Dal sito di Elijah J. Magnier (*) 25 Aprile 2014
(Traduzione di Alice Censi)
I sette anni della sporca guerra che è in corso in Siria hanno creato non solo centinaia di migliaia di vittime tra morti e feriti, una distruzione valutata in centinaia di miliardi e milioni di rifugiati e sfollati all’interno del paese ma hanno anche inferto un colpo devastante alla credibilità dei mezzi di informazione internazionali. La maggioranza dei cronisti, compatta in una precisa e violenta campagna a livello internazionale, ha preso una posizione opposta ad altri giornalisti, analisti, membri del mondo accademico e attivisti che si sono ritrovati in minoranza.
Chiunque si sia opposto al “cambio di regime”, abbia rifiutato la propaganda interventista, chiunque si sia dichiarato a sfavore di una guerra generale contro la Russia e che abbia lottato per offrire un’alternativa a quella narrativa ottusa propagandata dai neoconservativi, è stato attaccato.
Tutti sono stati etichettati come “pro Assad” oppure, più recentemente “pro attacchi chimici”. Comunque è emersa una nuova consapevolezza che si può dire stia creando un nuovo costruttivismo sociale che si oppone a questi potenti ma tendenziosi “media” ricercando e trovando nuove realtà con la volontà di mettere sotto accusa questi mezzi di informazione senza fare caso a coloro che hanno, per tantissimo tempo, incondizionatamente, incarnato l’informazione. Alcuni, infatti stanno definendo questi tendenziosi giornalisti “paladini di salafisti wahabisti”.
Questi mezzi di informazione si sono uniti agli USA, UK, Francia e a molti altri paesi europei e mediorientali nella loro “guerra alla Siria” senza prendere assolutamente in considerazione i desideri del popolo siriano e l’esistenza e i risultati delle elezioni. La gran parte della “Siria utile” è stata liberata senza l’aiuto o il consenso delle Nazioni Unite e senza una strategia specifica o una alternativa plausibile in accordo con la volontà dei siriani e non solo dei loro “proxies”.
Molti paesi hanno investito più di 140 miliardi di dollari in Siria con un unico ovvio risultato, riportare “di nuovo al punto di partenza” un paese distrutto e una popolazione dispersa. Il mondo sembra che ignori i risultati del “cambio di regime” in Libia, l’intervento americano in Afghanistan (con risultati devastanti per il paese) e con il Pakistan, oltre alle conseguenze del cambio di regime in Iraq.
I principali mezzi di informazione (MSM) hanno abbandonato la copertura della guerra in Siria poiché la lotta per rovesciare il governo siriano e il suo presidente Bashar al-Assad era perdente, l’esercito siriano vinceva ogni battaglia contro i jihadisti e i militanti sponsorizzati dai sauditi. I jihadisti sono stati sconfitti quasi dovunque in Siria e portati perlopiù nelle città settentrionali di Idlib e Jarablus, sono rimasti in alcune sacche nell’estremo est e sud, ai confini con Israele e la Giordania.
I giornalisti, comunque, hanno deciso di impegnarsi in un altro tipo di guerra (una vendetta?) per soffocare qualunque voce alternativa pronta a smascherare la loro insistente narrativa in difesa dei jihadisti , dipinti come “ribelli moderati” (di fatto negli ultimi sette anni) e che richiedeva un incremento della guerra in Siria.
Il fatto curioso è che molti del gruppo “media sotto accusa”, anche se non tutti, sono stati scelti come i bersagli preferiti dei MSM. Sono stati subito classificati come “Assadisti”, “pro-regime”, “Putinisti”, “pro-Russia”, “pro-Hezbollah”, “pro-Iran” o anche “ (ro)bot russi”. E’ come un cartellino rosso che ti viene attribuito per bollare tutti quelli che non sostengono altre violenze in Medio Oriente o altri bombardamenti indiscriminati di Trump o tendono a non far crescere la tensione tra le due superpotenze con altre truppe sul campo in Siria per spingere il mondo verso una guerra più ampia. Ci sono degli “accounts” sconosciuti molto tollerati dai “media” in quanto concordano con la narrativa “anti-Assad”.
