Osservatorio internazionale “Cardinale Van Thuân”
sulla Dottrina sociale della Chiesa
a cura di Benedetta Cortese
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La Famiglia scuola di misericordia
“A Filadelfia, in occasione dell’Incontro Mondiale delle Famiglie, come pure nel corso del viaggio in Sri Lanka e nelle Filippine e con il recente Sinodo dei Vescovi, ho richiamato l’importanza della famiglia, che è la prima è più importante scuola di misericordia, nella quale si impara a scoprire il volto amorevole di Dio e dove la nostra umanità cresce e si sviluppa. Purtroppo, conosciamo le numerose sfide che la famiglia deve affrontare in questo tempo, in cui è «minacciata dai crescenti tentativi da parte di alcuni per ridefinire la stessa istituzione del matrimonio mediante il relativismo, la cultura dell’effimero, una mancanza di apertura alla vita» [3]. C’è oggi una diffusa paura dinanzi alla definitività che la famiglia esige e ne fanno le spese soprattutto i più giovani, spesso fragili e disorientati, e gli anziani che finiscono per essere dimenticati e abbandonati. Al contrario, «dalla fraternità vissuta in famiglia, nasce (…) la solidarietà nella società» [4], che ci porta ad essere responsabili l’uno dell’altro. Ciò è possibile solo se nelle nostre case, così come nelle nostre società, non lasciamo sedimentare le fatiche e i risentimenti, ma diamo posto al dialogo, che è il migliore antidoto all’individualismo così ampiamente diffuso nella cultura del nostro tempo.
… Purtroppo, è noto come la fame sia ancora una delle piaghe più gravi del nostro mondo, con milioni di bambini che ogni anno muoiono a causa di essa. Duole, tuttavia, constatare che spesso questi migranti non rientrano nei sistemi internazionali di protezione in base agli accordi internazionali.
Come non vedere in tutto ciò il frutto di quella “cultura dello scarto” che mette in pericolo la persona umana, sacrificando uomini e donne agli idoli del profitto e del consumo? È grave assuefarci a queste situazioni di povertà e di bisogno, ai drammi di tante persone e farle diventare “normalità”. Le persone non sono più sentite come un valore primario da rispettare e tutelare, specie se povere o disabili, se “non servono ancora” – come i nascituri –, o “non servono più” – come gli anziani. Siamo diventati insensibili ad ogni forma di spreco, a partire da quello alimentare, che è tra i più deprecabili, quando ci sono molte persone e famiglie che soffrono fame e malnutrizione [5].
…L’attuale ondata migratoria sembra minare le basi di quello “spirito umanistico” che l’Europa da sempre ama e difende [6]. Tuttavia, non ci si può permettere di perdere i valori e i principi di umanità, di rispetto per la dignità di ogni persona, di sussidiarietà e di solidarietà reciproca, quantunque essi possano costituire, in alcuni momenti della storia, un fardello difficile da portare. Desidero, dunque, ribadire il mio convincimento che l’Europa, aiutata dal suo grande patrimonio culturale e religioso, abbia gli strumenti per difendere la centralità della persona umana e per trovare il giusto equilibrio fra il duplice dovere morale di tutelare i diritti dei propri cittadini e quello di garantire l’assistenza e l’accoglienza dei migranti [7].”
(Lunedì 11 gennaio 2016, Discorso in occasione degli auguri al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede)
Rispetto per la vita: Ecologia integrale
“Insieme con le questioni teologiche, non dobbiamo perdere di vista le grandi sfide che il mondo di oggi si trova ad affrontare. Quella di una ecologia integrale è ormai prioritaria, e come cristiani ed ebrei possiamo e dobbiamo offrire all’umanità intera il messaggio della Bibbia circa la cura del creato. Conflitti, guerre, violenze ed ingiustizie aprono ferite profonde nell’umanità e ci chiamano a rafforzare l’impegno per la pace e la giustizia. La violenza dell’uomo sull’uomo è in contraddizione con ogni religione degna di questo nome, e in particolare con le tre grandi religioni monoteistiche. La vita è sacra, quale dono di Dio. Il quinto comandamento del Decalogo dice: «Non uccidere» (Es 20,13). Dio è il Dio della vita, e vuole sempre promuoverla e difenderla; e noi, creati a sua immagine e somiglianza, siamo tenuti a fare lo stesso. Ogni essere umano, in quanto creatura di Dio, è nostro fratello, indipendentemente dalla sua origine o dalla sua appartenenza religiosa. Ogni persona va guardata con benevolenza, come fa Dio, che porge la sua mano misericordiosa a tutti, indipendentemente dalla loro fede e dalla loro provenienza, e che si prende cura di quanti hanno più bisogno di Lui: i poveri, i malati, gli emarginati, gli indifesi. Là dove la vita è in pericolo, siamo chiamati ancora di più a proteggerla. Né la violenza né la morte avranno mai l’ultima parola davanti a Dio, che è il Dio dell’amore e della vita.”
(17 gennaio 2016, Discorso alla Comunità ebraica)
L’irrinunciabile verità del matrimonio secondo il disegno di Dio
“La Chiesa, infatti, può mostrare l’indefettibile amore misericordioso di Dio verso le famiglie, in particolare quelle ferite dal peccato e dalle prove della vita, e insieme proclamare l’irrinunciabile verità del matrimonio secondo il disegno di Dio. Questo servizio è affidato primariamente al Papa e ai Vescovi.
Nel percorso sinodale sul tema della famiglia, che il Signore ci ha concesso di realizzare nei due anni scorsi, abbiamo potuto compiere, in spirito e stile di effettiva collegialità, un approfondito discernimento sapienziale, grazie al quale la Chiesa ha – tra l’altro – indicato al mondo che non può esserci confusione tra la famiglia voluta da Dio e ogni altro tipo di unione.
…La famiglia, fondata sul matrimonio indissolubile, unitivo e procreativo, appartiene al “sogno” di Dio e della sua Chiesa per la salvezza dell’umanità [3]
Come affermò il beato Paolo VI, la Chiesa ha sempre rivolto «uno sguardo particolare, pieno di sollecitudine e di amore, alla famiglia ed ai suoi problemi. Per mezzo del matrimonio e della famiglia Iddio ha sapientemente unite due tra le maggiori realtà umane: la missione di trasmettere la vita e l’amore vicendevole e legittimo dell’uomo e della donna, per il quale essi sono chiamati a completarsi vicendevolmente in una donazione reciproca non soltanto fisica, ma soprattutto spirituale. O per meglio dire: Dio ha voluto rendere partecipi gli sposi del suo amore: dell’amore personale che Egli ha per ciascuno di essi e per il quale li chiama ad aiutarsi e a donarsi vicendevolmente per raggiungere la pienezza della loro vita personale; e dell’amore che Egli porta all’umanità e a tutti i suoi figli, e per il quale desidera moltiplicare i figli degli uomini per renderli partecipi della sua vita e della sua felicità eterna»[4]
La famiglia e la Chiesa, su piani diversi, concorrono ad accompagnare l’essere umano verso il fine della sua esistenza. E lo fanno certamente con gli insegnamenti che trasmettono, ma anche con la loro stessa natura di comunità di amore e di vita. Infatti, se la famiglia si può ben dire “chiesa domestica”, alla Chiesa si applica giustamente il titolo di famiglia di Dio. Pertanto «lo “spirito famigliare” è una carta costituzionale per la Chiesa: così il cristianesimo deve apparire, e così deve essere. È scritto a chiare lettere: “Voi che un tempo eravate lontani – dice san Paolo – […] non siete più stranieri né ospiti, ma concittadini dei santi e familiari di Dio” (Ef 2,19). La Chiesa è e deve essere la famiglia di Dio»[5]
… La Chiesa, dunque, con rinnovato senso di responsabilità continua a proporre il matrimonio, nei suoi elementi essenziali – prole, bene dei coniugi, unità, indissolubilità, sacramentalità [6] –, non come un ideale per pochi, nonostante i moderni modelli centrati sull’effimero e sul transitorio, ma come una realtà che, nella grazia di Cristo, può essere vissuta da tutti i fedeli battezzati. E perciò, a maggior ragione, l’urgenza pastorale, che coinvolge tutte le strutture della Chiesa, spinge a convergere verso un comune intento ordinato alla preparazione adeguata al matrimonio, in una sorta di nuovo catecumenato – sottolineo questo: in una sorta di nuovo catecumenato – tanto auspicato da alcuni Padri Sinodali [7]”
(22 gennaio 2016, Discorso in occasione dell’inaugurazione dell’Anno giudiziario del Tribunale della Rota romana)
Il principio etico della tutela della vita e della dignità umana in medicina
“Si tratta, in sostanza, di servire l’uomo, tutto l’uomo, tutti gli uomini e le donne, con particolare attenzione e cura – come è stato ricordato – per i soggetti più deboli e svantaggiati, che stentano a far sentire la loro voce, oppure non possono ancora, o non possono più, farla sentire. Su questo terreno la comunità ecclesiale e quella civile si incontrano e sono chiamate a collaborare, secondo le rispettive, distinte competenze.
