Abstract: l’attivismo Antifa ha fatto propria la cultura woke e si impegna a reprimere tutto ciò che identifica col potere dei gruppi dominanti, in tal modo resuscitando e sostituendosi all’autoritarismo fascista che ormai dopo cento anni dovrebbe essere lasciato al solo ambito della ricerca storica
Atlantico 31 Ottobre 2022
La teoria del “fascismo eterno” e la cultura woke
alla base degli Antifa
Scopo dell’attivismo basato sulla cultura woke è identificare e reprimere tutto ciò che ritiene espressione del potere dei gruppi dominanti, che chiama “fascismo”
di Fabrizio Borasi
Esattamente un secolo fa lo Stato italiano, primo tra tutti in Europa (triste primato), inizialmente di fatto e poi anche di diritto finì in mano al regime fascista il quale, iniziato con i toni quasi trionfalistici della “marcia su Roma”, finì miseramente con la tragedia della Seconda Guerra Mondiale e le violenze della guerra civile, soprattutto a causa della alleanza subalterna con la Germania di Hitler.
Nel complesso, come tutti i regimi dittatoriali di massa si può dire che ha portato lutti e rovina alla popolazione che aveva la pretesa di governare.
Questo non toglie che, come gli storici imparziali (su tutti ovviamente Renzo De Felice) hanno contribuito a mettere in evidenza, alcune realizzazioni del regime siano state positive (in campo urbanistico, sociale, finanziario e previdenziale) e che, nel complesso, lo Stato guidato da Mussolini possa essere definito più uno stato “autoritario” (gestito e dominato, ma non annullato al partito guida) che non uno stato “totalitario”, quali furono quello nazista e quello sovietico, dove il partito si era sostituito alle strutture pubbliche, eliminando la loro stessa ragion d’essere.
Cent’anni dopo la presa di potere da parte del fascismo, il dibattito sul ventennio e le sue eredità dovrebbe essere lasciato essenzialmente alla ricerca storica e solo in base ad essa si dovrebbero eventualmente valutare le continuità e le analogie con la realtà attuale, così come ad esempio si può accusare qualcuno di mentalità “giacobina” o di concezioni “controriformistiche”, ben sapendo che con ciò si fa un paragone analogico con una realtà storica ben precisa.
La concezione “metafisica” del fascismo
Recentemente però si è molto diffusa una mentalità quasi “religiosa” che vede nel fascismo una realtà “metafisica”, una sorta di male “eterno” da sempre e per sempre diffuso nel mondo e nelle diverse società che spesso si nasconde sotto apparenze innocue e che spetterebbe a tutti gli uomini amanti della libertà e della democrazia identificare e combattere in una sorta di lotta perpetua contro il potere delle tenebre.
Da questa mentalità derivano non solo giudizi storici non corretti che identificano il regime mussoliniano appunto con questo “male assoluto” (persino il presidente Mattarella ha ripreso questa tesi), ma anche valutazioni politiche che senza curarsi né di un confronto oggettivo con la realtà storica, né del contenuto reale delle opinioni altrui, demonizzano moralmente e cercano di condannare giuridicamente non solo delle idee “nostalgiche” discutibili, ma da tollerare in uno stato democratico, ma anche degli studi argomentati ed approfonditi sul fascismo che hanno il solo torto di non usare dei toni “manichei” nella loro condanna della dittatura.
Com’è noto, questa concezione “metafisica” del fascismo è stata fatta propria da uno dei maggiori intellettuali italiani degli ultimi decenni, Umberto Eco, che ha parlato addirittura di ur-fascism, intendendo con questo termine che il fascismo è una sorta di idea platonica eterna e malvagia che si è incarnata nel regime di Mussolini e che sempre continua ad incarnarsi nelle più varie manifestazioni politiche e sociali, che ovviamente sono da identificare e da reprimere.
La cultura woke
Alla base delle concezioni che vedono nel fascismo non un fenomeno storico ma un male eterno sta la cosiddetta cultura woke, sviluppatasi negli Stati Uniti a partire dagli anni ’90 e che negli anni dieci ha preso decisamente piede, sia pure per fortuna ampiamente contrastata.