Potrebbe essere il risultato della mancanza di consapevolezza, ma i mezzi di informazione internazionali danno l’impressione di essere pronti ad abbandonare la loro originaria e unica legittima missione di “informare la gente presentando fatti e analisi”.
Non viene dato, inoltre, spazio sufficiente alla critica o alle contro-argomentazioni, si trasmette solo una opinione di governo senza neppure cercare di corroborare la narrativa esposta erroneamente. Ciò nonostante il mondo osserva molto attentamente e molti non sono disposti ad accettare una trama a senso unico offerta dalla televisione e dai giornali con la loro versione degli eventi. Grazie alla forza e all’accessibilità delle informazioni in internet e soprattutto sui “social media” tutti sono in grado di ricercare quella che credono sia la verità, cercando articoli imparziali, blog di privati, analisi di ex-ambasciatori, ex-giornalisti e le fonti accessibili facilmente in rete: la credibilità dei più importanti mezzi di comunicazione vacilla e il danno è serio.
I giornalisti appaiono non interessati a riportare l’avanzata dell’esercito siriano nel campo di Yarmouk e al-Hajar al-Aswad a sud di Damasco dove l’ISIS e al-Qaeda avevano –e finora hanno ancora- il controllo e si sono combattuti a vicenda per anni. Le forze di Damasco registrano una vittoria via l’altra contro quelli che dovrebbero essere riconosciuti come gruppi terroristici, responsabili di attacchi continui nel mondo, soprattutto nelle ultime decadi.
La fiducia acquisita dall’esercito siriano mostra una forza che lentamente ma sicuramente metterà fine alla insensata campagna dei guerrafondai. In teoria queste sono notizie ma non molti hanno la volontà di scriverne. E’ probabile che il giornalismo neo-con stia selezionando gli eventi che si adattano alla politica dei giornali, come indicato dal corrispondente del Washington Post Beirut, piuttosto che occuparsi di ciò che vorrebbero i lettori e di cui avrebbero bisogno per essere informati.
Forse i baroni dell’informazione hanno deciso di schierarsi e non sono più interessati a riferire in modo imparziale o anche solo a riportare gli sviluppi sul terreno di battaglia. Se prendiamo lo Yemen, gli stessi giornalisti che esprimono una forte indignazione nei confronti delle vittime civili della guerra imposta alla Siria, sono completamente insensibili, indisponibili a scrivere sulla guerra che l’Arabia Saudita sta facendo allo Yemen appoggiata da USA e UK.
Gli stessi giornalisti così eccitati per qualunque bomba sganciata dall’aviazione siriana o russa per liberare le città sono piuttosto silenziosi circa le migliaia di civili uccisi a Raqqa dall’aviazione americana che ha distrutto oltre l’80% della città lasciando che le mine dell’Isis uccidessero molti abitanti che tornavano nelle rovine di quella città.
Oggi vediamo articoli che citano attivisti (anche la dirigenza americana si basa sugli attivisti per bombardare la Siria) solo perché sono contro il governo di Damasco –al punto che questo genere di improbabili, non verificate fonti, intervistate tramite What’sApp, sono diventate fonti “riconosciute” e pertanto convalidate dai MSM.
I giornalisti adesso hanno puntato le loro penne contro attivisti, giornalisti e accademici che rifiutano la versione unilaterale degli eventi in Siria data dai mezzi di informazione principali ma c’è da parte loro un “blackout” a proposito della più grande catastrofe umanitaria di questo secolo che è in atto in Yemen.
Mark Lowcock, a capo dell’ Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA) ha detto che “la situazione in Yemen sembra l’apocalisse”. Ma a quanto pare, è irrilevante per i MSM. La priorità è data alla caccia alle streghe e pare che la stagione si sia aperta. Mezzi di informazione e giornalisti rispettabili individuano alcuni bersagli e alzano la voce sui social media e da professori universitari, per spaventare tutti gli altri, con lo scopo, sembra, di far tacere le opinioni diverse.
La professionalità (mancanza di imparzialità anche in situazioni politiche e militari inaccettabili) non sembra più essere la regola del gioco: per inciso, come Owen Jones ha sottolineato, tutto ciò potrebbe essere dovuto alla non professionalità dell’editore.