Codesto Comitato ha più volte trattato il rispetto per l’integrità dell’essere umano e la tutela della salute dal concepimento fino alla morte naturale, considerando la persona nella sua singolarità, sempre come fine e mai semplicemente come mezzo. Tale principio etico è fondamentale anche per quanto concerne le applicazioni biotecnologiche in campo medico, le quali non possono mai essere utilizzate in modo lesivo della dignità umana, e nemmeno devono essere guidate unicamente da scopi industriali e commerciali.
La bioetica è nata per confrontare, attraverso uno sforzo critico, le ragioni e le condizioni richieste dalla dignità della persona umana con gli sviluppi delle scienze e delle tecnologie biologiche e mediche, i quali, nel loro ritmo accelerato, rischiano di smarrire ogni riferimento che non sia l’utilità e il profitto.
Quanto sia arduo a volte individuare tali ragioni e in quanti diversi modi si cerchi di argomentarle lo si evince dagli stessi pareri formulati dal Comitato Nazionale per la Bioetica. E dunque l’impegnativo lavoro di ricerca della verità etica va ascritto a merito di quanti vi hanno operato, tanto più in un contesto segnato dal relativismo e poco fiducioso nelle capacità della ragione umana. Voi siete consapevoli che tale ricerca sui complessi problemi bioetici non è facile e non sempre raggiunge rapidamente un’armonica conclusione; che essa richiede sempre umiltà e realismo, e non teme il confronto tra le diverse posizioni; e che infine la testimonianza data alla verità contribuisce alla maturazione della coscienza civile.
In particolare, vorrei incoraggiare il vostro lavoro in alcuni ambiti, che brevemente richiamo.
- L’analisi interdisciplinare delle cause del degrado ambientale. Auspico che il Comitato possa formulare linee di indirizzo, nei campi che riguardano le scienze biologiche, per stimolare interventi di conservazione, preservazione e cura dell’ambiente. In questo ambito è opportuno un confronto tra le teorie biocentriche e quelle antropocentriche, alla ricerca di percorsi che riconoscano la corretta centralità dell’uomo nel rispetto degli altri esseri viventi e dell’intero ambiente, anche per aiutare a definire le condizioni irrinunciabili per la protezione delle generazioni future.
- Il tema della disabilità e della emarginazione dei soggetti vulnerabili, in una società protesa alla competizione, alla accelerazione del progresso. E’ la sfida di contrastare la cultura dello scarto, che ha tante espressioni oggi, tra cui vi è il trattare gli embrioni umani come materiale scartabile, e così anche le persone malate e anziane che si avvicinano alla morte.
- Lo sforzo sempre maggiore verso un confronto internazionale in vista di una possibile ed auspicabile, anche se complessa, armonizzazione degli standard e delle regole delle attività biologiche e mediche, regole che sappiano riconoscere i valori e i diritti fondamentali.”
(28 gennaio 2016, Discorso al Comitato nazionale per la bioetica)
Famiglia cammino di santità
“La famiglia è il centro naturale della vita umana e della società. Siamo preoccupati dalla crisi della famiglia in molti paesi. Ortodossi e cattolici condividono la stessa concezione della famiglia e sono chiamati a testimoniare che essa è un cammino di santità, che testimonia la fedeltà degli sposi nelle loro relazioni reciproche, la loro apertura alla procreazione e all’educazione dei figli, la solidarietà tra le generazioni e il rispetto per i più deboli.
La famiglia si fonda sul matrimonio, atto libero e fedele di amore di un uomo e di una donna. È l’amore che sigilla la loro unione ed insegna loro ad accogliersi reciprocamente come dono. Il matrimonio è una scuola di amore e di fedeltà. Ci rammarichiamo che altre forme di convivenza siano ormai poste allo stesso livello di questa unione, mentre il concetto di paternità e di maternità come vocazione particolare dell’uomo e della donna nel matrimonio, santificato dalla tradizione biblica, viene estromesso dalla coscienza pubblica.
Chiediamo a tutti di rispettare il diritto inalienabile alla vita. Milioni di bambini sono privati della possibilità stessa di nascere nel mondo. La voce del sangue di bambini non nati grida verso Dio (cfr Gen 4, 10).
Lo sviluppo della cosiddetta eutanasia fa sì che le persone anziane e gli infermi inizino a sentirsi un peso eccessivo per le loro famiglie e la società in generale.
Siamo anche preoccupati dallo sviluppo delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, perché la manipolazione della vita umana è un attacco ai fondamenti dell’esistenza dell’uomo, creato ad immagine di Dio. Riteniamo che sia nostro dovere ricordare l’immutabilità dei principi morali cristiani, basati sul rispetto della dignità dell’uomo chiamato alla vita, secondo il disegno del Creatore.”
(12 febbraio 2016, Incontro con S.S. Kirill, Patriarca di Mosca e di tutta la Russia. Firma della dichiarazione congiunta)
Contro la colonizzazione di ideologie distruttrici della famiglia
“Oggi vediamo e viviamo su diversi fronti come la famiglia venga indebolita, come viene messa in discussione. Come si crede che essa sia un modello ormai superato e incapace di trovare posto all’interno delle nostre società che, sotto il pretesto della modernità, sempre più favoriscono un sistema basato sul modello dell’isolamento. E si insinuano nelle nostre società – che si dicono società libere, democratiche, sovrane – si insinuano colonizzazioni ideologiche che le distruggono, e finiamo per essere colonie di ideologie distruttrici della famiglia, del nucleo della famiglia, che è la base di ogni sana società.
