La Croce quotidiano 31 ottobre 2017
La Prefazione dell’ultimo libro del sacerdote-esorcista è del noto astrofisico Antonino Zichichi
di Giuseppe Brienza
È possibile razionalmente conoscere Dio e credere in Lui? È possibile distinguere il Dio vero dagli idoli che, sotto mille volti, si spacciano per Lui? È possibile riconoscere l’autenticità di un messaggio divino? E, se sì, come? E, infine, è possibile riconoscere il volto enigmatico, suadente e beffardo, dell’Anticristo?
Risponde a tutte queste domande P. Giacobbe Elia, francescano della Fraternità Missionaria Mariana, autore del recente saggio “L’Atteso e l’Anticristo” (Armando Curcio Editore, Roma 2017, pp. 121, €12.90). Un libro che parte da una citazione fondamentale del grande pensatore Blaise Pascal (1623-1662): «Le silence éternel de ces espaces infinis m’effraie» (Pensées, n. 88). Così come il silenzio eterno degli spazi infiniti sgomentava il geniale matematico francese e dovrebbe sbigottire anche oggi ogni scienziato onesto, è altrettanto logico affermare, come fa padre Giacobbe, che «ogni religione che non afferma che Dio è nascosto non può essere vera».
In effetti il fondatore della scienza sperimentale Galileo Galilei soleva ripetere: «Colui che ha fatto il mondo è più intelligente di tutti, filosofi, matematici e fisici messi insieme. E l’unico modo per sapere come ha fatto a crearlo è porgli delle domande». Lui lo faceva cercando «nelle pietre le impronte del Creatore». Questo scopritore del principio d’inerzia, della relatività e delle prime leggi che reggono il creato, afferma il fisico Antonino Zichichi nella Prefazione al testo di P. Giacobbe, «poteva trovare il caos e invece scoprì le prime Leggi Fondamentali che reggono il mondo… Non esiste alcuna scoperta scientifica che possa essere usata al fine di mettere in dubbio o di negare l’esistenza di Dio».
Rispondendo alla prima delle cinque domande poste all’inizio (“è possibile razionalmente conoscere Dio e credere in Lui?”), “L’Atteso e l’Anticristo” pone sul tappeto tre affermazioni che ruotano intorno alla conoscenza (razionale) di Dio:
1) “Noi cogliamo Dio attraverso le sue opere”;
2) “Siamo attratti alle realtà invisibili attraverso le realtà visibili”;
3) “La ragione comprende l’opera di Dio attraverso l’origine e il fine delle cose”.
Padre Giacobbe, che è insieme scienziato (medico) e specializzato in teologia dogmatica nonché primo esorcista incaricato dalla diocesi di Roma dopo il Servo di Dio P. Candido Amantini (1914-1992), cerca di decodificare in modo originale e fondato queste tre questioni.
1) Come conoscere e credere in Dio? Con l’agostiniano “credo ut intelligam, intelligo ut credam”, innanzitutto. Ovvero “credo perché comprendo, comprendo perché credo”. L’autore ripropone quindi, con il suo stile diretto e sintetico, quella sintesi virtuosa tra fede e ragione che è stata demolita dallo scientismo contemporaneo dell’Occidente.
2) “Siamo attratti alle realtà invisibili attraverso le realtà visibili”. Sì è vero ma, allo stesso tempo, perché ciò risulti evidente è necessario riproporre le ragioni dell’incontro tra fede e ragione. Dopo i secoli dell’oscuramento illuminista sulla questione, infatti, occorre argomentare il perché e il percome la scienza non ideologica sia perfettamente in sintonia con la teologia. A meno che la scienza non si trasformi in ideologia, naturalmente, contraddicendo il suo compito essenziale che «scopre la realtà, non la inventa». La realtà, infatti, ribadisce P. Giacobbe, è opera di Dio.