Una cultura, come dice il termine, propria dei “risvegliati” (si noti l’assonanza religiosa del termine) e come tali capaci di cogliere il senso autentico della realtà sociale e grazie questa nuova consapevolezza di porre fine alle ingiustizie in essa presenti.
Alla base di questa cultura sta a sua volta la riflessione filosofica cosiddetta postmodernista, sviluppatasi in Francia tra gli anni ’60 e gli anni ’80, che ha avuto per protagonisti pensatori quali Michel Foucault, Jacques Derrida, Jean-François Lyotard: da quest’ultima dobbiamo partire, e in particolare da due principi portati avanti nell’ambito della stessa, che sono fondamentali per capire la concezione del fascismo come male assoluto e “metafisico”.
Il primo riguarda la teoria della conoscenza e afferma che non esiste una verità oggettiva e che tutte le opinioni, scientifiche, storiche, politiche ecc. stanno sullo stesso piano: nessuno spazio è lasciato al confronto critico – razionale di tipo liberale – illuminista tra posizioni diverse finalizzato a giungere ad una conoscenza comune delle cose, provvisoria, soggetta a verifica (o a falsificazione), ma idonea a stabilire una verità tendenzialmente condivisa da tutti sino a prova contraria.
Il secondo riguarda la teoria politica ed afferma che tutte le forme di linguaggio e di comunicazione tra gli uomini sono il frutto di rapporti di potere tra soggetti dominanti e soggetti oppressi che distorcono l’uso delle parole anche oltre la volontà di chi tali parole usa, di modo che solo criticando con un’opera “decostruttiva” il linguaggio e i rapporti di comunicazione si può mettere a nudo questo potere che opprime, il quale secondo le concezioni postmoderniste, è inevitabilmente legato a tutte le forme umane di socialità in tutte le epoche storiche.
Queste concezioni teoriche che di per sé non sono del tutto infondate, ma che colgono solo l’aspetto negativo e le inevitabili imperfezioni dei rapporti umani e sociali, originariamente ristrette agli ambienti accademici, sono state calate nella pratica dell’attivismo politico woke a partire dagli anni ’90 negli Stati Uniti per avanzare pretese e lanciare condanne a favore di gruppi di persone a torto o a ragione considerate in qualche modo vittime di un potere che opprime.
Le verità degli oppressi
Vediamo in estrema sintesi (a chi fosse interessato ad un’analisi completa della materia suggerisco il recente libro “Cynical theories”, scritto nel 2020 da Helen Pluckrose e James Lindsay) come i due principi teorici della filosofia postmoderna sono stati applicati alla pratica dell’attivismo politico e come essi sono diventati i principi dominanti della cultura woke, il che ci consentirà anche di comprendere su quali presupposti si basano le concezioni di coloro che considerano il fascismo una realtà “eterna”.
Per quanto riguarda la teoria della conoscenza, basandosi sul presupposto che una verità universalmente condivisa non può esistere, sono state valorizzate le diverse verità soggettive dei diversi gruppi sociali considerati vittime di oppressione, ad esempio quella dei popoli non occidentali, degli afroamericani, degli omosessuali, dei transgender, dei queer ecc., con l’importante precisazione che solo chi condivide la cultura “woke” può comprendere in maniera “autentica” i sentimenti e quindi le verità degli oppressi.
Tali non sono ad esempio gli afroamericani che sull’esempio di Martin Luther King jr. sostengono che il colore della pelle non deve contare nulla quando si parla dei rapporti sociali e o politici. Inoltre, ciascuna di queste diverse verità non è soggetta ad una verifica oggettiva basata sulla ricerca empirica, sul ragionamento critico e sul dialogo, ma trova il suo limite solo nell’eventuale al conflitto con la verità di altri gruppi.