Certo, vivere in famiglia non sempre è facile, spesso è doloroso e faticoso, ma, come più di una volta ho detto riferendomi alla Chiesa, penso che questo possa essere applicato anche alla famiglia: preferisco una famiglia ferita che ogni giorno cerca di coniugare l’amore, a una famiglia e una società malata per la chiusura o la comodità della paura di amare. Preferisco una famiglia che una volta dopo l’altra cerca di ricominciare a una famiglia e una società narcisistica e ossessionata dal lusso e dalle comodità. “Quanti figli avete?” – “No, non ne abbiamo perché ci piace andare in vacanza, fare turismo, voglio comprarmi una villa…”. Il lusso e la comodità; e i figli aspettano; e quando ne vuoi uno, ormai è passato il momento. Che danno che fa questo! Preferisco una famiglia con la faccia stanca per i sacrifici a una famiglia con le facce imbellettate che non sanno di tenerezza e compassione. Preferisco un uomo e una donna, il Signor Aniceto e la Signora, con il viso rugoso per le fatiche di tutti i giorni, che da più di 50 anni continuano a volersi bene, e oggi li abbiamo qui; e il figlio ha imparato la lezione, e già fa 25 anni di matrimonio. Queste sono le famiglie! Quando prima ho chiesto al Signor Aniceto e alla Signora chi ha avuto più pazienza in questi 50 anni: “Tutt’e due, padre”. Perché in famiglia, per arrivare dove sono arrivati loro, ci vuole pazienza, amore, bisogna sapersi perdonare. “Padre, in una famiglia perfetta non ci sono mai discussioni”. Non è vero: è bene che ogni tanto si discuta, e che voli qualche piatto, va bene, non abbiate paura. L’unico consiglio è di non finire la giornata senza fare la pace, perché se finite la giornata in guerra arrivate al mattino in “guerra fredda”, e la “guerra fredda” è molto pericolosa in famiglia perché va scavando da sotto le rughe della fedeltà coniugale. Grazie per la testimonianza di volersi bene per più di 50 anni. Tante grazie!
E parlando di rughe – per cambiare un po’ argomento – ricordo la testimonianza di una grande attrice, un’attrice di cinema latinoamericana, quando già quasi sessantenne cominciavano a mostrarsi le rughe del viso e le consigliarono un “ritocco”, un “ritocchino” per poter continuare a lavorare bene, la sua risposta fu molto chiara: “Questa rughe mi sono costate molto lavoro, molto sforzo, molto dolore e una vita piena, nemmeno per sogno le voglio toccare: sono le impronte della mia storia”. E continuò ad essere una grande attrice. Nel matrimonio succede lo stesso. La vita matrimoniale deve rinnovarsi tutti i giorni. E, come ho detto prima, preferisco famiglie con le rughe, con ferite, cicatrici, ma che vanno avanti perché quelle ferite, quelle cicatrici, quelle rughe sono frutto della fedeltà di un amore che non sempre è stato facile. L’amore non è facile, non è facile, no, ma è la cosa più bella che un uomo e una donna possono darsi a vicenda, il vero amore, per tutta la vita.”
(15 febbraio 2016, Viaggio apostolico in Messico. Incontro con le famiglie)
Impresa e tutela delle famiglie e delle categorie più deboli
“Nel complesso mondo dell’impresa, “fare insieme” significa investire in progetti che sappiano coinvolgere soggetti spesso dimenticati o trascurati. Tra questi, anzitutto, le famiglie, focolai di umanità, in cui l’esperienza del lavoro, il sacrificio che lo alimenta e i frutti che ne derivano trovano senso e valore. E, insieme con le famiglie, non possiamo dimenticare le categorie più deboli e marginalizzate, come gli anziani, che potrebbero ancora esprimere risorse ed energie per una collaborazione attiva, eppure vengono troppo spesso scartati come inutili e improduttivi. E che dire poi di tutti quei potenziali lavoratori, specialmente dei giovani, che, prigionieri della precarietà o di lunghi periodi di disoccupazione, non vengono interpellati da una richiesta di lavoro che dia loro, oltre a un onesto salario, anche quella dignità di cui a volte si sentono privati?
… La legge suprema sia in tutto l’attenzione alla dignità dell’altro, valore assoluto e indisponibile. Sia questo orizzonte di altruismo a contraddistinguere il vostro impegno: esso vi porterà a rifiutare categoricamente che la dignità della persona venga calpestata in nome di esigenze produttive, che mascherano miopie individualistiche, tristi egoismi e sete di guadagno. L’impresa che voi rappresentate sia invece sempre aperta a quel «significato più ampio della vita», che le permetterà di «servire veramente il bene comune, con il suo sforzo di moltiplicare e rendere più accessibili per tutti i beni di questo mondo» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 203). Proprio il bene comune sia la bussola che orienta l’attività produttiva, perché cresca un’economia di tutti e per tutti, che non sia «insensibile allo sguardo dei bisognosi» (Sir 4,1). Essa è davvero possibile, a patto che la semplice proclamazione della libertà economica non prevalga sulla concreta libertà dell’uomo e sui suoi diritti, che il mercato non sia un assoluto, ma onori le esigenze della giustizia e, in ultima analisi, della dignità della persona. Perché non c’è libertà senza giustizia e non c’è giustizia senza il rispetto della dignità di ciascuno.”
(27 febbraio 2016, Discorso agli imprenditori riuniti in Confindustria)
Tutela della vita: coniugare scienza, tecnica e umanità
“Nel nostro tempo, alcuni orientamenti culturali non riconoscono più l’impronta della sapienza divina nelle realtà create e neppure nell’uomo. La natura umana rimane così ridotta a sola materia, plasmabile secondo qualsiasi disegno. La nostra umanità, invece, è unica e tanto preziosa agli occhi di Dio! Per questo, la prima natura da custodire, affinché porti frutto, è la nostra stessa umanità. Dobbiamo darle l’aria pulita della libertà e l’acqua vivificante della verità, proteggerla dai veleni dell’egoismo e della menzogna. Sul terreno della nostra umanità potrà allora sbocciare una grande varietà di virtù.
… Oggi sono molte le istituzioni impegnate nel servizio alla vita, a titolo di ricerca o di assistenza; esse promuovono non solo azioni buone, ma anche la passione per il bene. Ma ci sono anche tante strutture preoccupate più dell’interesse economico che del bene comune. Parlare di virtù significa affermare che la scelta del bene coinvolge e impegna tutta la persona; non è una questione “cosmetica”, un abbellimento esteriore, che non porterebbe frutto: si tratta di sradicare dal cuore i desideri disonesti e di cercare il bene con sincerità.
Anche nell’ambito dell’etica della vita le pur necessarie norme, che sanciscono il rispetto delle persone, da sole non bastano a realizzare pienamente il bene dell’uomo. Sono le virtù di chi opera nella promozione della vita l’ultima garanzia che il bene verrà realmente rispettato. Oggi non mancano le conoscenze scientifiche e gli strumenti tecnici in grado di offrire sostegno alla vita umana nelle situazioni in cui si mostra debole. Però manca tante volte l’umanità. L’agire buono non è la corretta applicazione del sapere etico, ma presuppone un interesse reale per la persona fragile. I medici e tutti gli operatori sanitari non tralascino mai di coniugare scienza, tecnica e umanità.
Pertanto, incoraggio le Università a considerare tutto questo nei loro programmi di formazione, affinché gli studenti possano maturare quelle disposizioni del cuore e della mente che sono indispensabili per accogliere e curare la vita umana, secondo la dignità che in qualsiasi circostanza le appartiene. Invito anche i direttori delle strutture sanitarie e di ricerca a far sì che i dipendenti considerino parte integrante del loro qualificato servizio anche il tratto umano. In ogni caso, quanti si dedicano alla difesa e alla promozione della vita possano mostrarne anzitutto la bellezza. Infatti, come «la Chiesa non cresce per proselitismo ma “per attrazione”» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 14), così la vita umana si difende e promuove efficacemente solo quando se ne conosce e se ne mostra la bellezza. Vivendo una genuina compassione e le altre virtù, sarete testimoni privilegiati della misericordia del Padre della vita.