3 ) La ragione non può che comprendere l’opera di Dio, studiando l’origine e il fine delle cose, per lo stesso motivo per cui nessuno scienziato può essere veramente ateo. Scrive padre Giacobbe parafrasando e attualizzando Sant’Agostino: «L’uomo nasce con iscritto nel cuore il desiderio di vedere Dio e anche se spesso trascura questo desiderio, Dio non cessa di attirarlo a sé, perché viva e trovi in Lui quella pienezza di verità e di felicità che cerca senza posa».
Per questo una parte de “L’Atteso e l’Anticristo” consiste in una sorta di inchiesta sulle prove per dimostrare questo processo di “attrazione” dell’uomo a Dio, a partire dalla certezza dei miracoli, in primis la Sacra Sindone, fino alla risposta di Cristo all’evento cruciale della morte, che pone nella giusta distanza dottrinaria il cristianesimo e le altre religioni, per non parlare di quella tra il Vangelo e il laicismo ateo che nega, rimuove l’idea della morte, surrogandola con la volontà di potenza, l’individualismo, il benessere, il consumo, il comfort, le evasioni di massa.
Scrive in proposito P. Giacobbe: «La morte appare come una dura vittoria della specie sull’individuo. È l’eterna lotta tra la mente dell’uomo e la natura (creata da Dio)». Le ideologie del XX secolo con il loro immanentismo radicale hanno nuovamente cercato di sradicare dal cuore degli uomini l’interrogativo originario sul loro destino finale. Ma esse si sono basate su «una visione precostituita del mondo», mistificando con il terrore la realtà stessa.
«L’ideologia ama l’umanità astratta che si uniforma al suo schema – afferma P. Giacobbe –, ma odia l’uomo concreto con i suoi bisogni naturali, la sua infermità e la sua morte. Non è un caso che l’ideologia ami le uniformi e odi la Chiesa di Cristo. L’ambiente delle ideologie di ogni colore è l’ateismo». Ecco quindi spiegata la battuta del filosofo marxista Anatolij V. Lunacarskij (1875-1933): «Se i fatti non ci danno ragione, peggio per i fatti».
E sempre “in materia” di morte, padre Giacobbe entra ulteriormente nel merito per distinguere “la morte come illusione”, “la morte come valore” e “la morte come problema”.
La morte come illusione riguarda il monismo, sia nella versione spiritualista, sia naturalista tipica del buddismo e dell’induismo, propalando«che l’individualità, la vita sono illusioni. E pertanto pure la morte. La reincarnazione è una punizione, non un premio, l’anima passa da un corpo all’altro per purificarsi di colpe commesse in vita. Ma se la vita e l’uomo sono illusioni che senso ha purificarsi? Il fondo di questa fede è la dottrina del non-sé che si oppone all’esistenza di un Dio personale, creatore del mondo, che si fa carne. È una mera auto-trascendenza alienante».
La “morte positiva”, invece, la troviamo secondo P. Giacobbe nell’Islam:«Non è frutto, come per la cultura giudaico-cristiana del peccato originale, ma è una creatura di Allah, fa parte del suo piano provvidenziale. Questa considerazione rassegnata della vita e della morte giustifica il fatto che l’Islam intende il suo paradiso non come godimento della visione beatifica di Dio, ma come un risarcimento che comporta l’appagamento smodato del piacere dei sensi (le vergini donate). Allah non riconosce la libertà, né il libero arbitrio degli uomini, e l’Islam insegna che la ragione umana non può dire nulla riguardo Allah, perché egli può essere conosciuto soltanto con la fede».
Infine la morte come un problema. Che nasce dalla concezione del peccato originale propria della Rivelazione giudaico-cristiana: «Dio nel suo disegno originario non aveva concepito la morte. È entrata nel mondo per invidia del diavolo. Dio è amore, non morte. Solo il cristianesimo ha posto e risolto il problema del male e della morte aprendoci alla grazia di Cristo, senza la quale nessuno può trovare la via della Risurrezione. L’uomo sa che nessuno può cancellare il male, ma sa pure che è possibile contenerlo vivendo secondo Cristo».
