di Mariolina Ceriotti Migliarese
Tra le cose che più oggi colpiscono chi si occupa di problemi sociali ma anche di educazione o di psicoterapia c’è la diffusa sensazione di una profonda caduta del senso vitale. Il senso di vuoto, di noia, di nonsenso sono spesso sottesi a molti dei comportamenti-problema che si riscontrano in adolescenza, ma fanno anche da sottofondo a molte problematiche dell’adulto, alla rincorsa affannata di stimolazioni sempre diverse che facciano, appunto, «sentire vivi».
Ma che cosa, sul piano psicologico, è necessario perché si abbia la sensazione che la vita ha senso? Che cosa ci da là percezione spontanea che vale la pena vivere, al di là di ogni diversa impostazione ideologica e di ogni convinzione ragionata sul significato dell’esistenza?
Ho individuato un possibile filone di riflessione a partire dalla rilettura di un autore caro a chi si occupa di psicoterapia infantile: si tratta di D.W. Winnicott, pediatra e psicoanalista della prima metà del Novecento, che ha molto contribuito alla comprensione delle dinamiche psicologiche del bambino a partire dai suoi primi rapporti e dalle sue primissime esperienze.
Nel suo libro Gioco e realtà del 1971 si legge questa interessante affermazione: «È la appercezione creativa, più di ogni altra cosa, che fa sì che l’individuo abbia l’impressione che la vita valga la pena di essere vissuta. In contrasto con ciò vi è un tipo di rapporto con la realtà esterna che è di compiacenza, per cui il mondo e i suoi dettagli vengono riconosciuti solamente come qualcosa in cui ci si deve inserire o che richiede adattamento».
E ancora: «…la creatività… è la colorazione dell’atteggiamento verso la realtà esterna… ed è universale: appartiene al fatto di essere vivi… appartiene alla maniera che ha l’individuo di incontrarsi con la realtà».
La capacità di essere creativi sarebbe dunque sul piano psicologico alla base della percezione del significato vitale: creatività che consiste essenzialmente nel modo particolare in cui ciascuno di noi può mettere qualcosa di sé stesso nel mondo esterno, modo in cui avviene un incontro tra ciò che è dentro ciascuno (sentimenti, sensazioni, pensieri…) e ciò che è fuori.
Alla sorgente della creatività
Quando si è dotati di questa risorsa squisitamente umana tutte le cose possono avere un senso, proprio perché la persona mette nelle cose qualcosa che è propriamente suo, nasce da dentro, e quindi è originale e in qualche modo unico.
Ma qual è l’origine di questa capacità? Come nasce e come può svilupparsi? Winnicott situa l’origine di questa capacità nella relazione primaria tra la madre e il bambino, quando si tratti di una relazione «sufficientemente buona». In questa idea di «sufficientemente buono» l’accento è da mettersi proprio sulla parola sufficientemente, che implica la non-perfezione della relazione. Una madre adeguata risponde empaticamente ai bisogni del suo bambino, ma la corrispondenza bisogno-risposta non può mai per sua natura essere perfetta: tra il bisogno del bambino (fame, sonno, dolore, disagio…) e la risposta della madre non c’è mai una corrispondenza «esatta», per quanto attenta e premurosa sia la madre.
Ci sono, per quanto piccoli, degli spazi di attesa, delle piccole frustrazioni. Il bambino deve aspettare. È dentro questa attesa, questo spazio vuoto (quando, beninteso, la madre sia capace di renderlo non troppo lungo e quindi tollerabile) che nasce nel bambino una nuova capacità: il bambino si ciuccia il dito, si intrattiene con l’angolo della copertina, gioca con la sua voce…
Queste piccole attività nascono dall’iniziativa del bambino, magari incoraggiate dall’atteggiamento tranquillo della madre, che a sua volta tollera di non essere perfettamente soddisfacente… Queste piccole attività sono le prime capacità di gioco, che può allora essere definito come la capacità creativa (diversa in ogni bambino secondo le sue risorse interne ma anche secondo i diversi impercettibili modelli esterni) di riempire uno spazio vuoto di attesa senza soccombere all’angoscia.
Questa struttura iniziale, primaria, più volte ripetuta si sviluppa nel tempo facendosi via via più complessa. Ma il procedimento è sempre lo stesso e la possibilità di aumentare la capacità di creatività/gioco nasce sempre all’interno di questa tensione tra il bisogno e la non possibilità di una sua immediata soddisfazione: la tensione dell’attesa spinge la mente a prefigurare creativamente qualcosa che riempia lo spazio vuoto e questo avviene facendo fiorire e sviluppare le risorse potenziali della persona.
