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tratto dal libro L’esodo, Mondadori, Milano 1999.
di Arrigo Petacco
Era il 22 novembre 1944. […] Palmiro Togliatti aveva scritto una lettera […]: ‘Noi consideriamo come un fatto positivo […] di cui dobbiamo rallegrarci e che in tutti i modi dobbiamo favorire, l’occupazione della regione giuliana da parte delle truppe del Maresciallo Tito.
Questo significa infatti che in questa regione non vi sarà nè un’occupazione inglese nè una restaurazione dell’amminstrazione reazionaria italiana […]. Si creerà insomma una situazione democratica’.[…] Lo stesso ordine fu invece sdegnosamente respinto dai partigiani della «Osoppo» (bianchi). Il loro comandante, il giovane capitano degli alpini Francesco De Gregori, romano e zio del noto e omonimo cantante, dichiarò con franchezza agli emissari comunisti che i suoi uomini non avrebbero mai sostituito il loro fazzoletto tricolore con quello rosso dei partigiani slavi.
[…] Trascorrono alcuni mesi […] la divisione «Osoppo» ha stabilito il suo quartier generale fra i boschi di Porzus, nell’udinese […] di recente si è unita al gruppo una nuova recluta, il ventenne Guido Pasolini, fratello di Pier Paolo […]. La mattina del 7 febbraio 1945, le sentinelle scorgono […] un gruppo di uomini armati […]. Sono partigiani garibaldini con la stella rossa sul berretto e il fazzoletto rosso al collo. Li comanda il padovano Mario Toffanin, nome di battaglia «Giacca». Costui spiega […] di essere scampato ad un rastrellamento e manifesta l’intenzione di passare coi suoi uomini, […] agli ordini di «Bolla» [De Gregori].
[…]. Bolla manda […] a vedere cosa sta accadendo e più tardi […] scende anche lui verso le postazioni delle sentinelle. E’ a questo punto che ha inizio una tragedia […]. «Giacca» […] cattura Bolla con facilità, poi ordina ai suoi uomini di fucilarli. I loro cadaveri saranno ritrovati sfigurati dalle percosse e dalle pugnalate. […] Fra gli uccisi ci sono anche […] il fratello di Pier Paolo Pasolini. […].
Mario Toffanin militava nelle bande di Tito già prima dell’8 settembre 1943 […]. Condannati complessivamente a 800 anni di carcere, furono ben presto rimessi in libertà grazie all’amnistia voluta da Togliatti […]. «Vanni» è stato graziato nel 1959, «Giacca» lo è stato nel 1978 per decisione del presidente Pertini. A quest’ultimo è stata anche riconosciuta, con i relativi arretrati, una pensione militare di 670.000 lire mensili che l’Inps continua a versargli […]” (p. 102-105).
“[…] pur entrando a far parte del Territorio Libero di Trieste, la zona «B» fu sottoposta fin dal 1947 ad un progressivo processo di slavizzazione. L’amministrazione iugoslava impose tutti i criteri adottati dal governo di Belgrado […] come la collettivizzazione delle terre, la cooperazione e la socializzazione delle industrie. Aziende importanti come la Arrigoni e la Ampelea, che rappresentavano la ricchezza economica della regione, furono costrette a chiudere e a licenziare i propri dipendenti. […] per snazionalizzare ulteriormente il territorio furono perseguitati e indotti ad andarsene gli esponenti delle due categorie che costituivano un tradizionale punto di riferimento per gli italiani: gli insegnanti e il clero cattolico.
[…] Onde spezzare ogni legame […], le autorità civili jugoslave […] ostacolarono con ogni mezzo il passaggio dei pendolari che ogni mattina si recavano al lavoro nella zona «A» [controllata dagli anglo americani], imponendo lunghi e ingiustificati blocchi marittimi e terrestri o obbligandoli quotidianamente a subire lente e minuziose perquisizioni […]” (p. 132-133).