel 1962 hanno rovesciato la monarchia zaidita hanno continuato – fino a Saleh compreso – a professare venerazione per questa forma religiosa, ma hanno promosso un islam dai toni nazionalisti ed “ecumenici” per cui l’importante è essere musulmani e yemeniti, non tanto essere sunniti o sciiti, duodecimani o zaiditi. Da tipici militari nasseriani hanno anche promosso una cauta secolarizzazione delle strutture yemenite. Da questo punto di vista, Saleh può essere paragonato come mentalità e caratteristiche all’ex presidente egiziano Hosni Mubarak, naturalmente con l’importante differenza che Mubarak è un sunnita e Saleh uno sciita zaidita.
Chi si oppone a Saleh? Nello Yemen si è costituito un Congresso Generale del Popolo (GPC) che federa tutti coloro che vogliono rovesciare il presidente, ma costoro la pensano molto diversamente fra di loro. Anche un’unione di partiti “democratici” (JMP) va dai marxisti a forme di islam politico fondamentalista. Al Sud esiste un movimento chiamato Hiraak, che dal 1990 non ha mai cessato di chiedere, talora tentando insurrezioni armate, il ritorno a uno Yemen del Sud indipendente dal Nord, ritenendo che nello Yemen unito i rappresentanti del Sud abbiano pochissimo potere. L’Hiraak è sempre stato sconfitto da Saleh perché è molto diviso al suo interno: alcuni dei suoi esponenti sono marxisti nostalgici del regime comunista precedente al 1990, altri sventolano la bandiera dell’islam sunnita. Ci sono anche oppositori sunniti dell’egemonia zaidita in altre aree del Paese.
Nella parte settentrionale dello Yemen del Nord, con centro nella città di Saada, esiste un forte movimento armato detto Huthi che ha sempre dato noia a Saleh e che protesta contro quella che considera la distruzione dell’identità zaidita dei tempi della monarchia. Benché Saleh sia egli stesso zaidita, il suo tipo di islam «ecumenico» e secolarizzatore è accusato di diluire l’identità zaidita. Saleh accusa a sua volta gli Huthi di essere filo-iraniani e di voler riavvicinare, anche nello stile religioso, gli zaiditi agli sciiti duodecimani dell’Iran.
Con questa opposizione s’intrecciano questioni tribali e questioni di potere tra clan familiari all’interno della stessa confederazione di tribù, detta Hashid, di cui fa parte Saleh. Dal momento che sotto Saleh è possibile – con certe limitazioni – costituire partiti politici, zaiditi conservatori e sunniti, questi ultimi sia di scuola shafi’ita sia di scuola hanbalita d’ispirazione saudita, si sono uniti in un partito islamico modellato sull’esempio dei Fratelli Musulmani egiziani e chiamato Islah, il cui principale esponente laico è un uomo d’affari zaidita con potenti legami tribali, Hamid al-Amahr, e il più autorevole ispiratore religioso è il sunnita filosaudita sheikh Abdulmajid al-Zindani. Il partito Islah ha collaborato a lungo con Saleh, ma ora ha preso le distanze.
La situazione appare confusa, e in effetti lo è. Il presidente Saleh è al potere da trentatré anni e, benché si sia mostrato più rispettoso delle tradizioni religiose di un Ben Alì in Tunisia, è il tipico militare laico che governa con un notevole tasso di corruzione e ha attribuito posizioni di potere soprattutto al suo clan familiare. Saleh non è popolare. I suoi oppositori sono però molto divisi fra loro. Si va dai comunisti – minoritari – a diverse forme, maggioritarie, d’islam politico, distinte però in sciite – in maggioranza zaidite – e sunnite, in una regione dove sunniti e sciiti non amano collaborare fra loro. Tutti chiedono che Saleh se ne vada. Ma il rischio caos e il rischio di una presa di potere dell’islam fondamentalista – in una regione dove opera da sempre al-Qa’ida e dove tutti ricordano che lo stesso Osama bin Laden ha sangue yemenita – sono più che reali.