Crescendo il bambino impara a utilizzare in modo sempre più vario e creativo ciò che ha a disposizione e sviluppa tra l’altro abilità di gioco simbolico, di grande rilevanza per il suo sviluppo psicologico e per l’elaborazione sana delle tensioni interne. Quando, nell’età dell’adolescenza, la mente diventa capace di uscire dal mondo dell’esperienza concreta e di lavorare anche per ipotesi, sulla base dello stesso modello nasce anche la capacità di giocare con le idee, che è alla base dell’esperienza culturale. Seguendo questa affascinante ipotesi, possiamo allora osservare che:
– da una buona capacità di gioco potrà nascere una buona capacità di investire e godere in età adulta dell’esperienza culturale, ma anche in modo più esteso quella di investire creativamente il proprio lavoro e di trame perciò soddisfazione;
– perché si sviluppi la possibilità di giocare creativamente (prima con il gioco infantile simbolico, poi con le idee) occorrono anche «spazi vuoti», spazi di attesa, tensione tra un bisogno e la sua soddisfazione.
Oggi è però osservazione comune da parte degli specialisti di psicologia infantile il fatto che molti bambini non sono più capaci di giocare: messi davanti alla possibilità di un uso creativo del tempo o del materiale di gioco appaiono in difficoltà e preferiscono riprodurre sequenze di cartoni animati o ripiegare su play station o televisione.
Allo stesso modo la tensione creativa appare smorzata nelle nuove generazioni di adolescenti, che appaiono poco capaci di e poco interessati a «giocare con le idee». Eppure, non siamo certo in presenza della scomparsa di mamme «sufficientemente buone».
Sembra però che la capacità creativa iniziale presente in ogni creatura umana sufficientemente ben accudita invece di crescere adeguatamente rendendo più ricca la vita di tutti generazione dopo generazione, si affievolisca o almeno non si sviluppi più in modo adeguato.
Sono naturalmente possibili molte riflessioni, ma mi sembra che una prima considerazione sia questa: oggi non siamo più capaci di lasciare a bambini e adolescenti sufficienti spazi vuoti, e questo almeno in due diverse direzioni: in primo luogo spazi vuoti concreti di tempo, che sia anche, forse, tempo per sperimentare la noia senza temerla. Ma in secondo luogo anche spazi nei quali sperimentare la tensione potenzialmente creativa tra il bisogno e la sua risoluzione, spazi in cui il bisogno possa trasformarsi in desiderio.
Le osservazioni di Winnicott
L’adulto oggi si trova in difficoltà nel tollerare un bambino o un adolescente che «non ha niente da fare», un bambino o un adolescente con del tempo davvero libero, vuoto: vero lusso una volta proprio dell’età più giovane. Allo stesso tempo l’adulto, spesso colpevolizzato perché poco presente con i propri figli, non tollera di infliggere piccole frustrazioni ai loro desideri/bisogni insegnando in questo modo che talvolta è possibile o anche necessario aspettare.
Continuando a riflettere, mi sono però imbattuta anche in un’altra osservazione di Winnicott che ho trovato molto interessante e utile per allargare l’orizzonte di pensiero. Winnicott afferma infatti nel parlare del gioco: «L’elemento piacevole nel gioco porta con sé l’implicazione che l’eccitamento istintuale non sia eccessivo; l’eccitamento istintuale al di là di un certo punto deve portare: all’orgasmo; all’orgasmo mancato, e a un senso di confusione mentale e di disagio fisico che solo il tempo può attenuare; all’orgasmo vicario (come nella provocazione di reazioni sociali, nella rabbia, ecc.)».
Il gioco, dunque, è di per sé eccitante, ma l’eccesso di eccitazione impedisce il gioco e lo trasforma in qualcosa d’altro: una tensione troppo alta che chiede di essere risolta, «sfogata». Questa osservazione che non mi sembra sia stata da Winnicott ulteriormente sviluppata permette di fare una considerazione interessante: non solo la mancanza di tempi vuoti d’attesa e di un giusto equilibrio tra soddisfazione e frustrazione sono di ostacolo a un ricco sviluppo delle potenzialità creative, ma anche tutto ciò che crea un eccesso di eccitazione impedendo così il gioco, inteso come modalità umana creativa di accesso al reale.
Oggi, se così posso esprimermi, i ragazzi ma anche gli adulti sono soggetti loro malgrado a un massiccio furto dello spazio immaginativo personale, riempito da immagini invadenti e precostituite; queste immagini sono inoltre troppo spesso cariche di contenuti iper eccitatori e in quanto tali poco adatte a essere maneggiate creativamente.
L’eccesso di eccitazione si trasforma facilmente in aggressività, irrequietezza, difficoltà di attenzione e concentrazione che sono oggi in grande aumento nella fascia dell’età scolare e a cui si tende a dare risposta aumentando il numero di attività proposte ai ragazzi.ottenendo talvolta solo di sottoporli ad altre situazioni di pressione che alimentano un circolo vizioso.
Paradossalmente assistiamo inoltre nell’età adulta a un appiattimento della stessa tensione erotica che si vorrebbe stimolare, proprio perché viene a mancare la spinta creativa e immaginativa che sola può portare a un senso di piena soddisfazione. Il circuito bisogno-soddisfazione diventa un cortocircuito abbassando la tensione erotica a livello di pura tensione istintuale e spingendo la persona a uno stile inflazionistico che rende necessaria la ricerca di stimoli sempre diversi e sempre più forti pena un profondo senso di svuotamento e di insignificanza.
