n.29 del 20 luglio 2014
di Fabrizio Cannone
Sono ormai moltissimi, anche nel nostro Paese, i seguaci dello scrittore anglofono Gilbert Keith Chesterton (1874-1936) e per fortuna non mancano le traduzioni in lingua italiana delle sue numerosissime opere. Negli ultimi anni, la torinese Lindau ha pubblicato molti testi dell’Apologeta inglese, tra cui La Chiesa cattolica, Eretici, Ortodossia, La mia fede, Ciò che non va nel mondo, Il profilo della ragionevolezza, La nuova Gerusalemme, L’uomo comune, L’imputato, La serietà non è una virtù, Quello che ho visto in America, Il pozzo e le pozzanghere, Il Napoleone di Notting Hill, I paradossi del signor Pond, Lo scandalo di Padre Brown e l’importante Autobiografia.
Da parte sua, la veronese Fede & Cultura ha edito altre opere dello Scrittore, come la biografia di san Tommaso d’Aquino, e vari saggi di commento ed analisi di autori esperti di letteratura chestertoniana (Fabio Trevisan, Gerlando Lentini, ecc.). La senese Cantagalli ha da parte sua pubblicato un ottimo libro che raccoglie vari scritti del Nostro contro l’eugenetica. Si tratta di iniziare a leggerli…
Un saggio tra i meno citati in assoluto è uscito alcuni anni fa in Italia, con il titolo provocatorio di La superstizione del divorzio e resta un testo attualissimo. Ci siamo tornati sopra dopo che lo storico francese Yves Chiron ha intervistato l’intellettuale e giornalista Philippe Maxence sul tema del suo recente saggio dedicato a Chesterton face à l’Islam, ovvero “Chesterton e l’Islam” (Via Romana, 2014). Leggendo questa intervista, fatta ad un esperto di letteratura anglosassone, abbiamo capito meglio la grandezza e la vastità degli orizzonti culturali del più grande Romanziere cattolico inglese di primo Novecento.
Chesterton spiega nella nota introduttiva al libro, che uscì in Inghilterra nel 1920, che il pamphlet nasce da «cinque articoli che apparvero sul New Witness durante la recente controversia sul divorzio» (p. 9). Esso sorse dunque come testo di battaglia e di polemica, ma resta tuttavia utilissimo per riflettere su cosa sia davvero il divorzio, cioè lo scioglimento del patto più importante e vitale che si possa concepire.
Secondo noi il divorzio, infatti, non può ridursi ad una legge sbagliata fra le altre, ma è uno dei segni più evidenti dell’inizio della decadenza e del crollo di una civiltà. Nel caso poi dell’Europa, il primo continente evangelizzato, ed evangelizzato direttamente dagli Apostoli, la cosa è ancora più grave. Il divorzio, in un contesto cristiano, assume il significato di apostasia pubblica e conclamata dalla Religione fondata da Cristo, il quale, “tollerantissimo” verso peccatori, ladri e prostituite, non ha mai ceduto di un micron verso l’istituzionalizzazione del peccato.
Cristo, si potrebbe dire, ama perfino chi abbandona la moglie ed i figli per fuggire con l’amante (benché ovviamente disapprovi queste condotte); ma odia, di un odio fatto di assoluta incompatibilità, l’istituto del divorzio. E questo a causa dell’ingiustizia che ogni legge divorzista contiene. La somma giustizia del Verbo, che unisce in sé il rigore e la misericordia, è anche opposizione ad ogni male, ad ogni violenza e ad ogni cattiveria, specie contro i deboli e gli infanti.
Il divorzio significa la “liberazione” da una promessa liberamente fatta, dal giuramento, dall’impegno, dalla fedeltà: ma Dio è fedele, anzi è la Fedeltà per essenza, ed ogni infedeltà, comunque la si mascheri, è in radice un tradimento verso di Lui. La salute è incompatibile con la malattia, e la vita, se esiste, è assenza di morte. Il matrimonio e la famiglia sono dunque incompatibili con il divorzio, e se il divorzio esiste, anche come mera possibilità prevista dalla legge, la fedeltà al patto coniugale è violentata in radice. Dunque ogni matrimonio è ferito dalla sola esistenza della legge sul divorzio.
