L’accordo sino-vaticano trampolino di lancio per la persecuzione?

Tradizione Famiglia Proprietà newsletter 20 marzo 2025

L’accordo sino-vaticano. Vittoria diplomatica o trampolino di lancio per la persecuzione?

di Michael Haynes*

Nel 2018, il Vaticano firmò un documento con la Cina comunista, che è diventato uno degli aspetti più controversi del pontificato di Papa Francesco, da molti percepito come un “tradimento” ai cattolici della Nazione. Il segretissimo accordo sino-vaticano è giunto al settimo anno dopo essere stato rinnovato per la terza volta nell’autunno del 2024. Ma chi detiene effettivamente maggiori poteri nell’ambito dell’accordo e quali sono stati i frutti?

2018: Un nuovo accordo per aprire un nuovo capitolo?

Il 22 settembre 2018, il Vaticano annunciò di aver firmato un accordo con il governo cinese riguardante la nomina dei vescovi cattolici  in Cina. Il Vaticano dichiarò che le discussioni erano in corso da tempo e questo nuovo accordo ne era il risultato. Nel comunicato stampa si legge che: “Il suddetto Accordo Provvisorio, che è frutto di un graduale e reciproco avvicinamento, viene stipulato dopo un lungo percorso di ponderata trattativa e prevede valutazioni periodiche circa la sua attuazione. Esso tratta della nomina dei Vescovi, questione di grande rilievo per la vita della Chiesa, e crea le condizioni per una più ampia collaborazione a livello bilaterale.”

Il Vaticano ha aggiunto di avere la “speranza condivisa” con Pechino che l’accordo “possa favorire un fecondo e lungimirante processo di dialogo istituzionale e possa contribuire positivamente alla vita della Chiesa cattolica in Cina, al bene comune del popolo cinese e alla pace nel mondo”.

Pochi giorni dopo, Papa Francesco ha scritto una lettera ai cattolici cinesi in cui afferma che l’accordo, “pur essendo limitato ad alcuni aspetti della vita della Chiesa e necessariamente migliorabile, può contribuire – per la sua parte – a scrivere questo nuovo capitolo della Chiesa cattolica in Cina”.

Finalmente, ha osservato il Pontefice, la Santa Sede e la Cina comunista potranno collaborare “nella speranza di fornire alla comunità cattolica dei buoni pastori”.

Il contenuto dell’accordo è rimasto segreto, senza che né il Vaticano né le autorità comuniste di Pechino abbiano dato segno di volerlo rivelare a breve. Il Segretario di Stato vaticano – e principale autore dell’accordo – il cardinale Pietro Parolin ha dichiarato nel 2023 che tale segretezza è dovuta al fatto che “l’accordo non è ancora stato approvato definitivamente”.

Si ritiene che riconosca la Chiesa approvata dallo Stato in Cina (ndt., la cosiddetta Chiesa patriottica) e che permetta al Partito Comunista Cinese (PCC) di nominare i vescovi nella Nazione e di impegnarsi con il Vaticano in un processo di collaborazione per la selezione dei vescovi.

Si ritiene che la Santa Sede, cioè il Papa, abbia una forma di potere di veto sui vescovi nominati dal governo cinese. Si ritiene inoltre che l’accordo consenta la rimozione dei vescovi che fanno parte della “Chiesa clandestina” (ndt, nota anche come “underground”) a favore di vescovi fedeli al governo cinese che sono membri della Chiesa di Stato cinese – Associazione patriottica cattolica cinese (CCPA) – in quello che è stato presentato come uno sforzo per raggiungere l’unità collaborativa tra Roma e Pechino.

Nel 2023, nel corso di un’intervista distribuita alla stampa vaticana, il cardinale Parolin ha dichiarato che l’accordo sino-vaticano “ruota attorno al principio fondamentale della consensualità delle decisioni che riguardano i vescovi” e si realizza “confidando nella saggezza e nella buona volontà di tutti”.

Inizialmente siglato nel 2018, è stato rinnovato nel 2020, nel 2022 e poi nel 2024, questa volta per quattro anni. Quando l’accordo “provvisorio” sarà rinnovato nel 2028, sarà già vecchio di un decennio, il che mette in discussione la definizione ufficiale di tale accordo come “provvisorio”.

Successo diplomatico o aiuto alla persecuzione?

