di Romana Mercadante di Altamura
Dopo i fatti di Black Lives Matter, può una persona di colore, negli Stati Uniti, essere ancora repubblicana, conservatrice, oggi? “Loro”, gli altri, the others, vorrebbero di no, ma per fortuna, un po’ in tutto il mondo ci sono ancora giornalisti, opinionisti, politici e intellettuali sull’altra sponda della rive gauche che non si lasciano zittire e intimidire dalla propaganda basata sulla strumentalizzazione del colore della pelle e dalla violenza che è stata sotto gli occhi di tutti e stenta ancora a spegnersi.
Nella narrazione left della contemporaneità alla quale stiamo assistendo a oltranza e quasi senza contraddittorio, si sta facendo strada un folto movimento di opinione che vuole riappropriarsi della storia e combattere questo neo-revisionismo distruttivo di eventi e momenti che hanno creato il percorso delle nazioni civili degli ultimi seicento anni.
L’idea è quella di cancellare la cultura della cancellazione, un “cancel the cancel movement” e non è male come idea.
Abbiamo assistito all’ignoranza di massa che rivendica senza sapere cosa, sfociare nell’imbrattamento e distruzione di statue e simboli che possano anche lontanamente rappresentare privilegi e discriminazioni, più o meno visionarie, in saccheggi ad opera di fantocci senza alcuna ideologia se non quella del cavalcare il caos per il proprio tornaconto.
Increduli, abbiamo assistito a interi manipoli di manifestanti – più o meno delinquenti – che pontificavano di schiavitù senza nemmeno sapere che fu il Partito repubblicano ad abolirla con il tredicesimo, il quattordicesimo e il quindicesimo emendamento siglati da Lincoln, nonché a estendere cittadinanza e voto agli ex schiavi.
Mentre da una parte i protesters beatamente ignorano, e i media ci propinano sempre le stesse facce dei paladini dei diritti di chi si sente in qualche modo defraudato di qualcosa dalla società e dalle istituzioni e costruiscono a tavolino personaggi mediatici che di per sé varrebbero poco – come Alexandria Ocasio Cortez, esaltata a rullo continuo anche in Italia su tutti gli organi di stampa come se esistesse solo lei – dall’altra stanno nascendo, esistono, altre personalità che faranno la differenza tra l’arrendersi al pensiero dominante imposto e il proporre delle alternative ragionate.
Una di queste è Candace Owens, una giovane conservatrice, nera, classe 1989, esperta di comunicazione e conduttrice di un seguitissimo programma online, The Candace Owens Show, che di recente in un’audizione al Congresso ha detto una delle tante cose scomode che questa ragazza dice, mandando in tilt i media americani: “Non c’è colore della pelle nell’essere patrioti, americani e patrioti”.
La Owens punta l’indice sul fatto che il 93 per cento delle vittime di omicidio negli Usa sono uccise da neri, tuona contro la strumentalizzazione del nascere neri per potersi “guadagnare attenzione e un posto al sole nella società frignando come poppanti”, e argomenta che il solo fatto di nascere neri per troppi americani è ancora come possedere un lasciapassare giustificativo di ogni invidia sociale e lavorativa.
Questo, secondo lei, nel percorso politico modellato dai Democratici equivarrebbe ad un’autorizzazione ad essere messi prima degli altri, di tutti gli altri. Poi, intervistando un imam, riesce addirittura a farsi dire che nella legge della Sharia c’è una componente di omicidio tollerata. Apriti cielo!
Ma il suo vero cavallo di battaglia è l’assunto che la sinistra democratica utilizzi il razzismo per controllare e sottomettere la popolazione afroamericana, e che la Cnn e altri media liberal sono canali razzisti ai cui attacchi bisogna reagire e dal cui racconto indirizzato ed edulcorato non bisogna farsi “coccolare”.
È facilmente immaginabile il motivo per cui ai media mainstream questa tenace signorina sia ancora pressoché sconosciuta. Eppure, dal palco del Tpusa Young Black Leadership Summit alla Casa Bianca, le cui dichiarazioni e immagini vengono riprese da tutte le major ma sembrerebbero essere rimaste in suolo americano, ci ricorda che abbiamo diritto di dissentire, di raccontare un’altra versione della favoletta, che rimuovere le origini di una società è un suicidio morale oltre che storico e che non dobbiamo avere paura di parlare, di opporci, di ragionare sul fatto che un’altra visione è possibile, che invece di prendere a modello i rapper e i giocatori di basket e i loro eccessi è sempre possibile seguire esempi più edificanti e, soprattutto, studiare di più.
In conclusione, la sinistra americana vuole tenere viva la ferita del razzismo per potersi ergere a paladina dell’oppressione anche laddove oppressione non c’è, perché “l’America non è mai stata meno razzista che in questo preciso momento storico”.
E probabilmente il mondo non è mai stato meno razzista di oggi, ma esiste un problema culturale, di ignoranza, nella popolazione nera degli Stati Uniti. Idee su cui riflettere, che dovremmo “esportare” e su cui dovremmo discutere.