La cultura contemporanea conserva ancora le premesse per affermare che l’uomo, quali che siano le sue condizioni di vita, è un valore da proteggere; tuttavia, essa è spesso vittima di incertezze morali, che non le consentono di difendere la vita in maniera efficace. Non di rado, poi, può accadere che sotto il nome di virtù, si mascherino “splendidi vizi”. Per questo è necessario non solo che le virtù informino realmente il pensare e l’agire dell’uomo, ma che siano coltivate attraverso un continuo discernimento e siano radicate in Dio, fonte di ogni virtù. Io vorrei ripetere qui una cosa che ho detto parecchie volte: dobbiamo stare attenti alle nuove colonizzazioni ideologiche che subentrano nel pensiero umano, anche cristiano, sotto forma di virtù, di modernità, di atteggiamenti nuovi, ma sono colonizzazioni, cioè tolgono la libertà, e sono ideologiche, cioè hanno paura della realtà così come Dio l’ha creata.
(03 marzo 2016, Discorso ai partecipanti all’Assemblea plenaria della Pontificia Accademia per la Vita)
Pace e sicurezza per le famiglie di profughi
“Oggi uniamo le nostre voci nel condannare lo sradicamento, per denunciare ogni forma di svilimento della persona umana. Da quest’isola spero che abbia inizio un movimento mondiale di consapevolezza, affinché l’attuale corso possa essere cambiato da quanti tengono in mano il destino delle nazioni e a ogni casa, a ogni famiglia, a ogni cittadino siano restituititi pace e sicurezza.
Purtroppo non è la prima volta che denunciamo le politiche che hanno condotto queste persone nell’attuale impasse. Tuttavia c’impegneremo fino a quando non avranno fine l’aberrazione e lo svilimento della persona umana. Non serve dire tante parole. Solo chi vede gli occhi dei bambini che incontriamo nei campi profughi è in grado di riconoscere subito, nella sua interezza, la «bancarotta» di umanità e solidarietà dimostrata dall’Europa negli ultimi anni a queste persone, e non solo a loro”.
(16 aprile 2016, Visita a Lesvos (Grecia). Dichiarazione congiunta di Sua Santità Bartolomeo, patriarca ecumenico di Costantinopoli, di Sua Beatitudine Ieronymos, Arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia e del Santo Padre Francesco)
Famiglia culla della carità
“La testimonianza della carità diventa autentica e credibile quando impegna tutti i momenti e le relazioni della vita, ma la sua culla e la sua casa è la famiglia, la Chiesa domestica. La famiglia è costituzionalmente “Caritas” perchè Dio stesso l’ha fatta così: l’anima della famiglia e della sua missione è l’amore. Quell’amore misericordioso che – come ho ricordato nell’Esortazione Apostolica postsinodale Amoris laetitia – sa accompagnare, discernere e integrare le situazioni di fragilità. Le risposte più complete a molti disagi possono essere offerte proprio da quelle famiglie che, superando la tentazione della solidarietà “corta” ed episodica, a volte pure necessaria, scelgono di collaborare fra loro e con tutti gli altri servizi solidali del territorio, offrendo le risorse della propria quotidiana disponibilità. E quanti esempi belli abbiamo di questo nelle nostre comunità!”
(21 aprile 2016, Discorso ai partecipanti al Convegno della Caritas delle Diocesi italiane)
La compassione dei medici tutela la persona umana
“L’identità e l’impegno del medico non si fonda solo sulla sua scienza e sulla sua competenza tecnica, ma anche e soprattutto sul suo atteggiamento compassionevole — soffre-con — e misericordiosa verso quanti soffrono nel corpo e nello spirito. La compassione è in un certo senso l’anima stessa della medicina. La compassione non è pena, e soffrire-con.
Nella nostra cultura tecnologica e individualista, la compassione non è sempre ben vista; a volte è addirittura disprezzata perché significa sottoporre la persona che la riceve a un’umiliazione. E non manca neppure chi si nasconde dietro a una supposta compassione per giustificare e approvare la morte di un malato. Ma non è così. La vera compassione non emargina nessuno, non umilia la persona, non la esclude, e tanto meno considera la sua scomparsa come qualcosa di buono. La vera compassione se ne fa carico. Voi sapete bene che ciò significherebbe il trionfo dell’egoismo, di quella “cultura dello scarto” che rifiuta e disprezza le persone che non soddisfano determinati canoni di salute, di bellezza e di utilità. Mi piace benedire le mani dei medici come segno di riconoscenza a questa compassione che si fa carezza di salute.
… La compassione, questo soffrire-con, è la risposta adeguata al valore immenso della persona malata, una risposta fatta di rispetto, comprensione e tenerezza, perché il valore sacro della vita del malato non scompare né si oscura mai, bensì risplende con più forza proprio nella sua sofferenza e nella sua vulnerabilità. Come si capisce bene la raccomandazione di san Camillo de Lellis per assistere i malati. Dice così: “Mettete più cuore in queste mani”. La fragilità, il dolore e la malattia sono una dura prova per tutti, anche per il personale medico, sono un appello alla pazienza, al soffrire-con; perciò non si può cedere alla tentazione funzionalista di applicare soluzioni rapide e drastiche, mossi da una falsa compassione o da meri criteri di efficienza e di risparmio economico. A essere in gioco è la dignità della vita umana; a essere in gioco è la dignità della vocazione medica.”
(09 giugno 2016, Discorso ai Dirigenti degli Ordini dei medici di Spagna e America Latina)
Disabilità come tesoro contro la società scarto
“Questi fratelli e sorelle – come dimostra anche questo Convegno – non sono soltanto in grado di vivere una genuina esperienza di incontro con Cristo, ma sono anche capaci di testimoniarla agli altri. Molto è stato fatto nella cura pastorale dei disabili; bisogna andare avanti, ad esempio riconoscendo meglio la loro capacità apostolica e missionaria, e prima ancora il valore della loro “presenza” come persone, come membra vive del Corpo ecclesiale. Nella debolezza e nella fragilità si nascondono tesori capaci di rinnovare le nostre comunità cristiane.
Nella Chiesa, grazie a Dio, si registra una diffusa attenzione alla disabilità nelle sue forme fisica, mentale e sensoriale, e un atteggiamento di generale accoglienza. Tuttavia le nostre comunità fanno ancora fatica a praticare una vera inclusione, una partecipazione piena che diventi finalmente ordinaria, normale. E questo richiede non solo tecniche e programmi specifici, ma prima di tutto riconoscimento e accoglienza dei volti, tenace e paziente certezza che ogni persona è unica e irripetibile, e ogni volto escluso è un impoverimento della comunità.
Anche in questo campo è decisivo il coinvolgimento delle famiglie, che chiedono di essere non solo accolte, ma stimolate e incoraggiate. Le nostre comunità cristiane siano “case” in cui ogni sofferenza trovi com-passione, in cui ogni famiglia con il suo carico di dolore e fatica possa sentirsi capita e rispettata nella sua dignità. Come ho osservato nell’Esortazione apostolica Amoris laetitia, «l’attenzione dedicata tanto ai migranti quanto alle persone con disabilità è un segno dello Spirito. Infatti entrambe le situazioni sono paradigmatiche: mettono specialmente in gioco il modo in cui si vive oggi la logica dell’accoglienza misericordiosa e dell’integrazione delle persone fragili» (n. 47).