Chi è ritenuto “autenticamente” più oppresso ha la prevalenza, di modo che la persona di colore può criticare il bianco, ma non l’omosessuale, quest’ultimo può criticare la società occidentale, ma non le culture diverse che l’omosessualità la condannano (quasi sempre in senso penale), e così via.
Il potere dei gruppi dominanti
Quanto alla teoria politica postmoderna, il potere onnipresente che distorce il linguaggio e opprime i gruppi svantaggiati, è stato di volta in volta identificano con la cultura occidentale (compresa ahimè la scienza moderna), con la cultura dei bianchi, con quella degli eterosessuali, o delle persone cosiddette “normali” dal punto di vista degli atteggiamenti estetici e dei rapporti affettivi, ecc.
Date queste premesse, lo scopo dell’attivismo politico basato sulla cultura woke è diventato sempre più quello di identificare e di reprimere tutte le espressioni di pensiero e tutti gli atteggiamenti sociali ritenuti incarnazione dei diversi aspetti del potere opprimente dei gruppi dominanti (degli occidentali, dei bianchi, degli eterosessuali, ma anche degli omosessuali verso i transgender ecc.), un potere “metafisico” ed eterno contro le cui manifestazioni l’attivismo deve sempre combattere.
Gli Antifa
Culmine e sintesi di queste idee sono le concezioni antifasciste (o antifa), originariamente anch’esse nate negli Stati Uniti, che in sostanza generalizzano le diverse impostazioni per così dire “settoriali” (razziale, sessuale ecc.) della cultura woke e chiamano “fascismo” il potere malvagio eterno ed onnipresente nella società che attraverso il linguaggio e gli atteggiamenti sociali opprime i gruppi svantaggiati in generale.
Nella sua trasposizione italiana queste concezioni hanno portato facilmente a bollare il ventennio come un manifestazione del male “assoluto”, senza tenere conto che con ciò si finisce paradossalmente per non criticare a fondo dal punto vista storico e politico il fascismo italiano indicandone nello specifico e quindi con maggior cognizione di causa, la aberrazioni e i fallimenti (l’autoritarismo clientelare, la retorica senza responsabilità, l’aberrazione del legame con la Germania nazista che portò alle leggi razziali e alla guerra ecc.).
E non si fa un buon servizio alla causa della democrazia liberale, dato che la prima regola per combattere il male è quello di identificarlo e valutarlo in maniera precisa.
Metodi autoritari
In secondo luogo, la mancanza dal punto di vista della teoria politica di un criterio di giudizio su cui basare le valutazioni sull’uso inevitabile (e non sempre solo oppressivo) del potere pubblico nei rapporti sociali porta paradossalmente ad usare metodi propri dei regimi autoritari (come fu quello di Mussolini), con effetti distruttivi per i diritti individuali e per i rapporti sociali che ogni persona che si ispiri ai principi liberali e democratici dovrebbe condannare.
Si pensi alle proposte di perseguire penalmente l’uso dei gadget o dei calendari con la foto del duce; si pensi alla rimozione (secondo i principi della cancel culture, un aspetto sconcertante delle cultura woke) dei nomi di personaggi e di opere urbanistiche del ventennio dagli spazi pubblici.
Tutte cose che non fanno onore a chi vorrebbe combattere l’autoritarismo, perché il metodo migliore per farlo consiste prima di tutto nel comportarsi in maniera diversa, dato che ogni atto di autoritarismo si pone in analogia con il regime ventennale e in parte ne riprende lo spirito.
Il fascismo è stato uno dei più grandi mali (anche se non un male assoluto) che hanno colpito la vita pubblica italiana, ma per far sì che nuove forme di autoritarismo non prendano piede la via non può che essere quella della valutazione razionale di tipo empirico che deve guidare sia il giudizio storico sul ventennio, sia le valutazioni e le scelte politiche concrete finalizzate a condannare l’autoritarismo.
E tale valutazione non può che basarsi sui principi critici (anche autocritici) della cultura liberal–illuminista che rappresenta il migliore antidoto ai “dogmi” di destra e di sinistra, compresi quelli propri della cultura “antifa”.
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