di Stefano Biavaschi
Vivere la fede nello spirito dell’abbandono totale a Dio non è impresa facile né frequente. Eppure… è questa la vera fede. Se credo in Dio ma desidero trattenere nella mano le redini della mia vita, significa che ho più fiducia in me che in Lui. Fede significa proprio fiducia, consegna di sé, abbandono confidente alla volontà di Dio e ai suoi disegni su di me.
La maggior parte dei credenti non praticano (o nemmeno conoscono) la teologia dell’abbandono. Anche i più ferventi si arrovellano spesso in domande del tipo: «Qual è la mia strada?», «Vorrei tanto sapere cosa vuole Dio dalla mia vita». Spesso ci s’incaglia per anni in attesa di risposte che sembrano non arrivare mai. Atteggiamenti certamente umani, ma solo in apparenza devoti.
In realtà contengono spesso diverse forme di peccato: peccati di orgoglio (voler sapere le cose che sa Dio, pretendere di conoscere i suoi disegni alla perfezione); peccati di sfiducia (se ritengo che Dio sia realmente alla guida della mia vita, non c’è ragione che mi scoraggi); peccati di presunzione (presumere che, una volta mi fosse dato di conoscere, sarei poi in grado di corrispondere adeguatamente).
Non è affatto necessario conoscere il proprio futuro per vivere; anzi, questa conoscenza potrebbe perfino distrarmi dal presente. Anche se la barca della mia vita si fosse incagliata, è solo aumentando il fiume della fiducia e alzando il livello dell’abbandono che essa si disincaglia e prosegue la sua rotta. I grandi santi, dopo anni di lotte interiori, hanno scoperto che l’abbandono fiducioso a Dio è la via più semplice (e anche più profonda) per vivere la fede.
Santa Teresa di Lisieux fece, della sua piccola via, la strada maestra su cui vivere l’abbandono confidente. Una strada non solo molto più sicura, ma anche molto più riposante delle altre. Essa consente di restare placidamente sdraiati sul fondo della propria barca mentre Gesù sta remando. Perché ciò accada, occorre però un grande spirito di fiducia nel Maestro e una consegna totale e amorosa della propria vita.
Altrimenti, alla prima tempesta, ritorna la tentazione di affacciarsi oltre il bordo della barca per scrutare le tenebre insicure alla ricerca di risposte sulla propria rotta.
Si tratta in fondo di scegliere se trascorrere gli anni prendendo ondate in faccia o condurre la propria esistenza nello spirito del vangelo di Marco 4,35-41: durante la tempesta Gesù «dormiva in fondo alla barca, la testa appoggiata su un cuscino». La tentazione di svegliare Gesù è sempre forte in noi, ma rischiamo di ricevere la risposta che ebbero i suoi compagni di navigazione: «Perché avete tanta paura? Non avete ancora fede?».
Spesso anche l’efficientismo è una mancanza di abbandono. E pure da questo Gesù mise in guardia richiamando la sorella di Lazzaro: «Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno. Maria si è scelta la parte buona, che non le sarà tolta» (Le 10,41).
lo posso alzarmi la mattina facendo anche cento programmi buoni per la giornata, ma se sono disponibile alla volontà Dio, questi potranno essere cambiati da Lui in qualsiasi momento: un intoppo qualsiasi, una richiesta di aiuto, una persona incontrata per strada, perfino un malessere fisico, potrebbero essere suoi strumenti per entrare nei suoi disegni e realizzare cose più alte e necessarie, cui non avevo pensato.
Accettare con serenità tutto ciò che mi viene, di positivo come di negativo, tanto le gioie quanto i dolori, significa vivere l’abbandono nella consapevolezza che sto ricevendo tutto, direttamente o indirettamente, dalle mani di Dio, che è infinitamente più sapiente e più provvido di me, e sa anche come dosare il dolore e la gioia, il successo e la difficoltà.
Fare voto di abbandono significa affidamento della propria vita a Dio. Ma non basta un semplice atto di consacrazione: è un atteggiamento continuo di fiducia della nostra mente. Allora potremo vivere finalmente di quelle beatitudini promesse da Gesù nel discorso della montagna a chi accetta il suo «non preoccupatevi troppo!» (efr Mt 6,25ss).
In fondo le preoccupazioni appartengono ai non credenti: «Di tutte queste cose si preoccupano i pagani (…). Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena» (Mt 6,32-34). A noi sta semplicemente scegliere se farsi schiacciare dalle pene tramite le nostre preoccupazioni (pre-occupare la mente) o se rendere queste croci, come dice Gesù, un “giogo soave”, abbandonandosi come Lui sul fondo della barca, poggiando il capo sul suo stesso cuscino.