Ma non appena l’accordo è stato firmato, AsiaNews, un’agenzia specializzata, nell’evidenziare la persecuzione dei cristiani in Estremo Oriente, ha riportato che i cattolici cinesi della Chiesa sotterranea si sentono traditi. “I cattolici sotterranei sospettano amaramente che il Vaticano li abbia abbandonati”, si legge in un op-ed del novembre 2018.

Il cardinale Joseph Zen Ze-kiun che ha criticato l’accordo tra Cina e Vaticano

Per lunghi anni, i cattolici della Chiesa clandestina in Cina sono rimasti leali e fedeli a Roma, nonostante le crescenti persecuzioni contro di loro da parte del governo cinese, che cerca di costringere i cattolici ad aderire alla CCPA, approvata dallo Stato e allineata al Partito comunista. Tali persecuzioni sono state subite sotto il segno del desiderio di rimanere devoti al Santo Padre e alla Santa Sede piuttosto che diventare sudditi della religione in salsa comunista promossa da Pechino sotto il nome di cattolicesimo cinese.

Proprio per questo il vescovo emerito di Hong Kong, il cardinale Joseph Zen, ha definito l’accordo con la Santa Sede “un incredibile tradimento”. “Stanno dando il gregge in pasto ai lupi. È un incredibile tradimento”, ha dichiarato all’agenzia di stampa Reuters dalla sua casa di Hong Kong nel 2018.

Il card. Zen ha spesso messo in guardia dalla situazione dei cattolici clandestini in Cina, anche se negli ultimi anni ha dovuto evitare l’argomento a causa della delicatezza della situazione.

Ma non è affatto solo. Numerosi esperti e osservatori cinesi hanno avvertito che, firmando un accordo con la Cina comunista, la Santa Sede si è effettivamente lasciata andare a usi e abusi da parte di Pechino. Alle loro voci si sono aggiunte quelle di voci ufficiali del governo americano.

Poco prima del primo rinnovo biennale dell’accordo nel 2020, l’ex Segretario di Stato americano Mike Pompeo ha avvertito che “se rinnova l’accordo, il Vaticano mette in pericolo la sua autorità morale”. Egli ha fatto riferimento a un articolo da lui scritto sull’argomento in cui affermava che “è chiaro che l’accordo sino-vaticano non ha protetto i cattolici dalle depredazioni del Partito”.

Anche la Commissione Esecutiva del Congresso degli Stati Uniti sulla Cina ha notato pubblicamente il legame diretto tra l’accordo della Santa Sede e l’aumento della persecuzione cristiana in Cina. Nel suo rapporto del 2020, la Commissione ha affermato che tale persecuzione è “di un’intensità mai vista dai tempi della Rivoluzione culturale”.

Poi, nel rapporto del 2023, la Commissione ha scritto che “il Partito comunista cinese e il governo hanno continuato i loro sforzi per affermare il controllo sulla leadership cattolica, sulla vita comunitaria e sulla pratica religiosa”.

In realtà, lo stesso Papa Francesco ha ammesso che ci sarebbe stata una maggiore sofferenza come risultato diretto dell’accordo da lui autorizzato. Parlando a bordo dell’aereo papale nel 2018, ha dichiarato a proposito della Chiesa sotterranea: “È vero, soffriranno. C’è sempre sofferenza in un accordo”.

Mentre la Santa Sede elogia le sue crescenti relazioni con la Cina, sacerdoti, seminaristi e fedeli laici della Chiesa clandestina vengono arrestati, torturati, multati e portati via in luoghi sconosciuti a causa della loro fedeltà a Roma e del loro rifiuto di unirsi alla Chiesa comunista, sanzionata dallo Stato.

I cattolici clandestini cinesi sono molto più perseguitati di quanto non lo siano mai stati, cioè, perseguitati dalle autorità comuniste, solo che ora le autorità comuniste sono incoraggiate a farlo grazie all’accordo con la Santa Sede. In effetti, incoraggiata dall’accordo segreto, Pechino ha solo aumentato la sua persecuzione dei cattolici.

Ha funzionato?

