di Antonio Giuliano
Che in alcune messe da tempo il canto più gettonato sia quello di Claudio Baglioni, colonna sonora di “Fratello Sole Sorella Luna” di Zeffirelli, o che in alcune parrocchie cattoliche la liturgia sia scandita dagli assoli di chitarra elettrica e in taluni casi dai rullanti della batteria, ormai non è una novità. Fa riflettere però che in questi anni non siano stati fatti passi concreti per arginare la trascuratezza dei canti delle celebrazioni e gli abusi liturgici.
Musicista e compositore, da anni monsignor Miserachs denuncia la sciatteria in voga nelle liturgie che penalizza in modo particolare l’antica e nobile tradizione del canto gregoriano, «ormai ignorato».
Eppure sembra che ci sia una sensibilità maggiore sul tema. Di recente è uscito anche un bel libro La musica nella liturgia di Marco Ronchi (Lindau, pp. 154, euro 15) che offre una serie di indicazioni pratiche per invertire la rotta…
Ma purtroppo la situazione non cambia. È significativo che anche i giornali laici ormai facciano una diagnosi reale del problema: in troppe chiese si ascoltano canti non adatti alla liturgia, per il testo e per la musica. Predominano strimpellamenti di chitarre e ritmi frenetici. L’ho ripetuto migliaia di volte… La verità è che da anni nei seminari non si parla di musica sacra e direi nemmeno di musica. La formazione musicale è considerata un optional. E questo spiega la scarsa sollecitudine dei sacerdoti.
Ma la Chiesa ha sempre avuto questa preoccupazione: i documenti non mancano.
Certo, già il motu proprio di san Pio X, Tra le sollecitudini, nel 1903 intendeva replicare agli stessi abusi di oggi: allora ad entrare nelle chiese era la musica operistica a cui si appiccicava poi un testo sacro. Oggi invece è la musica pop… Poi abbiamo avuto l’enciclica di papa Pio XII Musica sacrae disciplina e il Concilio Vaticano II con la normativa sulla musica sacra che in realtà riaffermava la Tradizione e ammetteva una certa creatività, ma nella pratica ha finito per essere interpretata male. In occasione del centenario del motu proprio di san Pio X anche Giovanni Paolo II nel chirografo Mosso dal vivo desiderio ha ribadito le norme in materia. Peccato però che son rimaste tutte pie esortazioni, nonostante la sensibilità di Benedetto XVI.
Che cosa si dovrebbe fare allora in pratica?
Ci vuole un organismo di vigilanza. Molti si rivolgono a noi per segnalarci abusi. Ma il Pontificio istituto di musica sacra è deputato alla formazione, siamo una scuola di specializzazione del Vaticano. Noi possiamo solo predicare con l’esempio. Compito nostro è quello di formare musicisti: 140 alunni provenienti da ogni parte del mondo, il 60 per cento sono laici. Manca invece un organismo che faccia applicare le norme. La Congregazione del Culto dovrebbe intervenire.
Quali sono i canti poco raccomandabili in chiesa?
Bisogna innanzitutto distinguere la musica da ciò che non lo è. Poi occorre sempre ricordare che non tutta la musica sacra va bene per la liturgia: come ad esempio il Requiem di Brahms, o le Cantate di Bach nate per il culto protestante. Ma anche l’Ave Maria di Schubert è una canzone di ispirazione religiosa, ma non liturgica. Il guaio però è che negli ultimi decenni si sono affermati canti i cui testi spesso non sono sacri ed esprimono una vaga religiosità. E nei ritmi scimmiottano la musica leggera…
C’è anche un abuso di strumenti nella liturgia?
Ma in realtà già la Musicae sacrae disciplina suggeriva altri strumenti non “rumorosi”, come il violino o quelli ad arco, che possono accompagnare le celebrazioni insieme con l’organo. Anche un quintetto di ottoni sarebbe magnifico purché siano complementari e non sostitutivi dell’organo che rimane lo strumento principe nel sostenere e integrare la voce. Non si tratta di un pregiudizio verso altri strumenti: ma l’organo con il suo suono continuativo si adatta meglio. Non è così per il pianoforte e la chitarra che hanno bisogno di un ritmo percussivo… Figurarsi poi la batteria. Per carità, anche la chitarra suonata bene è uno strumento stupendo, ma poco adatto alla liturgia. Poi è vero che ci sono delle liturgie orientali o africane che si avvalgono delle percussioni, ma rientrano nella loro cultura.
Il suo cruccio più grande è da sempre il canto gregoriano. È sempre così pessimista sul suo recupero?
Sì. Non vedo la volontà di riportarlo in auge come suggeriscono tutti i documenti della Chiesa. Il gregoriano ha caratteristiche imbattibili: il rispetto assoluto del testo per cui la melodia nasce unicamente per sostenerlo. Infatti il gregoriano ha una libertà ritmica che segue la dinamica della parola. Dal X secolo ad oggi sono migliaia i pezzi disponibili.
Ma vedo che ormai si fa di tutto per far dimenticare anche la celebre “Messa degli angeli”… Si adducono scuse risibili come il latino, quando esistono le traduzioni in italiano, e comunque sarebbe un’opportunità rispolverarlo o impararlo. E il gregoriano non è affatto difficile da apprendere: i miei allievi nigeriani l’hanno esportato in Africa e mi dicono che nelle celebrazioni si commuovono…
Ma la musica “moderna” non può essere uno strumento di evangelizzazione?
Mi fanno tenerezza tanti giovani che suonano in chiesa, perché sono animati da buona volontà. Purtroppo nessuno ha mai insegnato loro la grande polifonia sacra o il canto gregoriano. Esiste anche un volume “Celebriamo cantando”, che offre un repertorio dignitoso di canti in italiano. Canti in cui l’assemblea non deve per forza cantare tutto. Deve anche saper ascoltare la corale. Il problema è che non esistono persone qualificate per trasmettere il nostro patrimonio.
Per questo ho da tanti anni auspicato la creazione di un organismo pontificio, ma senza risultati pratici. Anni e anni di conferenze in giro per il mondo, ma nessun riscontro. Eppure son convinto che se creo un coro di giovani e faccio conoscer loro il gregoriano, si gaserebbero subito. Perché i giovani ti seguono quando sono coinvolti in progetti di qualità. La bontà oggettiva del gregoriano si impone da sé e non è vittima delle mode musicali del momento.