(11 giugno 2016, Discorso ai partecipanti al Convegno per persone disabili)
La creatività missionaria verso le famiglie. Il dono degli anziani.
“Ognuno di noi ha avuto un’esperienza di famiglia. In alcuni casi sgorga il rendimento di grazie con maggior facilità che in altri, ma tutti abbiamo vissuto questa esperienza. In quel contesto, Dio ci è venuto incontro. La sua Parola è venuta a noi non come una sequenza di tesi astratte, ma come una compagna di viaggio che ci ha sostenuto in mezzo al dolore, ci ha animato nella festa e ci ha sempre indicato la meta del cammino (AL, 22). Questo ci ricorda che le nostre famiglie, le famiglie nelle nostre parrocchie con i loro volti, le loro storie, con tutte le loro complicazioni non sono un problema, sono una opportunità che Dio ci mette davanti. Opportunità che ci sfida a suscitare una creatività missionaria capace di abbracciare tutte le situazioni concrete, nel nostro caso, delle famiglie romane. Non solo di quelle che vengono o si trovano nelle parrocchie – questo sarebbe facile, più o meno –, ma poter arrivare alle famiglie dei nostri quartieri, a quelli che non vengono. Questo incontro ci sfida a non dare niente e nessuno per perduto, ma a cercare, a rinnovare la speranza di sapere che Dio continua ad agire all’interno delle nostre famiglie. Ci sfida a non abbandonare nessuno perché non è all’altezza di quanto si chiede da lui. E questo ci impone di uscire dalle dichiarazioni di principio per addentrarci nel cuore palpitante dei quartieri romani e, come artigiani, metterci a plasmare in questa realtà il sogno di Dio, cosa che possono fare solo le persone di fede, quelle che non chiudono il passaggio all’azione dello Spirito, e che si sporcano le mani. Riflettere sulla vita delle nostre famiglie, così come sono e così come si trovano, ci chiede di toglierci le scarpe per scoprire la presenza di Dio. Questa è una prima immagine biblica. Andare: c’è Dio, lì. Dio che anima, Dio che vive, Dio che è crocifisso… ma è Dio.
… Giustamente, guardare le nostre famiglie con la delicatezza con cui le guarda Dio ci aiuta a porre le nostre coscienze nella sua stessa direzione. L’accento posto sulla misericordia ci mette di fronte alla realtà in modo realistico, non però con un realismo qualsiasi, ma con il realismo di Dio. Le nostre analisi sono importanti, sono necessarie e ci aiuteranno ad avere un sano realismo. Ma nulla è paragonabile al realismo evangelico, che non si ferma alla descrizione delle situazioni, delle problematiche – meno ancora del peccato – ma che va sempre oltre e riesce a vedere dietro ogni volto, ogni storia, ogni situazione, un’opportunità, una possibilità. Il realismo evangelico si impegna con l’altro, con gli altri e non fa degli ideali e del “dover essere” un ostacolo per incontrarsi con gli altri nelle situazioni in cui si trovano. Non si tratta di non proporre l’ideale evangelico, no, non si tratta di questo. Al contrario, ci invita a viverlo all’interno della storia, con tutto ciò che comporta. E questo non significa non essere chiari nella dottrina, ma evitare di cadere in giudizi e atteggiamenti che non assumono la complessità della vita. Il realismo evangelico si sporca le mani perché sa che “grano e zizzania” crescono assieme, e il miglior grano – in questa vita – sarà sempre mescolato con un po’ di zizzania. «Comprendo coloro che preferiscono una pastorale più rigida che non dia luogo ad alcuna confusione», li comprendo. «Ma credo sinceramente che Gesù vuole una Chiesa attenta al bene che lo Spirito sparge in mezzo alla fragilità: una Madre che, nel momento stesso in cui esprime chiaramente il suo insegnamento obiettivo, “non rinuncia al bene possibile, benché corra il rischio di sporcarsi con il fango della strada”». Una Chiesa capace di «assumere la logica della compassione verso le persone fragili e ad evitare persecuzioni o giudizi troppo duri e impazienti. Il Vangelo stesso ci richiede di non giudicare e di non condannare (cfr Mt 7,1; Lc 6,37)» (AL, 308).
… “Gli anziani faranno sogni profetici” (cfr Gl 3,1). Tale era una delle profezie di Gioele per il tempo dello Spirito. Gli anziani faranno sogni e i giovani avranno visioni. Con questa terza immagine vorrei sottolineare l’importanza che i Padri sinodali hanno dato al valore della testimonianza come luogo in cui si può trovare il sogno di Dio e la vita degli uomini. In questa profezia contempliamo una realtà inderogabile: nei sogni dei nostri anziani molte volte risiede la possibilità che i nostri giovani abbiano nuove visioni, abbiano nuovamente un futuro –penso ai giovani di Roma, delle periferie di Roma –, abbiano un domani, abbiano una speranza. Ma se il 40% dei giovani dai 25 anni in giù non ha lavoro, quale speranza possono avere? Qui a Roma. Come trovare la strada? Sono due realtà – gli anziani e i giovani – che vanno assieme e che hanno bisogno l’una dell’altra e sono collegate. È bello trovare sposi, coppie, che da anziani continuano a cercarsi, a guardarsi; continuano a volersi bene e a scegliersi. È tanto bello trovare “nonni” che mostrano nei loro volti raggrinziti dal tempo la gioia che nasce dall’aver fatto una scelta d’amore e per amore… ome società, abbiamo privato della loro voce i nostri anziani – questo è un peccato sociale attuale! –, li abbiamo privati del loro spazio; li abbiamo privati dell’opportunità di raccontarci la loro vita, le loro storie, le loro esperienze. Li abbiamo accantonati e così abbiamo perduto la ricchezza della loro saggezza. Scartandoli, scartiamo la possibilità di prendere contatto con il segreto che ha permesso loro di andare avanti. Ci siamo privati della testimonianza di coniugi che non solo hanno perseverato nel tempo, ma che conservano nel loro cuore la gratitudine per tutto ciò che hanno vissuto (cfr AL, 38).
Questa mancanza di modelli, di testimonianze, questa mancanza di nonni, di padri capaci di narrare sogni non permette alle giovani generazioni di “avere visioni”. E rimangono fermi. Non permette loro di fare progetti, dal momento che il futuro genera insicurezza, sfiducia, paura. Solo la testimonianza dei nostri genitori, vedere che è stato possibile lottare per qualcosa che valeva la pena, li aiuterà ad alzare lo sguardo. Come pretendiamo che i giovani vivano la sfida della famiglia, del matrimonio come un dono, se continuamente sentono dire da noi che è un peso? Se vogliamo “visioni”, lasciamo che i nostri nonni ci raccontino, che condividano i loro sogni, perché possiamo avere profezie del domani.”
(16 giugno 2016, Discorso all’apertura del Convegno ecclesiale della Diocesi di Roma)
Il coraggio dei laici nell’apostolato alla famiglia
“Anche voi, dunque, alzate lo sguardo e guardate “fuori”, guardate ai molti “lontani” del nostro mondo, alle tante famiglie in difficoltà e bisognose di misericordia, ai tanti campi di apostolato ancora inesplorati, ai numerosi laici dal cuore buono e generoso che volentieri metterebbero a servizio del Vangelo le loro energie, il loro tempo, le loro capacità se fossero coinvolti, valorizzati e accompagnati con affetto e dedizione da parte dei pastori e delle istituzioni ecclesiastiche. Abbiamo bisogno di laici ben formati, animati da una fede schietta e limpida, la cui vita è stata toccata dall’incontro personale e misericordioso con l’amore di Cristo Gesù. Abbiamo bisogno di laici che rischino, che si sporchino le mani, che non abbiano paura di sbagliare, che vadano avanti. Abbiamo bisogno di laici con visione del futuro, non chiusi nelle piccolezze della vita. E l’ho detto ai giovani: abbiamo bisogno di laici col sapore di esperienza della vita, che osano sognare.”