Secondo Chesterton coloro che lottavano per l’introduzione del divorzio in Inghilterra ignoravano l’essenza del matrimonio: cosa che potrebbe dirsi, senza variazioni di nota, per i divorzisti o per i fautori odierni del “divorzio breve”, in Italia e nel mondo. Tutto il pamphlet di Chesterton, come lui stesso vuole che si chiami il suo libretto (cf. p. 145), è un’analisi, appassionata e insieme ragionata, sul danno che il divorzio rischia di produrre alla civiltà umana, in termini di relazioni sociali, educazione della prole, moralità generale (per l’evidente incentivo al tradimento), economia domestica (quante famiglie impoverite a causa del divorzio e delle sue conseguenze?), rapporti tra i sessi, pace interiore impossibile per coloro che abbandonano i propri figli, perdita del senso della tradizione e dell’onore…
I divorzisti, con l’introduzione del divorzio, «si liberano della fatica più vicina; il che significa aprire fessure in una barca pensando di scavare buche in un giardino» (p. 15). Essi minano il concetto, tutto cristiano e biblico, di «fraternità umana» (p. 18): se posso tradire, letteralmente, la fiducia di mia moglie e dei miei figli per “rifarmi una vita”, come potrò essere fedele ad un amico, alla Patria, al capoufficio, ecc.? Chesterton, che nel suo saggio critica sia il socialismo che il capitalismo come incompatibili con la visione cristiana della famiglia, ritiene che «l’amore libero sia un’eresia» e il divorzio «una superstizione» (p. 24). Oggi quindi siamo sommersi da eretici e superstiziosi!
Questa superstizione fa ritenere l’uomo non libero di legarsi ad alcunché, mentre in realtà, «il patriota può insultare il proprio paese, ma non può tradirlo; lo può maledire con l’intenzione di curarlo, ma non di farlo morire» (p. 26). Il divorzio al contrario è stato quel “via libera” all’uccisione morale, e a volte anche fisica, che moltissimi padri e madri hanno compiuto verso i loro figli. All’uccisione del padre di freudiana memoria, ha fatto seguito l’uccisione del figlio, e la cosa non può stupire: senza paternità infatti non esiste figliolanza.
Come il divorzio è la fuga dall’amore, così il suicidio è la fuga dalla realtà: già ai tempi del Nostro l’aumento parallelo delle due tragedie sociali faceva riflettere (cf. pp. 33ss).
«Il divorzio è per noi, al massimo, un fallimento; dovremmo essere interessati a trovare e a risolvere le sue cause molto più che a portare all’estremo i suoi effetti; invece stiamo perseguendo un sistema che produca molti più divorzi» (p. 35). Parla della Gran Bretagna della prima metà del ’900, ma vale tel quel per l’Italia del XXI secolo. «Il capitalismo è in guerra con la famiglia»; esso «crede nell’associazionismo per se stesso e nell’individualismo per i suoi nemici. Desidera che le sue vittime siano individui o, in altre parole, atomi» (p. 40). La tenuta della famiglia è di evidente rilievo politico e i nemici della Patria e dello Stato (liberali e anarchici, socialisti e nichilisti) sono anche i sabotatori della famiglia.
Sentite: «I maestri della plutocrazia moderna sanno il fatto loro. Non commettono errori […]. Un istinto radicato e ben preciso li ha spinti a individuare nella famiglia l’ostacolo principale al loro progresso disumano. Senza la famiglia siamo indifesi di fronte allo Stato» (pp. 40-41). Così più il mondialismo distruggerà la famiglia, attraverso divorzio, amore libero e “matrimoni gay”, più potrà sfruttare i popoli, ridotti a massa apolide di consumatori senza volto, senza ideali, senza freni inibitori… I plutocrati alla Bill Gates sono di norma avarissimi usurai, eppure donano milioni di dollari per sostenere le campagne malthusiane in favore della sterilizzazione di massa, degli anticoncezionali, del divorzio (breve o istantaneo) e dell’aborto libero. Come mai?
Montesquieu scrisse che «la società ha isolato i suoi membri per governarli meglio, e li ha divisi allo scopo di indebolirli» (cit. a p. 44). Dobbiamo cercare l’unità del popolo, contro la «velenosa e plutocratica società moderna» (p. 61), attraverso tre pilastri di fondamentale portata antropologica: Dio (ovvero la Fede cattolica integrale e senza cedimenti), la Patria (ovvero l’amore del contesto vitale e culturale in cui siamo nati e cresciuti) e la Famiglia (l’ultimo baluardo contro l’omologazione planetaria e la riduzione dei popoli a materiale umano, a numeri, a meri pezzi dell’ingranaggio della globalizzazione e del sistema).
Chesterton, buon profeta, ci guidi in questa lotta sulla via della speranza e sulla via dell’onore!