Abstract: la transizione ecologica l’hanno fatta i monaci del Medioevo. Il primo codice forestale è di Romualdo, il monaco benedettino che fondò l’ordine dei camaldolesi. La prima regola era la cura e il rispetto dei boschi ma la coscienza cristiana è alla base del genio anche tecnologico, dello scoprimento delle leggi del Creato e della loro rispettosa messa al servizio dell’uomo. Ancora oggi tecniche “medievali” sono esportate nei paesi in via di sviluppo
Libero 21 Gennaio 2023
La transizione ecologica? L’hanno fatta nel Medioevo
Il primo Codice forestale è di Romualdo, il monaco benedettino che fondò l’ordine dei camaldolesi. La prima regola era la cura e il rispetto dei boschi
di Marco Respinti
Jean Gimpel (1918-1996) è uno degli eroi poco celebrati della scienza e della cultura contemporanee. Certo, un nucleo di specialisti lo conosce, ma meriterebbe di più. Medievista di Parigi che ha concluso l’avventura terrena a Londra, ha contribuito a riaccendere (per dirla con una sua collega, Regine Pernoud,-1998) la luce sul Medioevo,
Cioè sul cosiddetto «Medioevo» (la Pernoud diceva che si dovrebbero usare sempre le virgolette), adombrato sin dalla Riforma protestante da nubi fitte che l’Illuminismo ha trasformato in pioggia acida. Il «Medioevo» sarebbe cioè il concentrato di ogni grettezza e perversione, un’«epoca buia» di barbarie. Ma non è così. I mezzi intellettuali non solo per dimostrare l’infondatezza di questo assunto, ma anzitutto per illustrare l’esatto contrario oggi infatti abbondano. Eppure la «leggenda nera» sopravvive a se stessa.
Ora, Gimpel ha sbugiardato menzogne e pusillanimità, addirittura mostrando come la nascita della tecnologia moderna vada di molto anticipata. Lo ha fatto soprattutto pubblicando nel lontano 1975 il libro La révolution Industrial du Moyen Age (Seuil), ancora incredibilmente non tradotto benché addirittura il campione gallese della giallistica best-seller, Ken Follett, si sia ispirato a Gimpel e per scrivere la sua opera più nota, I pilastri della terra, del 1989, si sia avvalso della sua consulenza.
Non solo. Lo storico transalpino ha persino dimostrato quanto anche indiscutibilmente geniale, è indiscutibilmente rinascimentale, Leonardo da Vinci sia debitore del «Medioevo», in particolare di Villard de Honnecourt, artista tanto importante quanto misconosciuto della Piccardia del secolo XIII. A lui Gimpeintitolò un gruppo di studio dedito al tracciamento dei progressi dei «secoli bui»: l’ Avista Association Villard de Honnecourt for the Interdisciplinary Study of Medieval Science, Technology and Art di Kalamazoo, una cittadina di circa 70mila abitanti nel Michigan nordamericano, luogo di nascita della mitica chitarra elettrica Gibson, sede vescovile cattolica e casa dell’International Congress on Medieval Studies che da una sessantina d’anni raduna ogni maggio nella Western Michigan University migliaia fra professori, studiosi e studenti.
L’Avista (che esiste ancora) Gimbel la fondò nel 1984 assieme a un altro grande nome della medievistica, lo statunitense Lynn T. White jr (1907-1987), uomo di grandi intuizioni e di un paio di tesi controverse la prima nasce nel libro Medieval Technology and Social Change, del 1962, e sostiene che l’introduzione della staffa nelle selle della cavalleria del secolo VIII determinò la superiorità dei Franchi sulle armate moresche fermate a Poitiers nel 732, fondando di fatto il regime feudale e spingendo il sovrano merovingio Carlo Martello a confiscare le terre ecclesiastiche a vantaggio dei propri compagni d’arme.
La seconda origina da un saggio pubblicato nel marzo 1967 sul prestigioso Science, ossia The Historical Roots of Our Ecological Crysis in cui Lynn sostenne anch’egli che il «Medioevo» fu altamente tecnologico, ma che proprio per questo sfrutto inopinatamente l’ambiente. La colpa sarebbe peraltro tutta del cristianesimo, giacché sin dal libro della Genesi l’uomo è fatto da Dio signore alias sfruttatore della natura.
La Tecnologia
Curioso perché il suo amico e collega Gimpel afferma il contrario, dicendo che proprio la coscienza cristiana è alla base del genio anche tecnologico, dello scoprimento delle leggi del Creato e della loro rispettosa messa al servizio dell’uomo. Del resto, fra le tante iniziative, il curriculum di Gimpel annovera anche la creazione del Models for Rural Development di Londra, un istituto per l’assistenza ai popoli nei paesi in via di sviluppo, proponendo tecniche specificamente «medioevali» poiché semplici, poco costose e più sostenibili.
E lo storico francese non doveva nemmeno sforzarsi molto per dimostrare che la tecnologia dal volto umano dell’uomo medievale non fosse affatto anti-ecologica. Il primo Codice forestale della storia si deve al Monaco benedettino ravennate San Romualdo (951/953-1027). L’ordine dei frati camaldolesi, nel Casentino, di cui fu il fondatore fece dell’amministrazione meticolosa dei boschi un tratto caratteristico, lasciandoci un patrimonio oggi riconosciuto internazionalmente e in fase di studio persino all’Unesco.
La regola dell’ordine, infatti, prima orale e poi messa per iscritto dal beato Paolo Giustiniani (1476-1528), superiore generale di Camaldoli, per essere stampata nel 1520, prescrive che i monaci «habbiano grandissima cura et diligenza, che i boschi, i quali sono intorno all’eremo, non siano scemati, ne diminuiti in niun modo, ma più tosto allargati, et cresciuti».
Quindi i frati «procurino […] con diligente cura, che per ogni modo, si piantino ciascun anno, in luoghi opportuni, et vicini all’eremo, quattro o cinque mila Abeti», i quali «non siano, né tagliati, né offesi, o vero guasti in alcun modo» e si attenda «alla cura, et custodia de gl’Abeti».
Ambientalisti sfasciatutto pauperisti della domenica e addetti alla transizione ecologica sappiano che il Codice salva alberi dei camaldolesi lo si compera tranquillamente in libreria anche nel 2023.
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