Radici cristiane n.96 luglio 2014
The Gender Equality Paradox è un interessante documentario, realizzato dal regista norvegese Harald Eia, che ha analizzato in maniera onesta e senza pregiudizi ideologici l’impatto sociale delle politiche di uguaglianza di “genere”, arrivando a smascherare l’ipocrisia, che si cela dietro le posizioni forzatamente ideologiche di alcuni “esperti”. Ecco come…
di Rodolfo De Mattei
La politica del “genere”, là dove applicata, sembra non portare i frutti sperati. E’ .quanto emerge dai risultati di un sorprendente documentario “The Gender Equality Paradox” (“L’uguaglianza di genere è un paradosso”) del regista norvegese Harald Eia. Il filmato, della durata di circa 40 minuti, fa parte di una popolare serie di sette episodi trasmessi nel 2010 dalla principale emittente televisiva norvegese NRK1 e ha dato vita ad un acceso dibattito, che ha portato il governo norvegese ad abolire del tutto le sovvenzioni riservate alle associazioni impegnate nelle politiche di “genere” (nel 2012 erano stati stanziati ben 7,5 milioni di euro).
Teoria e prassi
II regista parte da un dato di fatto reale, mettendo in evidenza come nel 2008 la Norvegia si trovasse al primo posto nella speciale classifica del “The Global Gender Gap Report”, il rapporto internazionale introdotto nel 2006 dal World Economie Forum, che attesta il livello di rispetto delle differenze di genere in 134 Paesi (anche oggi è ai primissimi posti assieme a Olanda, Finlandia e Svezia). Tuttavia, malgrado la conquista di tale “podio di genere”, Harald Eia osserva come, nei fatti, nella società norvegese non si trovi alcun riscontro a tale situazione di “uguaglianza dei sessi”. A riprova di ciò, il regista ricorda come, secondo uno studio recente, «circa il 90% delle infermiere impiegate in Norvegia sono donne e solo il 10% delle donne svolgono il lavoro di ingegnere, (…) è cosi dagli anni ’80».
Da qui il paradosso: nonostante la Norvegia sia all’avanguardia riguardo al rispetto e all’osservanza delle politiche di genere, i dati reali attestano che la divisione di genere nel mondo del lavoro norvegese è ancora molto forte. Il governo ha tentato per anni di assumere infermieri maschi e ingegneri femmine con risultati fallimentari. E tutto questo malgrado un’abbondanza di leggi siano volte a favorire l’uguaglianza di genere.
Questa constatazione ha spinto Harald Eia ad approfondire l’anomala questione, andando ad intervistare studiosi e ricercatori, per trovare una spiegazione razionale di tale paradosso. La sua ricerca ha coinvolto esperti del settore sia nella stessa Norvegia che in altri Paesi, in particolare Gran Bretagna e Stati Uniti. In Norvegia, il regista Eia ha incontrato, dunque, la studiosa Cathrine Egeland del Work Research Institute di Oslo e il ricercatore Joergen Lorenzten del Centro di Ricerca Interdisciplinare di Genere presso l’Università di Oslo.
Entrambi gli studiosi sono concordi nell’escludere l’influenza di qualsiasi elemento biologico nel processo di formazione degli interessi differenti di maschi e femmine, sottolineando, invece, l’importanza dell’educazione dei genitori nella fase adolescenziale. Sia la Egeland che Lorenzten affermano, dunque, come la costruzione sociale del genere sia artificiosa e slegata da qualsiasi riferimento naturale. Il regista norvegese si è recato quindi in California per conoscere Richard Lippa, professore di psicologia, autore per la Bbc di un vasto sondaggio on line (200.000 persone coinvolte in 53 Paesi), nel quale agli intervistati veniva chiesto quale lavoro fossero interessati a svolgere.
I risultati, ancora una volta, hanno fatto emergere una profonda ed interessante differenza tra maschi e femmine. I primi sono per lo più interessati a lavori nel settore tecnico-scientifico, mentre le seconde sono maggiormente orientate riguardo lavori relazionali. Gli studi del professor Lippa confermano dunque, come vi siano delle differenze innate di natura biologica. Sulla stessa linea è il professore Trond Diseth, direttore del dipartimento di psichiatria infantile dell’ Ospedale Nazionale di Oslo, che ha dedicato i suoi studi alle differenze di genere ed, a tale proposito, ha sviluppato un suo particolare test centrato sul gioco.