E’ impossibile ignorare l’ironia: perché incolpare i mezzi di informazione quando hanno annunciato la loro prima “intifada” contro gli anti-interventisti dato che la guerra in Siria è stata persa nonostante i grandi investimenti fatti, gli sforzi e migliaia di articoli “vediamo il regime in Siria cadere”…. ma non è caduto!
I MSM sanno che i lettori avranno poca pietà per la falsa propaganda, la manipolazione degli eventi e la copertura degli eventi da lontano. I lettori avranno la loro rivincita smettendo di sottoscrivere gli abbonamenti, non volendo più vedere una valanga di analisi inaccurate e previsioni errate sul destino del governo siriano e del suo esercito. I giornalisti non accetteranno tanto facilmente la sconfitta e stanno cercando dei capri espiatori per distogliere l’attenzione dei lettori.
Ma di certo i giganti dell’informazione non possono accusare solo alcuni “accounts” sui “social media” per il loro fallimento sulla guerra in Siria. Ci devono essere delle accuse sostanziali: è così che entra in gioco la Russia. I media cercano di insinuare che gli anti-interventisti attivi con successo sui social media sono legati a Mosca.
Mi torna alla mente un attacco che il gruppo libanese AMAL aveva fatto contro Israele negli anni ’90 uccidendo alcuni soldati israeliani. AMAL annunciò la sua responsabilità ma Tel Aviv la rifiutò insistendo nell’ accusare Hezbollah. Sarebbe stato troppo umiliante per l’esercito israeliano subire un tale colpo da un gruppo militarmente debole come AMAL. E’ esattamente quello di cui oggi i MSM hanno bisogno: un responsabile di grosso calibro che giustifichi il successo di alcuni e accusare quindi una superpotenza come la Russia per salvarsi la faccia.
Quando lavoravo per un’agenzia di stampa internazionale, guardavo le notizie sul rotolo di carta che arrivava via cavo da diversi abbonamenti dell’agenzia di stampa. Mi avvicinavo alle notizie di agenzie che avevano una lunga e consolidata accuratezza e credibilità tenendomi lontano da quelle con meno credibilità. Oggi i MSM vengono respinti dai lettori di tutti i tipi.
Trovare divertente la caccia alle streghe, in particolare come ha fatto la BBC, piuttosto che offrire notizie aggiornate è letale per la reputazione dei media. E’ anche possibile che tutti questi giornalisti credano che, avendo fatto tutti lo stesso errore, non sussista il problema di essere considerati responsabili. Ma quello che appare più ovvio è il fatto che le persone sui social media adesso hanno molto più successo, specialmente nell’incidenza, rispetto alle agenzie di stampa, ai giornali e ai giornalisti di professione.
La guerra in Siria ha visto la caduta di molti presidenti nel mondo mentre il governo siriano è rimasto al suo posto. Anche questo risultato sta smontando la posizione sulla Siria dei mass media e va a colpire la loro credibilità. Anche coloro che affermano di essere “attivisti umanitari” si sono permessi di apportare una “lieve”modifica alla qualifica della loro missione per sostenere l’occupazione della Siria.
Gli Stati Uniti, il Regno Unito e la Francia occupano ancora illegalmente parte del paese senza una visibile intenzione di eliminare l’ISIS che si trova nel nord-est del paese sotto la loro tutela. Ci sono oltre 100.000 jihadisti nel nord della Siria che combattono sotto il controllo di al-Qaeda e della Turchia.
Nel sud, Daraa sarà problematica perché connessa all’interesse americano e israeliano di tenerla lontana dal controllo del governo siriano. Espedienti come gli “attacchi chimici” e altri diversivi sono ancora possibili. La memorabile “telenovela” della Siria non è finita. Mi chiedo: chi sarà nella lista dei bersagli dei media e chi sarà la prossima/e vittima/e prima che la guerra nel Levante finisca?
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(*) Elijah J. Magnier e’ analista senior dei rischi politici con oltre 32 anni di esperienza in Europa e Medio Oriente. Acquisendo esperienza approfondita, solidi contatti e conoscenze politiche in Iran, Iraq, Libano, Libia, Sudan e Siria. Specializzato in valutazioni politiche, pianificazione strategica e approfondita conoscenza delle reti politiche.