(17 giugno 2016, Discorso ai partecipanti all’Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio per i Laici)
Famiglia atto di gratuità tra uomo e donna
“La secolarizzazione di ampi settori della società, la sua alienazione da ciò che è spirituale e divino, conduce inevitabilmente ad una visione desacralizzata e materialistica dell’uomo e della famiglia umana. A questo riguardo siamo preoccupati per la crisi della famiglia in molti Paesi. La Chiesa Apostolica Armena e la Chiesa Cattolica condividono la medesima visione della famiglia, basata sul matrimonio, atto di gratuità e di amore fedele tra un uomo e una donna.”
(26 giugno 2016, Viaggio Apostolico in Armenia. Dichiarazione comune di Sua Santità Francesco
e Sua Santità Karekin II nella Santa Etchmiadzin, Repubblica di Armenia)
L’uomo di scienza e il grande mistero dell’esistenza umana
“Il Magistero della Chiesa ha sempre affermato l’importanza della ricerca scientifica per la vita e la salute delle persone. Anche oggi la Chiesa non solo vi accompagna in questo cammino così arduo, ma se ne fa promotrice e intende sostenervi, perché comprende che quanto è dedicato all’effettivo bene della persona è pur sempre un’azione che proviene da Dio. La natura in tutta la sua complessità, e anche la mente umana, sono creature di Dio. Lo studioso può e deve investigarle, sapendo che lo sviluppo delle scienze filosofiche ed empiriche e delle competenze pratiche che servono il più debole e malato è un servizio importante che si inscrive nel progetto divino. L’apertura alla grazia di Dio, fatta tramite la fede, non ferisce la mente, anzi la spinge ad andare avanti, a una conoscenza della verità più ampia e utile per l’umanità.
Sappiamo, tuttavia, che anche lo scienziato nella sua scoperta non è mai neutrale. Egli porta con sé la sua storia, il suo modo di essere e di pensare. Per ognuno esiste la necessità di avere una sorta di purificazione che, mentre allontana le tossine che avvelenano la ragione nella sua ricerca di verità e di certezza, induce a guardare con maggior intensità all’essenza delle cose. Non possiamo negare, infatti, che la conoscenza, anche la più precisa e scientifica, ha bisogno di progredire facendo le domande e trovando le risposte sull’origine, il senso e la finalità della realtà, uomo incluso. Tuttavia, le sole scienze, naturali e fisiche, non bastano per comprendere il mistero che ogni persona contiene in sé. Se si guarda all’uomo nella sua totalità – permettetemi di insistere su questo tema – si può avere uno sguardo di particolare intensità ai più poveri, ai più disagiati ed emarginati perché anche a loro giunga la vostra cura, come anche l’assistenza e l’attenzione delle strutture sanitarie pubbliche e private. Dobbiamo lottare perché non ci siano “scartati” in questa cultura dello scarto che viene proposta.
Con la vostra preziosa attività voi contribuite a guarire il corpo malato e, al tempo stesso, avete la possibilità di verificare che ci sono leggi impresse nella stessa natura che nessuno può manomettere ma solo “scoprire, usare e ordinare” perché la vita corrisponda sempre più alle intenzioni del Creatore (cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. Gaudium et spes, 36). Per questo è importante che l’uomo di scienza, mentre si misura con il grande mistero dell’esistenza umana, non si lasci vincere dalla tentazione di soffocare la verità (cfr Rm 1,18).”
(31 agosto 2016, Discorso ai partecipanti al Congresso mondiale di Cardiologia “ESC Congress 2016”)
La sacralità della vita
“In questo cammino di dialogo, siamo testimoni della bontà di Dio, che ci ha dato la vita; questa è sacra e deve essere rispettata, non disprezzata. Il credente è un difensore della creazione e della vita, non può restare muto o con le braccia incrociate dinanzi a tanti diritti impunemente annientati; l’uomo e la donna di fede sono chiamati a difendere la vita in tutte le sue fasi, l’integrità fisica e le libertà fondamentali, come la libertà di coscienza, di pensiero, di espressione e di religione. È un dovere che abbiamo, perché crediamo che Dio sia l’artefice della creazione e noi strumenti nelle sue mani per far sì che tutti gli uomini e le donne siano rispettati nella loro dignità e nei loro diritti, e possano realizzarsi come persone.
Il mondo osserva costantemente noi credenti, per appurare qual è il nostro atteggiamento dinanzi alla casa comune e ai diritti umani”
(08 settembre 2016, Discorso ai partecipanti al Simposio promosso dalla Organizzazione degli Stati americani e dall’Istituto del Dialogo interreligioso di Buenos Aires)
Accoglienza, vicinanza, accompagnamento, discernimento e integrazione delle coppie
“Ma come è la fede nel matrimonio? Il matrimonio è la cosa più bella che Dio ha creato. La Bibbia ci dice che Dio ha creato l’uomo e la donna, li ha creati a sua immagine (cfr Gen 1,27). Cioè, l’uomo e la donna che diventano una sola carne sono immagine di Dio. Io ho capito, Irina, quando tu spiegavi le difficoltà che tante volte vengono nel matrimonio: le incomprensioni, le tentazioni… “Mah, risolviamo la cosa per la strada del divorzio, e così io mi cerco un altro, lui si cerca un’altra, e incominciamo di nuovo”. Irina, tu sai chi paga le spese del divorzio? Due persone, pagano. Chi paga?
[Irina risponde: tutti e due]
Tutti e due? Di più! Paga Dio, perché quando si divide “una sola carne”, si sporca l’immagine di Dio. E pagano i bambini, i figli. Voi non sapete, cari fratelli e sorelle, voi non sapete quanto soffrono i bambini, i figli piccoli, quando vedono le liti e la separazione dei genitori! Si deve fare di tutto per salvare il matrimonio. Ma è normale che nel matrimonio si litighi? Sì, è normale. Succede. Alle volte “volano i piatti”. Ma se è vero amore, allora si fa la pace subito. Io consiglio agli sposi: litigate finché volete, litigate finché volete ma non finite la giornata senza fare la pace. Sapete perché? Perché la “guerra fredda” del giorno dopo è pericolosissima. Quanti matrimoni si salvano se hanno il coraggio, alla fine della giornata, di non fare un discorso, ma una carezza, ed è fatta la pace! Ma è vero, ci sono situazioni più complesse, quando il diavolo si immischia e mette davanti all’uomo una donna che gli sembra più bella della sua, o quando mette davanti a una donna un uomo che le sembra più bravo del suo. Chiedete aiuto subito. Quando viene questa tentazione, chiedete aiuto subito.
