di Piero Sinatti
Decisi e massicci interventi di reparti antisommossa (OMON), accompagnati da fermi e arresti di centinaia di persone, compresi noti dirigenti politici (quasi tutti rilasciati immediatamente) le “marce dei non consenzienti” contro “il regime di Putin”, organizzate sabato a Mosca e domenica a San Pietroburgo dalla coalizione anti-putinista extraparlamentare ”Altra Russia”.
“Rivoluzione colorata” in Russia ?
“Altra Russia” (che ha influenti referenti all’estero, specie in USA) si propone di provocare in Russia, attraverso azioni di piazza, movimenti simili a quelli che in passato hanno dato origine alle vittoriose (quanto fallimentari) “rivoluzioni colorate” in Georgia, Ucraina e Kyrgyzstan.
Per la prima volta si sono uniti ad “Altra Russia” due partiti ammessi al voto del 2 dicembre prossimo: la liberale “Unione delle Forze di Destra” – SPS, capeggiato da Nikita Belykh e dall’ex-vicepremier eltsiniano Boris Nemtsov e il partito liberaldemocratico “Jabloko” guidato dall’economista ed ex-deputato Grigorij Javlinskij.
Se a Mosca i partecipanti sono tra le due e le tremila persone, a San Pietroburgo supervano di poco il migliaio.
La protesta, a una settimana dal voto, era indirizzata contro le leggi restrittive che regolano le elezioni; la candidatura di una personalità “super partes” come il Presidente nelle liste del “partito del potere” “Russia Unita”; l’uso dei media e delle strutture pubbliche schiacciantemente a favore di Putin e di “Russia Unita”.
Un autogol per Putin Motivo formale dell’intervento è stata la mancata accettazione da parte dei “non consenzienti” delle modalità e dei luoghi indicati dalle autorità, secondo le norme che disciplinano le manifestazioni pubbliche in periodo elettorale.
Sostanzialmente, tuttavia, si tratta di un grave autogol di Putin.
Un Presidente cui i sondaggi prevedono un consenso oltre il 60-70 % dei voti, quasi un referendum, a favore suo e del partito in cui si candida, non dovrebbe ricorrere alla forza per reprimere manifestazioni che coinvolgono esigue e isolate minoranze. Della cui esistenza, per giunta, si preoccupano molto più media e politici occidentale che non i russi.
Putin ha voluto dare una dimostrazione di forza, seguendo un antico riflesso condizionato autoritario.
E non ha giovato alla sua immagine di leader che ha decisamente concorso alla ripresa e alla stabilità del suo paese, un uso dei media pubblici – le TV soprattutto – che mentre dilatava a dismisura un’informazione favorevole a lui e a “Russia Unita”, denigrava e ridicolizzava quotidianamente gli avversari.
Tensioni alla vigilia del voto
Tuttavia, sono indubbi la tensione e il nervosismo con cui il Presidente sta affrontando la fase finale del voto, di cui drammatizza il significato e la portata.
Nell’aggressivo discorso pronunciato giorni fa al Palazzo dello Sport di Luzhniki a Mosca, Putin ha accusato le opposizioni di essere state complici dei disastri eltsiniani e di essere in combutta con “ambasciate straniere”, che li foraggiano contro gli interessi della Russia.
Inoltre, Putin sta rivolgendo al Paese pressanti appelli putiniani al voto massiccio per lui e per “Russia Unita”, quale unica condizione per il proseguimento della sua politica. Anche se in due occasioni ha affermato che quel partito (di cui non è membro) è “lontano dall’essere una struttura politica ideale”.
Comunque la vigilia è segnata da altri fatti inquietanti. Alcuni sono di difficile decifrazione, anche se appaiono segni di contrasti interni alla leadership del Kremlino. Uno di questi è l’arresto clamoroso per corruzione e abuso di ufficio del viceministro delle finanze Storchak, fino a una decina giorni fa diretto e fidato collaboratore del ministro delle finanze e primo vicepremier Aleksej Kudrin, personalità di grande prestigio considerata vicino al Presidente. Proprio quest’ultimo è intervenuto pubblicamente nei giorni scorsi in difesa dell’arrestato.
Altro oscuro episodio è stato, in ottobre, l’arresto per abuso di ufficio e corruzione di un ufficiale dell’FSB, braccio destro di un alto dirigente dei “servizi”, il generale Cherkesov, considerato anch’egli vicino a Putin.
Infine, in novembre, agitazioni di lavoratori sono state segnalate nel Paese. Soprattutto a San Pietroburgo, la città di Putin, dove nei giorni scorsi hanno scioperato, chiedendo forti aumenti salariali, gli operai delle officine di assemblaggio della “Ford Motor Company” di Vsevolozhsok e i portuali di una società marittima. Per la fine di novembre hanno minacciato lo sciopero i macchinisti ferroviari.
Queste agitazioni hanno per protagonisti sindacati di base, “alternativi” , sorti al di fuori della ufficiale Federazione dei Sindacati Indipendenti di Russia (FNPR). Sono il segno di un’ inquietudine sociale che segue i forti aumenti (fino al 20-30%) dei prezzi di beni di prima necessità registrati negli ultimi 2-3 mesi.