Il prof Diseth, intervistato da Eia riguardo il suo esperimento, spiega: «Noi abbiamo stabilito 10 giochi differenti, 4 giochi per femmina, 4 per maschio e 2 cosiddetti “giochi neutrali”. (…) Si possono notare differenze nette tra bambini maschi e femmine dall’età di 9 mesi I maschi scelgono giochi da maschio e le femmine giochi da femmina». Il docente di Oslo, a dispetto di chi affermi che i bambini subiscano fin da piccoli influenze sociali, che li portino poi ad assumere comportamenti “sessuati”, sottolinea quindi come essi «nascano con una chiara disposizione biologica e, anche se il fattore sociale può avere un impatto, questo non è mai in alcun modo decisivo».
Della medesima opinione è anche Simon Baron-Coehn, professore di psichiatria a Cambridge, esperto di autismo, il quale ha svolto alcuni innovativi esperimenti sui bambini in fase neonatale. Il professore racconta di aver messo sotto esame bambini dal primo anno di nascita, mettendo in pratica una particolare sperimentazione: come racconta egli stesso nel documentario, «abbiamo messo di fronte a loro un oggetto meccanico da un lato e una faccia dall’altra e abbiamo filmato come e per quanto tempo i bambini fissassero tali oggetti Abbiamo notato che i maschi guardavano di più l’oggetto meccanico mentre al contrario le femmine si rivolgevano dall’altro lato». Tutto ciò, tiene a sottolineare il professor Baron-Coehn, «avviene prima dell’introduzione dei giochi o di qualsiasi elemento socio-culturale».
Secondo il professore inglese, infatti, le differenze di genere prendono forma, addirittura, prima della nascita, all’interno dell’utero della madre, dove maschi e femmine producono differenti quantità di ormoni (i maschi, in particolare, producono il doppio del testosterone delle femmine). Anche per lo studioso di Cambridge, l’elemento biologico svolge un ruolo determinante nello sviluppo puberale dei bambini.
Il paraocchio ideologico
Tornato in Patria, dai suoi viaggi negli Stati Uniti e nel Regno Unito, il regista ha sottoposto agli studiosi norvegesi Cathrine Egeland e Joergen Lorenzten il materiale accumulato nelle sue interviste, chiedendo loro se avessero cambiato opinione di fronte alle testimonianze da lui raccolte. Tuttavia, di fronte alle ragionevoli e scientifiche argomentazioni di Eia, la Egeland, in evidente imbarazzo, si è rifiutata in maniera categorica di accettare teorie, che mettano in discussione le sue certezze ideologiche e, di fronte alla legittima domanda del regista norvegese di esporre le basi scientifiche delle sue convinzioni, ha ammesso di non aver alcuna ragione scientifica, ma solamente presupposti teorici.
Analoga posizione è quella dell’altro ricercatore norvegese, Joergen Lorenzten, che ha liquidato come «studi deboli» le ricerche di Baron-Coehn, Lippa e Diseth. Alla richiesta di prove scientifiche a fondamento delle sue tesi, anche Lorenzten ha dovuto ammettere di basarsi solo su semplici ipotesi, valide finché la scienza non sia capace di provare il contrario. Ma poi è il primo a non accettare i risultati dei più accreditati studiosi.
Alla fine del documentario il regista Harald Eia si domanda in maniera retorica se gli studi svolti a Cambridge e negli Stati Uniti siano veramente così deboli e interessati unicamente a spiegazioni biologiche, come sostengono i ricercatori norvegesi. L’impressione che egli stesso ne ha ricavato è stata tutt’altra: nessuno degli studiosi inglesi e americani che ha incontrato ha affermato che tutto sia da ricondurre alla biologia, mentre al contrario sono stati gli studiosi norvegesi, tranne Trond Diseth, a negare a priori, in maniera preconcetta, il ruolo della biologia.
The Gender Equality Paradox è dunque un interessante ed imparziale documentario, che analizza in maniera onesta e senza pregiudizi ideologici, sulla base di dati reali e concreti, l’impatto sociale delle politiche di uguaglianza di “genere”, arrivando a smascherare l’ipocrisia, che si cela dietro queste posizioni. I risultati della ricerca del regista Harald Eia costituiscono una rivincita del dato naturale. La realtà messa alla porta dagli ideologizzati teorici del “gender” rientra prepotentemente dalla finestra.