In conclusione, Padre Giacobbe in questo libro ci conduce per mano in un percorso di riavvicinamento fra scienza e fede, una sorta di iniziazione spirituale. La domanda finale e riassuntiva delle sue argomentazioni è: “Come possiamo riconoscere l’autenticità di un messaggio divino e di colui che lo porta?”. La risposta l’Autore ladà elaborando uno schema incontrovertibile:
1) “chi è venuto a parlarci di Dio e di vita eterna deve essere stato preannunciato da Dio con profezie”;
2) “deve essere munito di prove evidenti e soprannaturali, essendogli stata affidata una missione universale di portare agli uomini la conoscenza di Dio”;
3) “il suo insegnamento non deve essere contrario alla ragione umana”.
Da questo schema discende il segreto e il mistero che svela l’Atteso, cioè Gesù Cristo, il liberatore dell’umanità e il redentore del cosmo.
E per quanto riguarda invece l’Anticristo? A questo tema è dedicato l’ultimo capitolo del libro di P. Giacobbe, che approfondisce il ruolo, il dna e la missione del demonio nel mondo. Se esiste fisicamente il bene, infatti, esiste anche fisicamente il male. Per svelare il Nemico dell’uomo padre Giacobbe offre ai lettori, ricorrendo a tutte le fonti delle Sacre Scritture, un altro schema per smascherare la natura e l’opera del diavolo. Schema che può essere racchiuso in questo “identikit” dell’Anticristo: «Si diffonde con lo spirito che agisce nei figli della ribellione, gli uomini che hanno rifiutato il Vangelo. Uno spirito diabolico che crea nel mondo un’atmosfera spirituale attraverso la quale penetra nelle coscienze diventando un modo di sentire e di pensare. È un’ideologia alla quale l’uomo tende a conformarsi, fino a ritenere folle chiunque la contraddice. Così attraverso un’informazione politicamente corretta e religiosamente scorretta, il Principe di questo mondo, aggredisce il nostro pensiero e la nostra libertà, rendendoci suoi servi infelici».
Non è questa la dittatura del pensiero unico laicista oggi marciante con il gender e con l’azione della lobby Lgbt? Sembra di sì. Non può che essere Nemico dell’uomo colui che accetta e propaganda l’imposizione anti-naturale dell’ideologia dell’indifferenziazione sessuale, che vorrebbe che il padre non sia più colui che genera e la madre colei che partorisce e che i figli. Che i bambini si possano comprare e vendere secondo il principio che ogni desiderio deve diventare un diritto.
«Stiamo parlando della cultura di morte– conclude P. Giacobbe – che con parole buoniste e compassionevoli si sta affermando con legislazioni liberticide contrarie al diritto naturale (eutanasia, adozioni gay, unioni civili, divorzi lampo, matrimoni egualitari, liberalizzazione delle droghe etc.)».
Ma il volto dell’Anticristo come si rivela oggi? Ricorrendo al noto Vladimir S. Solov’ev, divulgato in Italia dal cardinale Giacomo Biffi, la risposta che “L’Atteso e L’Anticristo” dà ritorna sempre alle tre grandi “direttive d’indagine” formulate del pensatore russo:
1) “L’Anticristo dice che il futuro sarà felice, è un convinto spiritualista (non un materialista), crede nella pace, nella prosperità universale”;
2) “Ritiene che Cristo sia il suo precursore. E se Cristo ha diviso gli uomini secondo il bene e il male, lui li unirà con i benefici che sono ugualmente necessari ai buoni e ai cattivi”;
3) “È un buon comunicatore che si presenta come un uomo mite, comprensivo, tenero, amante del bene. È un pacifista, ecologista ed ecumenista”.
Insomma (ecco la lettura religiosamente scorretta), il demonio non si presenterà come un materialista, ateo, che combatte la religione, ma come la bandiera di un cristianesimo senza Cristo. Il male non è il contrario del bene, ma un bene deviato.«L’Anticristo – ha scritto Solovev – sarà convinto spiritualista, un ammirevole filantropo, un pacifista impegnato e solerte, un vegetariano osservante, un animalista determinato e attivo».
Facciamo i nostri conti…