Mi sembra a questo punto però interessante percorrere anche una seconda pista di pensieri. La domanda è: come incide l’eccesso di stimoli erotizzati nelle diverse età del bambino? Come il bambino, il preadolescente, l’adolescente recepiscono i messaggi di una società erotizzata come la nostra? Nell’età infantile, le differenze fondamentali tra adulto e bambino e in particolare la struttura del pensiero infantile che è egocentrico e concreto fanno sì che per il bambino l’esperienza sessuale dell’adulto sia priva di un significato comprensibile.
Il bambino infatti conosce le cose associando ciò che vede e sente alla sua esperienza, e cerca perciò di assimilare il nuovo e lo sconosciuto confrontandolo con ciò che già conosce. È per questo motivo per esempio che il bambino associa il sesso (di cui non ha esperienza) con tutto ciò che ha a che fare con i suoi bisogni corporei, perché questi sperimenta e conosce. Da qui nascono, almeno dal punto di vista cognitivo, le curiose teorie infantili sul sesso e sulla nascita dei bambini.
Per questo motivo, anche quando fa domande apparentemente edotte in realtà il bambino non capisce il sesso degli adulti, e per questo immagini troppo crude e spiegazioni troppo specifiche date precocemente possono turbarlo e confonderlo profondamente. Per il bambino ciò che è veramente eccitante (anche sessualmente eccitante) non sono tanto i contenuti di tipo erotico, quanto piuttosto quelli di tipo aggressivo, come ben sanno i produttori di cartoni animati ad alto tasso di aggressività e come intuiscono i genitori alle prese con bambini divenuti incontenibili dopo una troppo lunga esposizione a questo genere di immagini ben enfatizzate da un accorto uso di colonne sonore piene di suspense.
Dalla pubertà in poi però il cambiamento è repentino e profondissimo, perché improvvisamente la persona fa l’esperienza che «il sesso mi riguarda». Improvvisamente le informazioni anche disordinate e confuse raccolte nell’età precedente prendono il loro posto nella mente e assumono un’importanza del tutto personale.
Identità personale & sessuale
II problema dell’identità sessuale prende un posto centrale all’interno del più ampio tema dell’identità personale, accompagnato spesso da ansie, interrogativi, incertezze, bisogno di conferme sulla propria normalità e adeguatezza. Questo comporta tra l’altro una fortissima attrazione e una grandissima permeabilità per ogni stimolo erotico e per ogni argomento a sfondo sessuale, proprio perché la curiosità sul sesso è una «curiosità su di me» ed è accompagnata dalla ricerca di modelli di comportamento che facciano sentire all’altezza delle proprie e altrui aspettative.
Trattandosi di domande sul sé le domande che l’adolescente si fa sulla sessualità sono domande necessarie e importanti, cui varrebbe la pena di proporre risposte significative. Quello che invece generalmente incontra sono risposte banali legate al consumo, predisposte in modo da rendere impossibile prefigurarsi come l’attesa e lo sviluppo di uno spazio immaginativo sano possano in realtà essere condizione anche per godere più pienamente proprio della stessa esperienza erotica.
Immaginare l’altro diverso da sé, sognarlo, desiderarlo, sono momenti di ricchezza insostituibile che rischiano di vanificarsi, perché la precocità dell’esperienza sessuale e il modello fortemente consumistico indotto comportano un calo di quella tensione creativa desiderante che tipicamente l’adolescenza potrebbe esprimere. Non va inoltre sottovalutato il fatto che il diffuso «permesso di trasgredire» concesso nei fatti dalla generazione adulta agli adolescenti fa collassare il processo di sviluppo adolescenziale e lo svilisce impedendo una vera differenziazione.
L’adolescente infatti è colui che deve sperimentare, «giocare» con l’idea del futuro, i progetti, le idee, le sfide. Ma per poter fare questo in sicurezza ha bisogno della presenza di una generazione di adulti capaci di non essere conniventi con lui, di fare, appunto, gli adulti: capaci di mantenere la posizione e il confine.
Se vengono a mancare gli adulti (coloro che accettano di essere «definiti» e quindi anche consapevoli del proprio limite) l’adolescenza non è più possibile. Possiamo dire di trovarci oggi in un certo senso davanti a un paradosso: la nostra epoca ha cercato di fare della sessualità un puro gioco, ma ha dimenticato le caratteristiche che rendono davvero creativo e perciò pienamente umano e soddisfacente il giocare.
L’incapacità diffusa di gioco/creatività, sostituiti da modelli di «consumo» di cose, persone, esperienze, comportano profonda insoddisfazione e una diminuzione delle capacità di «fare cultura», un impoverimento complessivo del livello culturale che è purtroppo di grande evidenza.