E’ questo quello che tu [Irina] dicevi, di aiutare le coppie. E come si aiutano le coppie? Si aiutano con l’accoglienza, la vicinanza, l’accompagnamento, il discernimento e l’integrazione nel corpo della Chiesa. Accogliere, accompagnare, discernere e integrare. Nella comunità cattolica si deve aiutare a salvare i matrimoni. Ci sono tre parole: sono parole d’oro nella vita del matrimonio. Io domanderei ad una coppia: “Vi volete bene?” – “Sì”, diranno. “E quando c’è qualcosa che uno fa per l’altro, sapete dire grazie? E se uno dei due fa una diavoleria, sapete chiedere scusa? E se voi volete portare avanti un progetto, [ad esempio] passare una giornata in campagna, o qualsiasi cosa, sapete chiedere l’opinione dell’altro?”. Tre parole: “Cosa ti sembra? Posso?”; “grazie”; “scusa”. Se nelle coppie si usano queste parole: “Scusami, ho sbagliato”; “Posso fare questo?”; o “Grazie di quel bel pasto che mi hai fatto”; “Posso?”, “grazie”, “scusa”, se si utilizzano queste tre parole, il matrimonio andrà avanti bene. E’ un aiuto.
Tu, Irina, hai menzionato un grande nemico del matrimonio, oggi: la teoria del gender. Oggi c’è una guerra mondiale per distruggere il matrimonio. Oggi ci sono colonizzazioni ideologiche che distruggono, ma non si distrugge con le armi, si distrugge con le idee. Pertanto, bisogna difendersi dalle colonizzazioni ideologiche. Se ci sono problemi, fare la pace al più presto possibile, prima che finisca la giornata, e non dimenticare le tre parole: “permesso”, “grazie”, “perdonami”.”
(01 ottobre 2016, Viaggio in Georgia ed Azerbaijan. Discorso a Sacerdoti, Religiosi, Seminaristi ed Agenti Spirituali.)
Il senso della vita
“Aprirsi agli altri non impoverisce, ma arricchisce, perché aiuta a essere più umani: a riconoscersi parte attiva di un insieme più grande e a interpretare la vita come un dono per gli altri; a vedere come traguardo non i propri interessi, ma il bene dell’umanità; ad agire senza idealismi e senza interventismi, senza operare dannose interferenze e azioni forzate, bensì sempre nel rispetto delle dinamiche storiche, delle culture e delle tradizioni religiose.
Proprio le religioni hanno un grande compito: accompagnare gli uomini in cerca del senso della vita, aiutandoli a comprendere che le limitate capacità dell’essere umano e i beni di questo mondo non devono mai diventare degli assoluti. Ha scritto ancora Nizami: «Non stabilirti solidamente sulle tue forze, finché in cielo non avrai trovato dimora! I frutti del mondo non sono eterni, non adorare ciò che perisce!» (Leylā e Majnūn, Morte di Majnūn sulla tomba di Leylā). Le religioni sono chiamate a farci capire che il centro dell’uomo è fuori di sé, che siamo protesi verso l’Alto infinito e verso l’altro che ci è prossimo. Lì è chiamata a incamminarsi la vita, verso l’amore più elevato e insieme più concreto: esso non può che stare al culmine di ogni aspirazione autenticamente religiosa; perché – dice ancora il poeta –, «amore è quello che mai non muta, amore è quello che non ha fine» (ibid., Disperazione di Majnūn).
(02 ottobre 2016, Viaggio in Georgia ed Azerbaijan. Incontro interreligioso con lo Sceicco dei Musulmani del Caucaso e con Rappresentanti delle altre Comunità religiose del Paese )
Il contributo essenziale dell’anziano nella famiglia
“La Chiesa guarda alle persone anziane con affetto, riconoscenza e grande stima. Esse sono parte essenziale della comunità cristiana e della società. Non so se avete sentito bene: gli anziani sono parte essenziale della comunità cristiana e della società. In particolare rappresentano le radici e la memoria di un popolo. Voi siete una presenza importante, perché la vostra esperienza costituisce un tesoro prezioso, indispensabile per guardare al futuro con speranza e responsabilità. La vostra maturità e saggezza, accumulate negli anni, possono aiutare i più giovani, sostenendoli nel cammino della crescita e dell’apertura all’avvenire, nella ricerca della loro strada. Gli anziani, infatti, testimoniano che, anche nelle prove più difficili, non bisogna mai perdere la fiducia in Dio e in un futuro migliore. Sono come alberi che continuano a portare frutto: pur sotto il peso degli anni, possono dare il loro contributo originale per una società ricca di valori e per l’affermazione della cultura della vita.
Non sono pochi gli anziani che impiegano generosamente il loro tempo e i talenti che Dio ha loro concesso aprendosi all’aiuto e al sostegno verso gli altri. Penso a quanti si rendono disponibili nelle parrocchie per un servizio davvero prezioso: alcuni si dedicano al decoro della casa del Signore, altri come catechisti, animatori della liturgia, testimoni di carità. E che dire del loro ruolo nell’ambito familiare? Quanti nonni si prendono cura dei nipoti, trasmettendo con semplicità ai più piccoli l’esperienza della vita, i valori spirituali e culturali di una comunità e di un popolo! Nei Paesi che hanno subito una grave persecuzione religiosa, sono stati i nonni a trasmettere la fede alle nuove generazioni, conducendo i bambini a ricevere il battesimo in un contesto di sofferta clandestinità.
In un mondo come quello attuale, nel quale sono spesso mitizzate la forza e l’apparenza, voi avete la missione di testimoniare i valori che contano davvero e che rimangono per sempre, perché sono inscritti nel cuore di ogni essere umano e garantiti dalla Parola di Dio. Proprio in quanto persone della cosiddetta terza età voi, o meglio noi – perché anch’io ne faccio parte –, siamo chiamati a operare per lo sviluppo della cultura della vita, testimoniando che ogni stagione dell’esistenza è un dono di Dio e ha una sua bellezza e una sua importanza, anche se segnate da fragilità.
A fronte di tanti anziani che, nei limiti delle loro possibilità, continuano a prodigarsi per il prossimo, ce ne sono tanti che convivono con la malattia, con difficoltà motorie e hanno bisogno di assistenza. Ringrazio oggi il Signore per le molte persone e strutture che si dedicano a un quotidiano servizio agli anziani, per favorire adeguati contesti umani, in cui ognuno possa vivere degnamente questa importante tappa della propria vita. Gli istituti che ospitano gli anziani sono chiamati ad essere luoghi di umanità e di attenzione amorevole, dove le persone più deboli non vengono dimenticate o trascurate, ma visitate, ricordate e custodite come fratelli e sorelle maggiori. Si esprime così la riconoscenza verso coloro che hanno dato tanto alla comunità e sono la sua radice.
Le istituzioni e le diverse realtà sociali possono fare ancora molto per aiutare gli anziani ad esprimere al meglio le loro capacità, per facilitare la loro attiva partecipazione, soprattutto per far sì che la loro dignità di persone sia sempre rispettata e valorizzata. Per fare questo bisogna contrastare la cultura nociva dello scarto, che emargina gli anziani ritenendoli improduttivi. I responsabili pubblici, le realtà culturali, educative e religiose, come anche tutti gli uomini di buona volontà, sono chiamati a impegnarsi per costruire una società sempre più accogliente e inclusiva.
… E’ importante anche favorire il legame tra generazioni. Il futuro di un popolo richiede l’incontro tra giovani e anziani: i giovani sono la vitalità di un popolo in cammino e gli anziani rafforzano questa vitalità con la memoria e la saggezza. E parlate con i vostri nipotini, parlate. Lasciate che loro vi facciano domande. Sono di una peculiarità diversa dalla nostra, fanno altre cose, a loro piacciono altre musiche…, ma hanno bisogno degli anziani, di questo dialogo continuo. Anche per dare loro la saggezza. Mi fa tanto bene leggere di quando Giuseppe e Maria portarono il Bambino Gesù – aveva 40 giorni, il bambino – al tempio; e lì trovarono due nonni [Simeone e Anna], e questi nonni erano la saggezza del popolo; lodavano Dio perché questa saggezza potesse andare avanti con questo Bambino. Sono i nonni ad accogliere Gesù nel tempio, non il sacerdote: questo viene dopo. I nonni. E leggete questo, nel Vangelo di Luca, è bellissimo!”