Gli osservatori si chiederanno se, nonostante l’aumento della persecuzione cattolica derivante dall’accordo, esso abbia comunque prodotto frutti e portato una maggiore unità tra Roma e Pechino, come auspicato dalla Santa Sede. Di certo, il cardinale Parolin e il segretario vaticano per le relazioni con gli Stati, l’arcivescovo Paul Gallagher, hanno unito la loro voce a quella di Papa Francesco nel difendere l’accordo e la sua efficacia.

“L’accordo rappresenta un cammino, un cammino lento e impegnativo che, a mio avviso, sta cominciando a dare qualche frutto”, ha dichiarato a gennaio mons. Parolin, riprendendo le osservazioni fatte a questo corrispondente nel novembre scorso. Da parte sua, l’abate Gallagher ha parlato recentemente di una “maggiore familiarità” tra Pechino e Roma, che permette loro di “relazionarsi in modo più rilassato”.

Ma contrariamente a questa retorica, le prove suggeriscono che Pechino ha persistentemente violato anche i termini dell’accordo, costringendo la Santa Sede ad accettare in modo umiliante le decisioni unilaterali di Pechino sulla nomina dei vescovi. Piuttosto che favorire un rapporto di collaborazione, il Vaticano è stato costretto con la prepotenza e l’astuzia a restare in secondo piano rispetto alle autorità comuniste.

Una serie di nomine episcopali nelle diocesi cinesi negli ultimi due anni ha messo in evidenza chi esercita veramente il potere. Pechino ha ripetutamente effettuato nomine e solo successivamente ne ha informato il Vaticano, a volte il giorno stesso dell’insediamento del nuovo vescovo.

Un esempio è quello del vescovo Shen Bin, che è stato insediato dalle autorità cinesi come vescovo di Shanghai nell’aprile del 2023 – una mossa di cui il Vaticano non è stato informato. Shen era il vescovo riconosciuto dal Vaticano di Haimen, mentre il vescovo riconosciuto dal Vaticano di Shanghai era in realtà il vescovo Taddeo Ma Daqin.

La Santa Sede è stata costretta a capitolare alle richieste di Pechino e ha “riconosciuto” l’insediamento di Shen Bin come vescovo di Shanghai due mesi dopo. Questo è solo l’esempio più evidente dell’attuazione reale dell’accordo sino-vaticano: Pechino agisce, informa successivamente la Santa Sede e Roma si ritrova a dover accettare la decisione del governo comunista.

In diversi casi il Vaticano ha pubblicato un comunicato stampa per annunciare l’insediamento di un nuovo vescovo in Cina, mentre i dettagli rilasciati dalla Chiesa statale cinese rivelano che il vescovo era già stato insediato alcuni mesi prima. Di solito, i dettagli forniti dalla Chiesa di Stato cinese non fanno alcun riferimento a Papa Francesco o alla Santa Sede, e quindi, come ha commentato il noto vaticanista Sandro Magister:

In breve, una lettura sinottica dei comunicati stampa emessi dalla Santa Sede e dalla “Chiesa cattolica in Cina” ad ogni nuova nomina episcopale rende evidente che è il regime di Pechino a condurre il gioco.

Purtroppo, ma non inaspettatamente, le prove evidenziano che non solo l’accordo sino-vaticano ha tradito i cattolici clandestini cinesi e ha portato a un aumento delle loro persecuzioni, ma ha anche fallito proprio sul punto che ufficialmente si cercava di raggiungere: l’insediamento dei vescovi attraverso un processo congiunto tra Roma e Pechino nel tentativo di costruire relazioni tra le due parti.

Un tale fallimento non deve sorprendere. Infatti, anche a prescindere dalla natura e dalle origini controverse dell’accordo stesso, un osservatore astuto ha avvertito che non ci si sarebbe mai aspettati il successo di un simile accordo.

“La diplomazia ha un suo posto. I negoziati sono necessari”, mi ha detto Benedict Rogers, fiduciario e cofondatore di Hong Kong Watch. “La riconciliazione è lodevole e dovrebbe sempre essere un obiettivo della Chiesa. L’ingenuità è perdonabile. Ma la complicità e l’acquiescenza, a cui l’approccio del Vaticano si sta avvicinando pericolosamente, non trovano posto nell’insegnamento sociale cattolico”.

*Michael Haynes è un giornalista inglese che lavora a Roma come membro del Corpo Stampa della Santa Sede e scrive principalmente su LifeSiteNews e PerMariam.

Fonte: Tfp.org, Traduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà – Italia.