(15 ottobre 2015, Discorso all’Associazione Nazionale Lavoratori Anziani)
La famiglia grembo dei legami comunitari e sociali
“Nella congiuntura attuale, i legami coniugali e famigliari sono in molti modi messi alla prova. L’affermarsi di una cultura che esalta l’individualismo narcisista, una concezione della libertà sganciata dalla responsabilità per l’altro, la crescita dell’indifferenza verso il bene comune, l’imporsi di ideologie che aggrediscono direttamente il progetto famigliare, come pure la crescita della povertà che minaccia il futuro di tante famiglie, sono altrettante ragioni di crisi per la famiglia contemporanea. Ci sono poi le questioni aperte dallo sviluppo delle nuove tecnologie, che rendono possibili pratiche talvolta in conflitto con la vera dignità della vita umana. La complessità di questi nuovi orizzonti raccomanda un più stretto legame tra l’Istituto Giovanni Paolo II e la Pontificia Accademia per la Vita. Vi esorto a frequentare coraggiosamente queste nuove e delicate implicazioni con tutto il rigore necessario, senza cadere «nella tentazione di verniciarle, di profumarle, di aggiustarle un po’ e di addomesticarle» (Lettera al Gran Cancelliere della Pont. Università Cattolica Argentina, 3 marzo 2015).
L’incertezza e il disorientamento che toccano gli affetti fondamentali della persona e della vita destabilizzano tutti i legami, quelli famigliari e quelli sociali, facendo prevalere sempre più l’“io” sul “noi”, l’individuo sulla società. E’ un esito che contraddice il disegno di Dio, il quale ha affidato il mondo e la storia alla alleanza dell’uomo e della donna (Gen 1,28-31). Questa alleanza – per sua stessa natura – implica cooperazione e rispetto, dedizione generosa e responsabilità condivisa, capacità di riconoscere la differenza come una ricchezza e una promessa, non come un motivo di soggezione e di prevaricazione.
Il riconoscimento della dignità dell’uomo e della donna comporta una giusta valorizzazione del loro rapporto reciproco. Come possiamo conoscere a fondo l’umanità concreta di cui siamo fatti senza apprenderla attraverso questa differenza? E ciò avviene quando l’uomo e la donna si parlano e si interrogano, si vogliono bene e agiscono insieme, con reciproco rispetto e benevolenza. E’ impossibile negare l’apporto della cultura moderna alla riscoperta della dignità della differenza sessuale. Per questo, è anche molto sconcertante constatare che ora questa cultura appaia come bloccata da una tendenza a cancellare la differenza invece che a risolvere i problemi che la mortificano.
La famiglia è il grembo insostituibile della iniziazione all’alleanza creaturale dell’uomo e della donna. Questo vincolo, sostenuto dalla grazia di Dio Creatore e Salvatore, è destinato a realizzarsi nei molti modi del loro rapporto, che si riflettono nei diversi legami comunitari e sociali. La profonda correlazione tra le figure famigliari e le forme sociali di questa alleanza – nella religione e nell’etica, nel lavoro, nell’economia e nella politica, nella cura della vita e nel rapporto tra le generazioni – è ormai un’evidenza globale. In effetti, quando le cose vanno bene fra uomo e donna, anche il mondo e la storia vanno bene. In caso contrario, il mondo diventa inospitale e la storia si ferma.
- La testimonianza della umanità e della bellezza dell’esperienza cristiana della famiglia dovrà dunque ispirarci ancora più a fondo. La Chiesa dispensa l’amore di Dio per la famiglia in vista della sua missione d’amore per tutte le famiglie del mondo. La Chiesa – che si riconosce come popolo famigliare – vede nella famiglia l’icona dell’alleanza di Dio con l’intera famiglia umana. E l’Apostolo afferma che questo è un grande mistero, in riferimento a Cristo e alla Chiesa (cfr Ef 5,32). La carità della Chiesa ci impegna pertanto a sviluppare – sul piano dottrinale e pastorale – la nostra capacità di leggere e interpretare, per il nostro tempo, la verità e la bellezza del disegno creatore di Dio. L’irradiazione di questo progetto divino, nella complessità della condizione odierna, chiede una speciale intelligenza d’amore. E anche una forte dedizione evangelica, animata da grande compassione e misericordia per la vulnerabilità e la fallibilità dell’amore fra gli esseri umani.
E’ necessario applicarsi con maggiore entusiasmo al riscatto – direi quasi alla riabilitazione – di questa straordinaria “invenzione” della creazione divina. Questo riscatto va preso sul serio, sia nel senso dottrinale che nel senso pratico, pastorale e testimoniale. Le dinamiche del rapporto fra Dio, l’uomo e la donna, e i loro figli, sono la chiave d’oro per capire il mondo e la storia, con tutto quello che contengono. E infine, per capire qualcosa di profondo che si trova nell’amore di Dio stesso. Riusciamo a pensare così “in grande”? Siamo convinti della potenza di vita che questo progetto di Dio porta nell’amore del mondo? Sappiamo strappare le nuove generazioni alla rassegnazione e riconquistarle all’audacia di questo progetto?
Siamo certo ben consapevoli del fatto che anche questo tesoro noi lo portiamo “in vasi di creta” (cfr 2 Cor 4,7). La grazia esiste, come anche il peccato. Impariamo perciò a non rassegnarci al fallimento umano, ma sosteniamo il riscatto del disegno creatore ad ogni costo. E’ giusto infatti riconoscere che a volte «abbiamo presentato un ideale teologico del matrimonio troppo astratto, quasi artificiosamente costruito, lontano dalla situazione concreta e dalle effettive possibilità delle famiglie così come sono. Questa idealizzazione eccessiva, soprattutto quando non abbiamo risvegliato la fiducia nella grazia, non ha fatto sì che il matrimonio sia più desiderabile e attraente, ma tutto il contrario» (Esort. ap. postsin. Amoris laetitia, 36). La giustizia di Dio risplende nella fedeltà alla sua promessa. E questo splendore, come abbiamo imparato dalla rivelazione di Gesù, è la sua misericordia (cfr Rm 9,21-23).
… Le famiglie che compongono il popolo di Dio ed edificano il Corpo del Signore con il loro amore, sono chiamate ad essere più consapevoli del dono di grazia che esse stesse portano, e a diventare orgogliose di poterlo mettere a disposizione di tutti i poveri e gli abbandonati che disperano di poterlo trovare o ritrovare. Il tema pastorale odierno non è soltanto quello della “lontananza” di molti dall’ideale e dalla pratica della verità cristiana del matrimonio e della famiglia; più decisivo ancora diventa il tema della “vicinanza” della Chiesa: vicinanza alle nuove generazioni di sposi, perché la benedizione del loro legame li convinca sempre più e li accompagni, e vicinanza alle situazioni di debolezza umana, perché la grazia possa riscattarle, rianimarle e guarirle. L’indissolubile legame della Chiesa con i suoi figli è il segno più trasparente dell’amore fedele e misericordioso di Dio.”
(27 ottobre 2016, Discorso alla Comunità accademica del Pontificio Istituto “Giovanni Paolo II” per Studi su Matrimonio e Famiglia)